L’Asia stanotte ha beneficiato solo in parte del buon sentiment in arrivo dagli USA (dove ieri sera gli indici hanno chiuso vicino ai massimi di seduta).
Ad alimentare un po’ di nervosismo, l’incombere del CPI US, a cui gli operatori legavano il destino dei tassi US, e, almeno in parte, il rally del dollaro. Due temi piuttosto sentiti in quest’area ad alta percentuale di emergenti.
E’ un discorso che non si applica al Nikkei, che invece è uso beneficiare della forza del $. Ma l’azionario giapponese versa in una fase soporosa (in relazione agli altri indici dei paesi industrializzati, per lo meno) e cosi nemmeno oggi ha outperformato in maniera significativa gli altri indici dell’area (e visto l’outcome del CPI, dubito che lo farà domani).
Il resto dei principali indici dell’area ha mostrato moderati guadagni, ad eccezione di Mumbai, in lieve controtendenza, innervosita da qualche trimestrale e dalla forza del petrolio, di cui l’India è forte importatrice.
Sul fronte macro, in Cina sono stati pubblicati i dati sui prezzi alla produzione e al consumo di aprile. Il PPI ha risentito della salita del petrolio, rimbalzando a 3.4% da 3.1% dopo 5 mesi di calo a fila. Sotto attese il più importate CPI (1.8% da 2.1% e vs attese per 1.9%). La sorpresa è dovuta alla componente food, mentre ex food il dato è uscito a 2.1% in linea con la attese. Il comportamento benigno dei prezzi in Cina offre margine di manovra alla PBOC e quindi è una buona notizia per i mercati.
Sull’apertura europea ha impattato la svolta politica in Italia, con il ritorno in auge, dopo il benestare di Berlusconi, dell’ipotesi di un Governo Lega – 5Stelle. Si tratta chiaramente dell’ipotesi più invisa al mercato, pur con la migrazione su posizioni più moderate di Di Maio. Di questa compagine gli operatori non gradiscono l’impostazione euroscettica e la scarsa attenzione al tema della responsabilità fiscale. E poi c’è la fragilità derivante dalla differente estrazione dei rispettivi elettorati (in particolare geografica).
Bisogna poi considerare che Piazza Affari guadagna oltre 10 punti da inizio anno, vale a dire 5 volte la performance dell’Eurostoxx, e oltre il doppio del secondo migliore tra i principali indici europei, il CAC 30 Parigi. Il pretesto per una presa di beneficio è ghiotto. Discorso analogo per il BTP, che tra l’altro affronta domani le aste di metà mese (6.75 bln di carta a 3, 7 e 15 anni).
Gravati delle ambasce italiane, gli indici Eurozone sono risultati pigri nel fattorizzare la forza dei mercati US ieri sera dopo la chiusura europea. A ostacolare un po’ il sentiment, anche un crescente profit taking sul $, con gli investitori preoccupati che il CPI potesse deludere.
Prima del CPI US ci ha pensato la Bank of England a movimentare un po’ la seduta, con una performance più prudente delle attese che ha levato supporto alla sterlina e lo ha offerto ai Gilt,accentuando la tendenza dei rendimenti globali a scendere.
Alle 14.30, il CPI US di aprile ha nuovamente deluso. Il dato headline, a +0.2% da -0.1% ha mancato il consenso di 0.1%, anche se il dato anno su anno è uscito in linea. al 2.5%. Peggio il dato core, stabile al 2.1% anno su anno vs attese per 2.2%. Alla fine, la sorpresa negativa è dovuta a categorie volatili come auto, Ricreation services e tariffe aeree, mentre le componenti più stabili continuano a salire. E comunque la Core staziona sopra il target FED, sia pure di poco. Solo che il dato odierno non conferma certo quell’idea di un inflazione che sta per sfuggire al controllo, alla base del mega corto su tassi US che gli investitori portano avanti da mesi.
E cosi il 10 anni treasury si è bruscamente allontanato dal livello del 3%, le prese di beneficio sul dollaro sono aumentate. E l’azionario ha accolto, con diversi livelli di soddisfazione, la notizia che la FED non dovrà accelerare particolarmente nel percorso di rialzo. Entusiasmo negli emergenti (MSCI Emerging future +2%) che hanno recentemente patito il rialzo dei tassi US e del biglietto verde. Significativa soddisfazione negli USA, che sperano in una pausa nell’inasprimento delle condizioni finanziarie (rialzo del $ compreso). Parziale sollievo in Europa, che si trova nella condizione opposta, in particolare in relazione all’effetto sul $, ma si avvantaggia del miglioramento del sentiment globale.
Personalmente, non sono dell’idea di sovrappesare gli effetti di questo dato, in particolare sul $, il cui recupero è dovuto solo in parte al quadro inflattivo US (altrimenti il rally sarebbe cominciato molto prima). Ritengo che altri fattori, quali la divergenza tra il quadro macro US e quello europeo e globale, il calo del rischio politico percepito in US, e l’assuefazione alle frizioni commerciali, abbiano avuto un impatto maggiore sul cambio. Questi fattori sono ancora presenti (cosi come il trend di moderata crescita dell’inflazione US) e quindi mi aspetto che dopo una fase correttiva fisiologica, il dollaro continui ad apprezzarsi, seppure ad un ritmo più blando e discontinuo.
La forza di Wall Street ha trainato le borse europee poco ispirate ad una chiusura moderatamente positiva, con l’eccezione di Milano, che ha comunque ridotto un po’ le perdite. Il generale risk appetite ha sottratto un po’ di supporto ai bonds europei, che chiudono con rendimento in calo marginale. Per la carta italiana sono ancora 5 bps di allargamento dello spread, che portano a 25 bps la salita dal minimo del 25 marzo.
Il quadro tecnico fa altri passi avanti. Intanto sia il Nasdaq, che il Russell 2000 small cap ieri hanno superato in chiusura il massimo di aprile, interrompendo di fatto la serie di massimi e minimi decrescenti e aprendone potenzialmente una di massimi e minimi crescenti.
Il grafico del Nasdaq è sempre un po’ a rischio “testa e spalle”, ma al momento l’intonazione è più rialzista.
L’S&P 500, dopo aver avuto ragione della trendline discendente dai massimi, sta a sua volta lavorando sopra il massimo di aprile, anche se non abbiamo ancora la chiusura.
Il Russell 2000 Small Cap è a un inezia da fare nuovi massimi, nel qual caso sarebbe il primo indice a porre fine alla fase correttiva degli ultimi 3 mesi. Va ricordato però, a questo proposito, il fallimento del Nasdaq a marzo, quando il breakout falli’.