Ieri sera, il rimbalzo di Wall Street si è rafforzato in serata, trainato dal settore bancario, il quale, dopo aver accumulato la bellezza di 13 sedute negative a fila nel run up verso i risultati degli stress test FED, nella seduta che precedeva gli annunci ha visto infine un po’ di ricoperture.
La pubblicazione dei risultati, che ha visto la bocciatura (peraltro ampiamente anticipata) solo della Sussidiaria US di Deutsche Bank, ha dsto il via ad una raffica di annunci di piani di remunerazione degli azionisti (le prime 4 banche, JPM, BofA, Wells Fargo e Citi hanno comunicato dividendi e buyback per oltre 110 bln $) che supportano anche oggi il settore. E pensare che la FED ha imposto il ridimensionamento di alcuni di questi piani.
La seduta asiatica ha, per una volta, approfittato del buon sentiment ereditato dagli USA. Il motivo principale è che l’azionario cinese si è deciso, infine, a dare un segno di vita, sollevando l’area dall’oppressione che il suo continuo calo generava. D’altronde, la data di entrata in vigore del taglio alla riserva obbligatoria bancaria si avvicina (5 luglio) , mentre Trump ha apparentemente rinunciato a elevare limitazioni alle aziende cinesi nell’investimento in US, delegando la materia al CFUIS (Committee on Foreign Investment in the United States). A fronte di ciò, il livello di pessimismo raggiunto nei confronti degli asset cinesi era francamente eccessivo. Per ora, lo Yuan si è fatto scarsamente coinvolgere dall’U-turn nel sentiment, ma va ricordato che il taglio alla riserva, con la sua iniezione di liquidità stimata in 700 bln Yuan, è un negative per la divisa.
La forza delle “A” shares, “H” shares, più Hong Kong e Taiwan ha offerto supporto all’intera area, ad eccezione di Sydney (che per la verità non aveva partecipato nemmeno ai cali). Sorprendente la scarsa partecipazione di Tokyo, a fronte di una serie di dati macro niente male (prod industiale maggio calata assai meno delle attese, Tokyo CPI giugno in accelerazione assai sopra attese, Disoccupazione maggio ai minimi dal ’92 a 2.2%…).
L’apertura europea ha visto gli indici avvantaggiarsi significativamente, oltre che del buon mood asiatico, della fumata bianca sul piano migranti, giunta alle 4 am dopo un esercizio di veto da parte dell’Italia ieri pomeriggio. L’accordo, in se, mi pare in generale scarsamente vincolante, e generico laddove non offre discrezionalità (come nel dovere di ogni stato di contrastare la circolazione all’interno dell EU). Ha però il merito di avere la firma di tutti e 28 gli stati, quando le attese erano per qualche accordo parziale.
Ma soprattutto, sembra che la CSU consideri i progressi contenuti nel deal sufficienti a evitare uno scontro in seno al governo. L’impressione è che più che la bontà del deal, siano i sondaggi (favorevoli alla Merkel) ad aver mitigato le rivendicazioni della CSU bavarese, che ora potrebbe approfittare della vittoria formale ( effettivamente un accordo è stato siglato, anche se non risolve definitivamente il problema delle migrazioni secondarie) per deporre le armi. Vedremo Domenica l’outcome del Summit tra alleati. Personalmente, non ho dubbi che sia il miglioramento del quadro politico tedesco il principale motivo del calo odierno dello spread, oltre che del rimbalzo dell’€. Entrambi sono strettamente correlati alla compattezza dell’EU, per la quale elezioni in Germania costituirebbero un serio fattore di disturbo.
Sul fronte macro, il CPI flash EU di Giugno ha infine raggiunto il target ECB del 2% (o meglio lo ha superato, visto che è “sotto, ma vicino al 2%), grazie al contributo dei costi per l’energia, mentre il dato Core ha moderatamente rallentato a 1%, principalmente per questioni di diverso posizionamento delle feste.
