Seleziona una pagina

La crescente percezione di impasse sul trade accentua la tendenza consolidativa del mercato azionario.


NB: Domani lampi salta un giorno, e torna venerdì

L’interruzione della serie  di record a  Wall Street avvenuta ieri non è di quelle che fanno perdere il sonno. L’S&P 500 ha perso lo 0.06%, dopo aver segnato  i massimi storici del durante, poco dopo l’apertura. Le indiscrezioni di Bloomberg secondo cui USA e Cina starebbero prendendo la situazione pre escalation di maggio in termini di dazi come base di trattativa sono state citate come motivo del recupero,  ma personalmente non credo che abbiano impatto più di tanto. Semplicemente, dopo un rally come quello dell’ultimo mese, la strategia del “buy the dip” è  dura a morire.

In serata, il Senato ha approvato infine all’unanimità l’ “Hong Kong human rights and democracy act”, ovvero il progetto di legge che impone al US State Department di valutare con cadenza annuale se l’indipendenza della ex colonia è sufficiente a giustificare lo status privilegiato di cui gode come partner commerciale. Ora manca la  riconciliazione della versione approvata alla Camera, che dovrebbe avvenire mercoledì prossimo, dopodichè il decreto salirà alla Casa bianca per la firma.
La reazione cinese non si è fatta attendere, con le autorità che hanno intimato agli USA di cessare le ingerenze negli affari interni cinesi e hanno diffidato la Casa Bianca dall’approvare la  legge. Trump non si è ancora pronunciato ma non si vede come possa evitare di firmare un decreto che gode di questo consenso al  Congresso.
Il mercato ancora non ha mollato  su questo punto, ma il newsflow  su questo tema,  da  più  di  qualche giorno, non ha più un tono costruttivo, in particolare da parte cinese. Il recente passato ha dimostrato che ciò è, almeno in parte, fisiologico. Quando il clima si rasserena, l’incentivo per le parti al compromesso scende e la retorica diventa più aggressiva. In questo caso però, la freddezza è più  di parte cinese che non di Trump, che solitamente è l’elemento più volubile.

Forse  la  lunga serie di  ricomposizioni avvenute negli scorsi trimestri (sia pure su livelli più  bassi) mette in guardia il mercato da abbracciare nuovamente il caso negativo. Ma a questo punto un nuovo stallo mi pare probabile almeno quanto una firma della fase 1.
Stamattina in Asia comunque il contraccolpo si è un po’ sentito, con tutti gli indici in calo, ad eccezione di Mumbai. Il “China complex ha interrotto 2 giorni di buoni guadagni, mettendo pressione all’intera area asiatica, che resta comunque più debole delle  altre.

La risk aversion latente ha avuto un impatto anche sull’apertura europea, con le borse leste ad accumulare discreti ribassi, i tassi in generalizzato calo, e i metalli preziosi in spolvero. Oggi non c’erano ne  dati di rilievo, ne eventi particolari e così il mercato è  rimasto in balia del mood incerto e delle schermaglie sul trade, con il  solito caporedattore Hu, portavoce della view ufficiosa delle autorità, a chiarire che in Cina aleggia il  pessimismo e si è pronti allo scontro

Come da attese, la  Commissione EU ha definito ” a rischio di deviazione dalle  guidelines EU” la  manovra italiana, insieme a  quella di altri 6 paesi. Come accennato ieri questa definizione non implica un rigetto ma solo un osservazione attenta delle dinamiche. Infuria, per contro, il dibattito sull’approvazione della  riforma dell’ESM, che viene osteggiata dall’opposizione, ma anche da alcune parti del Movimento 5 Stelle. Il  tema sarebbe che la nuova normativa attribusce all’ESM  maggiori poteri, tra cui la possibilità  di richiedere la  ristrutturazione del debito per accedere ai finanziamenti di emergenza, stringenti condizioni in termini di parametri fiscali per l’apertura del credito, e Collective action clauses più favorevoli. In altre parole, secondo i detrattori il  rischio di una ristrutturazione ne risulterebbe aumentato, col rischio di aumentare un circolo vizioso (un opinione estressa recentemente anche da Visco). E poi c’è la  questione dell’attribuzione di un peso in termini di assorbimento di capitale bancario alle posizioni in titoli di stato, che verrebbe richiesto come contropartita per l’attuazione dell’unione bancaria.
Oggi però la  carta italiana non ha risentito di queste frizioni più di tanto. La seduta è stata volatile, ma a fine giornata il cartellino parla di un calo dello spread di 3/4 bps a 154. Con lo stallo nel movimento di rialzo dei rendimenti Eurozone, il differenziale fa sentire il suo peso.

