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Il mese si chiude con mercati azionari nervosi e ricoperture sui bonds.

Il day after la  fiammata sui tassi è stata una seduta decisamente nervosa, in cui alcuni movimenti sono mere reazioni allo shock di volatilità, ed altri sembrano invece essere coerenti con la nuova consapevolezza del mercato che vi è un incoerenza tra le aspettative di crescita e quelle di politica monetaria. Perchè questo è il problema attuale. E le  implicazioni non sono necessariamente (tutte) negative.

La seduta asiatica è stata ovviamente caratterizzata da un sentiment pessimo. Per prima cosa, gli indici USA avevano chiuso quasi 3 punti sotto dove si trovavano ieri alla chiusura della delle borse asiatiche, e hanno riaperto in ulteriore calo. E poi, la causa scatenante, ovvero il rialzo dei rendimenti USA, e una delle conseguenze, ovvero il rimbalzo del $, sono 2 fenomeni chiaramente invisi alla parte emergente dell’Asia. Aggiungiamoci lo shock di volatilità, ed ecco che i -3/-4% comparsi in Asia stamattina non sorprendono molto (l’indice migliore è stato Shanghai Composite, con un -2.1%). Tra l’altro,  la  Reserve Bank of Australia ha dovuto comprare altri 3 trilioni di bonds per mantenere i tassi 3 anni ancorati al target del suo yield control.

Rapidamente, le news dal Congresso non sono molto sorprendenti. Al Senato hanno sancito che la misura sul salario minimo non è includibile nella Budget Reconciliation. I Dem hanno detto che resterà nel pacchetto, il che vuole dire che serviranno 60 voti per passarla che assolutamente non ci sono. Sanders ha detto che la riscriveranno in maniera da renderla idonea. Vedremo. Credo che comunque il piano, con o senza provvedimento, passerà entro metà marzo.

Sul fronte infezioni, le notizie non sono granchè. E’ evidente che il miglioramento si è arrestato in generale, e in Eurozone si nota un nuovo aumento dei casi (e noi in Italia ne sappiamo qualcosa). Il problema è che in Europa con i vaccini siamo incredibilmente indietro, con il 5% del totale vaccinato. Speriamo che a Marzo effettivamente si acceleri.


In UK siamo a oltre il 26% che ha preso la  prima dose, e in US oltre il 15%. Si tratta della maggioranza dei vulnerabili/esposti. Chiaro che li sono un po’ più tranquilli di fronte al rischio di un nuovo aumento, che comunque non si nota in UK ed è accennato negli USA. In Asia le cose vanno bene, anche senza vaccini, e in Giappone si parla di levare lo stato di emergenza in 6 aree su 10 in cui è in vigore.

L’apertura europea è stata comprensibilmente pesante. Ieri il grosso del  crollo era avvenuto dopo la chiusura e quindi gli indici dovevano mettersi in pari. In più, gli import prices tedeschi di gennaio e e il CPI francese di febbraio sono usciti sopra attese, e questo non ha certo aiutato a considerare sopito il problema dei rendimenti.
Peraltro dopo un iniziale apertura molto negativa, l’azionario continentale ha mostrato una parziale tendenza al recupero. Un certo impatto lo hanno avuto le nuove dichiarazioni della Schnabel, secondo la quale l’ECB deve intervenire se i tassi reali salgono troppo.
**SCHNABEL: RISE IN REAL LONG-TERM RATES MAY HURT RECOVERY
** SCHNABEL: ECB MAY NEED TO ADD SUPPORT IF YIELDS HURT GROWTH
E’ comparsa anche un intervista di Lane, raccolta il  22 febbraio contenente dichiarazioni significative, anche perchè ai tempi il problema non era ancora così acuto
**LANE: RISE IN INFLATION EXPECTATIONS AND PREMIA IS GOOD NEWS
**LANE: PROBLEMATIC IF MARKET OPTIMISM MOVES AHEAD OF ECONOMY
**ECB’S LANE: TOO EARLY TO SAY IF FORECASTS TO BE CUT IN MARCH
**LANE: ‘WITHOUT A DOUBT’ ECB HAS MORE AMMO IF ANOTHER SHOCK

Su queste basi, i rendimenti in Europa hanno mostrato la tendenza a calare (anche se gli spreads sono rimasti volatili, impattati dalla risk aversion). Ciò ha permesso agli indici di assorbire almeno un po’ lo shock  di Wall Street ieri. Coerenti i movimenti, con le  banche a sottoperformare, e la divisa unica debole. Giornata di ritracciamento anche per le commodities, che hanno ovviamente accusato lo shock di volatilità, e l’aumento dei tassi reali degli ultimi giorni.

Con una certa ansia si è arrivati al pomeriggio, gli occhi puntati sul core PCE deflator di gennaio, col terrore che desse altri segnali di forte pressione sui prezzi. In realtà il dato headline è uscito in linea con le attese e quello core sopra, ma a causa di un  aumento anomalo dei costi di sanità. Tra gli altri dati, balzo del personal income a gennaio (+10%) a causa dell’impatto del piano fiscale varato a fine dicembre dall’amministrazione uscente. Ed ora ne stanno predisponendo uno da 1.5-1.9 trilioni, con assegni di oltre il  doppio. Che farà il reddito disponibile? Lieve calo per il  Chicago PMI, che resta su livelli robusti (59.5 da 63.8 e vs stime per 61).