Ad agitare un po’ le acque, sono giunte le indiscrezioni di Reuters secondo cui l’ECB, una volta terminato il QE, avrebbe intenzione, nel reinvestimento dei proventi del portafoglio, di allungare la duration media degli acquisti (una sorta di operation twist all’europea). Inoltre, sarebbe tollerata una moderata deviazione dalla capital key. La mossa sarebbe giustificata dalla necessità di mantenere costante la duration di portafoglio, destinata a calare col passare del tempo una volta cessati gli acquisti netti. Le news hanno causato un brusco calo in particolare dei bonds tedeschi, e un appiattimento della curva. Successivamente il movimento è rientrato, ma la tendenza all’appiattimento è rimasta.
Recentemente, si fa di nuovo un gran parlare dell’appiattimento delle curve come segnale dell’arrivo di una recessione. Effettivamente ogni recessione US è stata preceduta (di parecchi mesi) da un inversione dello spread di rendimento tra i bucket 2 e 10 anni. Lo 0.3% raggiunto dal 2-10 USA, minimo da oltre 10 anni, viene guardato con estrema preoccupazione.
Il fatto è che le curve dei tassi in parte non fanno che obbedire a segnali, previsioni e azioni portati avanti dalle banche centrali. La FED ha portato recentemente i tassi a 1.75%-2%, e proietta un 3.4% per fine 2020, ma indica a 2.9% il tasso naturale di lungo periodo. Cosa ci si aspetta che faccia la curva US?
Stesso discorso per l’ECB, che lascia trapelare l’intenzione di allungare la duration di portafoglio, aumentando gli acquisti sul long end. Certo che le curve si appiattiscono. Prima di fasciarsi la testa, bisogna valutare anche questi aspetti.
In tarda mattinata anche dalla Casa Bianca hanno trovato il modo di movimentare un po’ questo fine semestre, quando è trapelato che Trump sarebbe stato intenzionato a abbandonare il WTO (TRUMP IS SAID TO TELL ADVISORS HE SEEKS WTO WITHDRAWL: AXIOS). Piccolo sussulto dei risk asset, dopodichè qualcuno si è degnato di osservare che una mossa del genere spetta al massimo al Congresso. Infine Mnuchin ha smentito, ponendo fine alla querelle.
Anche in US erano previste release macro:
** I dati di personal income & spending a maggio hanno lievemente deluso, ma restano robusti.
** Il PCE core è l’ultima serie relativa all’andamento dei prezzi a raggiungere il target FED del 2%
** Il Chicago PMI ha una volta di più sorpreso in positivo (64.1 da prec 62.7 e vs attese per 60). Vedremo l’ISM lunedi ma il manifatturiero US resta apparentemente su livelli assai robusti.
** Lieve ridimensionamento per la U. of Michigan Confidence finale di giugno.
Dal canto suo Draghi, esponendo al vertice EU, ha manifestato preoccupazione per l’impatto delle frizioni commerciali sul ciclo, ed esortato a ultimare rapidamente la riforma degli schemi di protezione (ESM).
Wall Street è partita bene e sembra intenzionata a chiudere con un rialzo il semestre. La cosa ha permesso agli indici europei chiusure positive anche se le sorprese della giornata hanno finito per limare un po’ di esuberanza dalle reazioni mattutine. L’€ ha tenuto il grosso dei guadagni, i tassi core hanno recuperato interamente lo scivolone post indiscrezioni ECB, ma gli spreads sono scesi significativamente, in particolare per la carta italiana (-8 bp a 266 per il 10 anni, – 15 bps a 132 per il 2 anni che torna a 0.66% di rendimento).
Lunedi si apre il secondo semestre di questo 2018 tribolato. Gli operatori (banche in particolare) riapriranno i book e rimetteranno al lavoro il denaro. In linea teorica queste occasioni dovrebbero essere foriere di domanda di risk asset. A meno che qualcosa non convinca gli operatori a giocare al ribasso. Intanto, vediamo come si conclude il Vertice tra la Merkel e la CSU domenica.