Sul fronte Brexit,  com’era prevedibile, non è  che il dibattito TV di ieri abbia impattato granchè. Johnson ha tenuto fermamente la discussione incentrata sulla Brexit, e i sondaggi gli attribuiscono una marginale vittoria. E’ comunque difficile che Corbyn possa ridurre il gap con questi incontri, e comunque Trump a giudizio dei media aveva perso tutti i dibattiti con la Clinton.

Il sentiment ha fatto il minimo in mattinata, per poi recuperare nella seconda parte di seduta, senza catalyst particolari, se non la  perdurante tendenza del mercato a comprare la  debolezza. Anche oltreoceano il calendario macro era pressochè vuoto oggi, ad eccezione delle minute FED, che escono stasera, e dalle quali dovremmo trarre indizi su cosa intende il  Committee con la locuzione “materiale cambio di scenario” alla  quale ha subordinato ulteriori modifiche dei tassi. Anche indicazioni sulla durata degli schemi straordinari per la gestione del funding squeeze sono benvenute. Tra i repo, e gli acquisti di T-Bills a 60 bln al mese il bilancio FED è cresciuto a ritmi assai elevati negli ultimi 2 mesi, cosa che ha sicuramente favorito il rally azionario. Ieri Williams ha detto che i Repo sono una soluzione temporanea, in attesa che il programma di acquisti li renda superflui.

La riluttanza di Wall Street a scendere ha concesso agli indici EU di ridurre le  perdite a meno della metà  di quanto visto  in mattinata. Parimenti, i tassi hanno recuperato e i safe asset hanno ceduto terreno.

Dopo la chiusura europea, però,  il newsflow sul trade si è decisamente appesantito : Reuters ( link ) ha riportato che la firma della “fase 1” potrebbe slittare all’anno prossimo in quanto le parti faticano a  incontrarsi. La consacrazione dell’impasse da parte di uno dei media più noti ed affidabili ha inflitto un colpo al mood e l’S&P 500 al momento lascia sul terreno quasi un punto, mentre bonds e oro si sono improvvisamente risvegliati. Vedremo se il dip sarà rapidamente ricomprato o darà luogo a un ribasso più duraturo.

Nel frattempo, vale la  pena di osservare che, vuoi per il  problema dei disordini a Hong Kong, vuoi per un generale maggior pessimismo di parte cinese sulla possibilità di un accordo, oppure per debolezza intrinseca, l’azionario cinese ( e quello asiatico in generale) non ha partecipato al rally verso nuovi massimi dell’azionario globale.
Il rovescio della medaglia è che i multipli di “A” e “H” shares non sono saliti quanto gli altri e, sulla base di quanto indicato da Bloomberg, risultano rispettivamente sotto, e al livello della media a 5 anni (vedi figura).

Su questa base, sembra che  a medio termine il “China Complex” dovrebbe beneficiare più dei mercati azionari dei paesi industrializzati di (eventuali) progressi in direzione di una soluzione della trade war. Viceversa, l’azionario cinese ha meno da restituire in caso di un nuovo stallo/ escalation.
A parte ciò, in particolare le “H” shares potrebbero beneficiare di un rientro delle proteste ad Hong Kong, dovesse la tensione iniziare a scemare (cosa tutt’altro che garantita).