Infine, il giorno dei dazi è arrivato. Stamattina alle 6.01 italiane (mezzanotte US), le misure su 34 bln di merci cinesi sono entrate in vigore. Dazi su altri 16 bln dovrebbero essere elevati entro 2 settimane. E tanto rincarare la dose, Trump avrebbe dichiarato ai reporters, a bordo dell’ Air Force One, che altri 200 sono in corso di approvazione, più altri 300, per un totale di circa 550, solo sulla Cina.
Le autorità cinesi hanno reagito prontamente, elevando a loro volta dazi su 34 bln di prodotti USA. Nello statement che ha accompagnato l’entrata in vigore della rappresaglia, i Cinesi hanno ribadito che la loro è una reazione ad un aggressione, ma hanno confermato l’impegno ad aprire l’economia, migliorare la normativa in tema di proprietà intellettuali e creare un buon contesto per le aziende estere che intendono investire sul territorio. L’atteggiamento continua ad essere maturo, almeno a parole. Nei fatti, si moltiplicano gli episodi di ostruzionismo alla dogana. In America le lamentele da parte delle categorie colpite dalle rappresaglie stanno intensificandosi..
E’ opinione comune che l’indiscutibile forza del quadro macro USA in questa fase permetta a Trump di usare le maniere forti, in quanto l’economia US è in grado di assorbire meglio di Cina (ed Eurozone e Giappone) un moderato shock da frizioni commerciali. E’ vero. Il tallone d’Achille di Trump è, a mio modo di vedere, di vivere in una democrazia. Anche in un’economia forte, a imprenditori, lobby e lavoratori non piace di perdere occasioni di business a causa di comportamenti discutibili dell’Amministrazione. Mi aspetto che le voci di dissenso crescano di intensità negli USA nelle prossime settimane.
Con queste premesse, è forse un po’ sorprendente trovare che tutti i principali indici asiatici hanno ribaltato una situazione di debolezza iniziale, chiudendo positivi (ad eccezione di Taiwan, invariata). A guidare il gruppo, Tokyo, gratificata da un balzo dei labour cash earnings (+2.1% vs +0.9% atteso) di maggio ai massimi da 20 anni (positivo per inflazione e reddito disponibile). Meno brillanti ma pur sempre positivi, i mercati cinesi.
L’apertura europea è stata gratificata di un altro “hard data” buono in Eurozone, ovvero la produzione industriale tedesca di maggio, rimbalzata ben oltre le aspettative (+2.6% da prec -1.3% e vs attese per 0.3%). Una buona sintesi del miglioramento dei dati Eurozone la offre, come al solito, il grafico del Citi Surprise index, in solido recupero da metà giugno, dopo aver passato 3 mesi tra -80 e -100.
Sul fronte politico tedesco, apparentemente archiviato il problema migranti.
La verve dell’azionario Eurozone però si è progressivamente attenuata in mattinata, per motivi non del tutto chiari, al di la di una certa forza dell’€ e l’attesa per i dati macro US nel pomeriggio. Naturalmente le potenziali ricadute della trade war continuano a frenare il sentiment in Europa. A tale proposito sui media si continua a parlare della possibile eliminazione delle tariffe sul settore auto globale per evitare l’imposizione dei dazi USA. Junker potrebbe presentare la proposta a Trump entro fine mese, anche se per evitare noie con il WTO l’abbattimento dovrebbe riguardare tutti i dazi o quasi.
Nel primo pomeriggio, dal labour market report US è venuta l’ennesima conferma dello stato di grazia dell’economia USA. I nuovi occupati (213.000 vs attese per 195.000) hanno sorpreso in positivo, e i mesi precedenti hanno visto revisioni al rialzo per complessive 37.000 unità. La disoccupazione è salita da 3.8% a 4%, ma solo perchè il tasso di partecipazione al mercato del lavoro è salito di 0.2& a 62.9%.In altre parole, la forza lavoro è cresciuta di 500.000 nuovi occupati in più di quanti hanno trovato lavoro.
Ciò segnala che il mercato del lavoro USA ha ancora un po’ di spazio per crescere senza causare pressioni salariali forti, infatti i salari orari sono saliti sotto attese. Naturalmente il singolo dato si presta a distorsioni e revisioni e attribuirgli troppa importanza è sbagliato. In ogni caso questo è un dato favorevole ai risk asset perchè indica un’economia robusta ma non ancora surriscaldata e/o a corto di capacità. Quindi la FED può procedere con gradualità (a maggior ragione, visto che ci sono tensioni commerciali).
Cosi, l’azionario USA ha preso la via del rialzo trainandosi dietro indici Eurozone un po’ più svogliati, visto che il $ ha preso un po’ troppo alla lettera i dati su disoccupazione in rialzo e salari orari bassi, ed ha ceduto terreno contro € ed altre divise.
La chiusura europea vede i principali indici mostrare progressi marginali, nell’ambito di una settimana positiva forse oltre le attese del consenso. Rendimenti e spread chiudono pressochè invariati una seduta ondivaga. A metà seduta Wall Street mostra un altro solido progresso, trainata, manco a dirlo, dal Nasdaq.
D’altronde, la recente escalation nelle frizioni commerciali ha prodotto la quinta settimana a fila di deflussi dai fondi azionari USA (solo a giugno sono usciti 36 bln e questa settimana 8), e la differenza tra bulls e bears nella survey AAII era tornata a -11, minimi da aprile scorso. Due segnali che il livello di pessimismo degli investitori è tornato su livelli assai elevati, difficili da giustificare con questo quadro macro. Cosi, anche in un contesto disturbato dalle frizioni commerciali, dati positivi impattano. E l’earning season US entra nel vivo nelle prossime settimane.