Ricompare il panico sui mercati a fine settimana.

Nuovo ribaltamento di fronte ieri sera a Wall Street, con l’S&P 500 (-3.4%) che ha cancellato il grosso del vigoroso  rimbalzo di Mercoledi (e oggi sembra intenzionato a completare l’opera, con aggiunta).  Tra i settori peggiori, quello bancario (-5.75%) che anche in US sta soffrendo il collasso dei tassi.
Già perchè ieri il  10 anni USA è crollato a 0.91%, una discesa che impallidisce a fronte di quanto stiamo vedendo oggi, ma che ha costituito comunque il minimo storico.
Naturalmente,  peggio delle banche hanno fatto aviolinee (-8%) e Ristorazione (-6%).

Il tema al  centro della nuova ondata  di risk aversion è ovviamente la  diffusione globale  dell’epidemia: i casi che aumentano più o meno ovunque (enorme il balzo italiano ieri) le misure che prendono piede, ora anche in USA, dove si sono avuti i primi decessi. Le dichiarazioni delle autorità che chiariscono che l’obiettivo non è evitare il contagio, ma rallentarlo. E le ammissioni di impreparazione, come quando l’amministrazione USA ha chiarito che non riuscirà ad avere 1 mln di test disponibili per il fine settimana.

Il  punto è  che gli investitori stanno mettendo a fuoco la  portata  dello shock alla domanda portato  dalle misure, attraverso l’impatto sulla  psiche dei consumatori.  I crolli dell’attività  in Cina fanno da case study per  quanto  si potrebbe vedere nei vari paesi occidentali.  E  i business più  esposti mostrano già  statistiche allarmanti (*LUFTHANSA TO REDUCE FLIGHT CAPACITY BY UP TO 50% ON CORONAVIRUS).
E poi c’è il  rischio che la  situazione peggiori, nel caso i sistemi sanitari non riescano a sopportare i carichi di lavoro. Se la Cina ha sempre mantenuto ufficialmente la massima fiducia nella tenuta del  sistema, in Eurozone e USA gli sforzi profusi per adeguare le  strutture, e rallentare il  contagio,  da  soli, illustrano bene il  rischio  che le autorità  stanno cercando di gestire.

In generale,  è  una situazione senza precedenti:  uno shock contemporaneamente di offerta e di  domanda, difficile da  valutare  sia come entità  (non c’è  storia) che come durata (non sappiamo che evoluzione avrà la  situazione) e  con un’ampia distribuzione di possibili outcome, dal  migliore (picco a marzo e successiva normalizzazione ) al peggiore (collasso dei sistemi sanitari e panico),  con ampia gamma di soluzioni intermedie.
La mia impressione è che i mercati azionari (al di la  di anomalie come la Cina) non prezzino ancora interamente i rischi.  Wall Street ha fatto un movimento violentissimo, è vero,  ed  è  su livelli di volatilità realizzata e implicita che hanno quasi sempre favorito stabilizzazioni e rimbalzi. Ma  in termini di livelli, l’S&P è tornato in area 3.000, un target superato definitivamente appena in autunno scorso, tra scetticismi dilaganti sull’efficacia delle politiche monetarie che ora dovrebbero salvare la giornata. Ma il Price/earning è sceso da 19.4 a 17.3,  ancora distante quasi tre punti da quel 14.5 raggiunto a Natale 2018. E le stime degli utili scenderanno parecchio.
Altri indici,  come ad esempio quelli europei, avevano fatto meno, ma mostrano trend più  deboli (l’Eurostoxx, dopo  un falso breakout, è rientrato in un range 2700-3800 che lo contiene da oltre 5 anni) e sono formati da aziende che operano in un contesto più fragile (vedi il discorso fatto alla fine del pezzo di ieri sulla p’robabile overperformance USA).
Insomma, se quest’evento  è  in grado di causare una recessione globale, o  anche un marcato rallentamento, come sembrano indicare i tassi di interesse e la precipitosità di alcune Banche Centrali (vedi anche gli esempi illustrati nel Lampi di Martedì scorso – link ), cosa che ritengo probabile, la  reazione dell’azionario sarà  sicuramente più profonda e duratura di quanto osservato nella seconda metà di Febbraio.

