Giornata d’altri tempi, quella odierna.
La seduta asiatica ha avuto un tono nervoso. La Bank of Japan ha lanciato un operazione di acquisto di bonds decennali a tasso fisso (0.11%) di ammontare illimitato, atta ad arrestare il rialzo dei rendimenti giapponesi scatenato dalla deriva di quelli internazionali. L’ultima operazione del genere era avvenuta a luglio scorso. L’idea è di mostrare che la stance monetaria resta quella fissata 15 mesi fa, e deviazioni al momento non sono previste. Effettivamente lo Yen ha reagito indebolendosi contro $, ma l’azionario non se ne è avvantaggiato più di tanto.
Sembrava dicesse male anche all’azionario cinese, ma gli indici locali, dopo una partenza negativa si sono ripresi, terminando in positivo grazie a un colpo di reni finale. Tra gli altri indici spiccano i cali di Mumbai e Seul.
L’azionario europeo ha ripreso il discorso dove lo aveva interrotto ieri pomeriggio, accumulando rapidamente un discreto passivo su tutti gli indici (con il Dax a guidare il ribasso). Il movimento pare la naturale conseguenza della rottura tecnica indicata ieri, e comunque l’€ in area 1.25 vs dollaro per tutta la mattinata ha contribuito a danneggiare il sentiment. Un’altro fattore è sicuramente costituito dalla volatilità sui tassi. Anche oggi i bonds eurozone sono risultati deboli fin dall’apertura, e la differenza con ieri è stata che anche i periferici hanno partecipato allo storno. Rendimenti che salgono a questo ritmo costituiscono, insieme con l’€ forte, un indubbio inasprimento delle condizioni finanziarie in Eurozone, ed è comprensibile che l’azionario gradisca poco.
Il clou macro della giornata era costituito dal labour market report US di gennaio. I nuovi occupati hanno sorpreso in positivo (200.000 vs 180.000 attesi, e con il dato di dicembre che sale di 20.000 unità a 160.000). Stabile la disoccupazione a 4.1%, l’attenzione è stata catalizzata dal balzo dei salari orari (+0.3%) con revisioni ai mesi precedenti che portano il dato anno su anno al massimo ciclico di 2.9%. Vuoi vedere che la curva di Phillips, data per morta nei trimestri scorsi, era solo addormentata?
Le attesissime pressioni salariali hanno scelto il momento sbagliato per manifestarsi, quando il mercato obbligazionario US era già in rotta, e con l’azionario globale infastidito dal violento rialzo e dall’ improvvisa volatilità dei rendimenti.
Il dato ha avuto un impatto immediato sul mercato dei tassi US, con maggior peso sulle scadenze più lunghe (tipicamente più sensibili all’aumento delle aspettative di inflazione). Con la curva dei tassi monetari che praticamente prezza ormai lo scenario FED (3 rialzi nel 2018), il rischio è che, per la prima volta da anni, il mercato vada oltre, e il FOMC si trovi a rincorrere.
Cosi l’azionario US ha ripreso a soffrire in maniera significativa, dopo la pausa delle scorse 2 sedute, con ciclici ed e energy a zavorrare gli indici. L’unica novità rispetto ai giorni scorsi è che il dollaro ha recuperato terreno, in particolare contro alcune divise emergenti e quelle “commodity related”, uno scenario coerente con l’idea che la Fed possa essere costretta ad accelerare il passo. D’altronde, si sa come emergenti e high yielders amino gli inattesi inasprimenti della politica monetaria USA.
Naturalmente l’azionario europeo ha preso maluccio la ripresa del trend ribassista a Wall Street, e la temporanea correzione dell’€ non è certo bastata a consolarlo. Gli indici sono andati a chiudere sui minimi di seduta, con pesanti ribassi, e il Dax ha compiuto la mirabile impresa di terminare in negativo dall’inizio dell’anno. Rialzi diffusi sui rendimenti eurozone, con una tendenza ad allargare degli spreads, guidata dal BTP che restituisce parte dell’ottima performance di ieri contro Bund.
E Wall Street, ad un paio ‘ore dalla chiusura, sembra indirizzata verso la sua peggior seduta per lo meno dallo scorso agosto. Di fatto, un importante soglia l’S&P l’ha già superata. Sui livelli attuali, perde quasi il 3.5% dai massimi, più di quanto abbia fatto nell’intero 2017, dove il massimo drowdown dal picco al minimo è stato a marzo (3.1%).
Uno sguardo al grafico mostrato giorni fa indica il primo supporto in area 2770 (primo livello di Fibonacci 23.6%) ma dall’impeto che ha il movimento ribassista sembra sensato aspettarsi un calo verso il secondo livello (38.2) che, se colpito, si tradurrebbe con un azzeramento dei guadagni dell’anno.
Sul fronte cambi, il Dollar index oggi sta mettendo a segno un engulfing pattern rialzista, che segue di poco un hammer. Si tratta di 2 segnali di inversione di breve che potrebbero preludere ad un rimbalzo. Ma aspettiamo la chiusura di stasera e la conferma lunedi prima di trarre conclusioni
Assai più interessante risulta il grafico settimanale dell’€/$, laddove mostra che il cross, a 1.25, incontra la parte superiore del canale ribassista iniziato nel 2008. La trendline discendente dovrebbe offrire un po’ di resistenza. Un superamento (in particolare se rapido) consacrerebbe il trend ascendente della divisa unica. Viceversa un fallimento corroborerebbe la teoria del rimbalzo del Dollar index, di cui l’€ costituisce un buon 57%.