Il mercato era alle prese con tutt’altro. L’apertura dei mercati USA è stata ancora pesante, con l’S&P 500 terminato per qualche minuto sotto 3.800 punti. Dopo aver ammazzato l’azionario ieri, la situazione sui tassi reali ha accentuato il suo impatto sulle commodities, e soprattutto i preziosi, che hanno accelerato bruscamente al ribasso. Il movimento è stato guidato dall’argento, colpito sia nello status di riserva di valore che in quello di materiale industriale, ma l’oro ha fatto i minimi di periodo, tornando ai livelli di giugno 2020.
Successivamente, anche qui si è notata una reazione dell’azionario, trainata dal Nasdaq, ovvero l’indice più penalizzato dal movimento di discesa. Al recupero ha contribuito un rimbalzo dei treasuries, col rendimento del 10 anni tornato ben sotto l’1.5%. Le commodities e i preziosi sono rimasti deboli, eventualmente danneggiati anche dal proseguire del robusto rimbalzo del $.
Quindi l’azionario si è inserito in una price action volatile, anche a causa della chiusura del mese, con i suoi rebalancing, che hanno aumentato la confusione. Il calo dei rendimenti, concentrato sulla parte lunga della curva, ha accentuato le ricoperture sul Nasdaq, mentre anche in US come in Eurozone i winners dei giorni scorsi, banche risorse naturali ed energy, sono stati più penalizzati.
Le chiusure europee vedono ovviamente gli indici in calo significativo, sulla giornata e anche sulla settimana, ma non proprio uno sconquasso stile Asia, e forse le perdite sarebbero state più ridotte, se non ci fosse stato il timore che Wall Street inscenasse una seconda metà di seduta come quella di ieri. Altra storia per commodities e preziosi. La difficilmente spiegabile debolezza del $ della settimana è evaporata, e il Dollar index chiude con un bel recupero che lo porta in positivo rispetto ai livelli di venerdì scorso, mentre l’€ torna sotto 1.21, compresso forse anche dal quadro su Covid e vaccini. I tassi ritracciano ovunque. Wall Street dopo aver a lungo oscillato, chiude moderatamente in negativo.

Proviamo un po’ a contestualizzare la price action delle ultime ore, e fare qualche riflessione.
Il problema lo abbiamo già definito ieri. Il costante miglioramento delle aspettative di crescita USA e Globali ha iniziato a impattare sulle curve dei tassi, che finora erano rimaste ostaggio delle misure e delle guidances delle banche centrali. Ad un certo punto il mercato ha iniziato a mettere in discussione le loro stance e le loro view. Se la salita delle aspettative di inflazione negli ultimi mesi non ha disturbato più di tanto, il recente disancoraggio dei tassi reali (nella figura quelli USA ed Eurozone a 10 anni) e una divergenza dei tassi monetari dalla guidance FED hanno  finito con innervosire i risk assets.

Al solito, più che i livelli, ancora bassissimi, sono stati la rapidità del movimento e la tendenza a fare il danno. La reazione è stata esaltata da un sentiment e un positioning molto positivi, e un persistente sovrappeso in quei settori che più hanno da perdere da un rialzo dei tassi, come le big cap e la tecnologia.
Ora, i banchieri centrali hanno ragione quando dicono che un rialzo dei rendimenti reali e nominali causato da attese di accelerazione della crescita non è una cosa negativa. Hanno però 2 problemi
1) non è coerente con la guidance che hanno dato (QE ancora a lungo e tassi fermi fino al 2023 per la Fed ?) e sul quale i mercati azionari hanno basato le loro mosse
2) ulteriori movimenti bruschi possono in effetti avere un impatto sulle condizioni finanziarie (già sui mutui USA si nota) e quindi sulle economie.
In altre parole devono trovare il modo di gestire questa fase, senza perdere credibilità ne farsi giudicare “in ritardo” dai mercati”. E’ il problema di avere a che fare con un mercato assuefatto allo stimolo, che si sveglia d’improvviso.

Peraltro, se uno guarda alle cause di questo fenomeno, ovvero crescenti attese di una robusta accelerazione ciclica in US e altrove causa normalizzazione parziale e stimolo fiscale a pioggia, è vero che non si riesce ad essere troppo pessimisti per i risk assets nei prossimi mesi a meno che i tassi non detonino, cosa che le Banche Centrali dovrebbero essere in grado di evitare. Bisognerà rendersi conto che una salita dei tassi graduale è naturale e quindi accettare la volatilità che ne può derivare. Il rimbalzo del dollaro, e il calo dell’oro (che ha fallito miseramente il test di inversione di tendenza illustrato giorni fa) sembrano coerenti con questo scenario. Anche la sostanziale tenuta dell’azionario europeo in relativo, nonostante il quadro più fragile su economia e vaccini. In effetti, le pressioni sull’ECB sono meno forti, vista la natura disinflazionaria dell’Eurozona. E la quota di titoli value e ciclici negli indici europei è più elevata.