Dopo  questa ventata di ottimismo, passiamo al resoconto della giornata odierna. La U-turn nel sentiment è stata talmente forte da imporre perdite perfino agli indici cinesi. Non che le “A” shares si siano astenute dall’outperformare gli altri indici dell’area, tutti con perdite superiori al 2% ad esclusione di Taiwan. Shanghai se l’è cavata  con un -1.2% che la lascia positiva di quasi il 6% a 30 giorni, a fronte del -9% del MSCI World (indice aggregato dei paesi industrializzati). Sono proprio curioso di vedere che dati verranno pubblicati nei prossimi giorni in termini di 1) bilancia commerciale cinese di Febbraio (domani) 2) produzione industriale, retail sales e investimenti (in uscita il  16 Marzo) e 3) aggregati monetari di Febbraio (prossima settimana).

L’apertura europea è  avvenuta comprensibilmente con un sentiment pesante, visto quanto osservato  in Asia, e il fatto che oltre la  metà della discesa di Wall Street ieri sera è maturata dopo la  chiusura europea. Ma a rubare la scena ad un azionario in forte discesa è stato il collasso dei rendimenti, osservato in particolare sulla curva USA. Basti pensare che il 10 anni USA è terminato sotto lo 0.7% in mattinata, per un calo di oltre 20 bps, e il 5 anni è terminato sotto lo 0.5%. Spettacolare il collasso del long end, con il 30Y sotto l’1.3% in grado di guadagnare a tratti 12/13 figure. Al momento il mercato sconta altri 65 bps di taglio dei Fed Funds al  FOMC del 18 Marzo.
Meno aggressivi i cali dei rendimenti Eurozone, che hanno comunque meno spazio per prezzare misure aggressive dell’ECB, ma i BTP  sono stati protagonisti di una pessima apertura ed una seduta  assai voltatile, prima di recuperare compostezza.

In altri tempi, la  giornata odierna sarebbe stata dominata dalla pubblicazione del labour market report USA di Febbraio, tradizionale market mover del mese. La  reazione del mercato a questo dato non potrebbe illustrare meglio la  situazione attuale.
Infatti il report è assai migliore delle attese: 273.000 nuovi occupati vs attese per 175.000 e con 85.000 di revisione al  rialzo dei 2 mesi scorsi. Disoccupazione al 3.5%, e salari orari e ore lavorate in linea con le  attese. Numeri che in passato avrebbero impresso pressioni rialziste ad azionario, dollaro e tassi. E numeri per nulla coerenti con aggressivi tagli dei Fed Funds, meno che mai intrameeting.

Ma si tratta di statistiche appartenenti ad un altra  epoca, in cui l’economia USA e  globale  stava riaccelerando, sospinta dall’easing monetario erogato nel 2019.
Il  coronavirus cambia il quadro. L’attività economica sta per affrontare le  misure contenitive e l’impatto psicologico, su consumatori e aziende, dell’epidemia, di entità  ancora sconosciuta ma senz’altro materiale. E così i mercati hanno snobbato totalmente i dati e azionario, divisa e tassi continuano a calare in modo aggressivo.
Nel finale  di seduta europea la  risk aversion si è fatta così acuta che si è in parte riproposto il  quadro di venerdì scorso, con liquidazioni anche di oro e goldminers, e qualche presa di beneficio anche sui tassi.
Chiusura da dimenticare per l’azionario continentale, con solo il Dax (-3.37%) in grado di cedere meno del 3.5%. In una seduta meno selvaggia di quella dei Treasury, abbiamo comunque avuto, per i tassi tedeschi, il nuovo minimo per il 30 anni, a -0.3%.
Il BTP si è  ricomposto nel finale, trainato dalla parte lunga. L’ECB per il momento tace, ma io non mi stupirei che a breve comparissero  le  soilte “sources” ad anticipare qualche misura che dovrebbe vedere la  luce Giovedì.
Pesantissime le commodities, zavorrate dal Petrolio, che ha sofferto enormemente il nulla di fatto OPEC ( *OPEC+ TALKS END WITHOUT A DEAL: DELEGATE).
Come chiuderà  Wall Street? Si farà terrorizzare dal  possibile newsflow del Week End o vedremo qualche chiusura di posizioni ribassiste? Qualunque cosa accada, non costiuirà certo l’ultimo capiutolo di questa fase.