L’esecutivo US appoggia ufficialmente il $ debole… Domani vedremo Draghi

Lampi di Colore 959

A giudicare da tono della seduta asiatica,  non sembravamo indirizzati verso la  giornata campale  (almeno per alcuni asset) che poi si è  rivelata. L’azionario US aveva deliverato ieri sera il  suo  rialzo  quotidiano. Il dollaro ha mantenuto il suo lento trend ribassista,  e ciò si è  riflesso sull’azionario giapponese,  che presumibilmente non ha gradito il  rafforzamento dello Yen nonostante la  stance  BOJ invariata e i toni dovish di Kuroda. La bilancia commerciale di Dicembre, recante un surplus assai inferiore al consenso (export sotto  attese e import sopra), non ha aiutato,  anche se il malumore è stato parzialmente compensato dal PMI manifatturiero in ulteriore recupero. Il  resto degli  indici ha mostrato variazioni marginalmente positive,  ad eccezione del  solito  HSCEI (+1%) e invece Taiwan negativa,  presumibilmente per l’impatto sul  settore  semiconduttori del  miss di Texas Instruments.

L’apertura europea è  avvenuta con un tono incerto, un occhio all’€, col  timore che l’ECB domani si dimostri efficace quanto la  BOJ ieri nel contenere la sua forza, l’altro ai buoni PMI flash di gennaio, dove ad un lieve assestamento del manifatturiero si è contrapposto un ulteriore miglioramento del settore servizi. Il dato  Eurozone Composite, a 58.6 da precedente 58.1 e sopra attese per 57.9,  oltre a  segnare il record dal  2006, continua ad indicare un’economia Eurozone in fase di boom (crescita sopra il 3% annualizzato). Ciò fornisce sicuramente un supporto alla  divisa, ma dovrebbe supportare anche l’azionario e premere sui rendimenti dei bonds.

La bomba vera è  scoppiata vero le  10,  quando sono comparsi i commenti del Segretario del  Tesoro USA. Mnuchin ha in sostanza dichiarato di non essere preoccupato per la  sorte del  Dollaro, e che la sua debolezza è un fattore positivo per  il  commercio. Il messaggio è  stato in un certo senso accentuato  dalle dichiarazioni del  Ministro del  Commercio  US Ross,  che ha sostenuto tra l’altro che una  “Trade War” viene combattuta da un bel po’ di tempo,  e che l’unica differenza recente è che gli  USA sono passati al  contrattacco.

Insomma, l’attuale amministrazione,  per  motivi mercantilistici ha messo fine a oltre un quarto di secolo di retorica supportiva,  tanto è durato il  periodo  in cui,  almeno formalmente, le  autorità hanno costantemente dichiarato che “un Dollaro  forte era nell’interesse dell’America”.

Diciamolo, l’atteggiamento del  Governo Trump rappresenta la  quintessenza dello “short-termismo” (mi si conceda il termine, a quest’ora non mi viene in mente un sinonimo in italiano)

** Non si è  fatto scrupolo di varare un piano di stimolo  fiscale,  finanziato con aumento del deficit in una fase in cui il  ciclo era robusto e maturo, le aziende US avevano pieno accesso a capitale e credito a  costi bassi, e il mercato del lavoro era prossimo alla piena occupazione
** Sta spingendo la deregulation finanziaria e liberando le banche dai limiti messi all’indomani della crisi per contenerne la  leva e il  risk taking
** Sta uscendo da  tutti gli accordi sul clima, etichettati come inutili e costosi
** Non fa che magnificare la  performance dell’azionario, ottenuta in gran parte grazie ai sopracitati provvedimenti
** Rinvia i problemi di finanza pubblica utilizzando rimedi della durata di poche settimane
** E  ora mina apertamente le  fondamenta della divisa,  allo scopo  di guadagnare competitività per  un economia,  quella  US, già  agevolata  dal  calo della corporate tax e dalla  ridiscussione degli accordi commerciali.
** Tutto ciò,  sospendendo  il  giudizio sui cambiamenti da lui voluti e/o provocati alla FED,  sugli effetti dei quali non ci si può ancora esprimere

Mi pare che le caratteristiche di una politica votata a barattare successi di breve con problemi nel lungo  periodo ci siano tutte. Condizioni ideali, a mio modo di vedere, per  la  formazione di una nuova bolla  speculativa nei prossimi 18/24 mesi.

Tornando alla seduta odierna,  il  traballante Dollaro non chiedeva altro che l’endorsement ufficiale per riprendere aggressivamente la via del  ribasso, perdendo rapidamente terreno nell’ordine contro sterlina,  Yen ed € (per citare solo le  divise principali ).  Il  resto, dati macro  US compresi (PMI flash gennaio  in lieve assestamento causa calo  servizi, e vendite di case di dicembre in calo) è  passato  in secondo piano.

Wall Street,  dopo una partenza brillante, ha ripiegato,  eventualmente innervosita dai toni sempre più aspri sul global  trade tra US e  principali partners commerciali.  Ma ha senso davvero  cercare la  causa di un marginale storno in un indice che ha guadagnato  il 6% nei primi 20  giorni dell’anno e l’11% in 3 mesi?
Naturalmente, non si può chiedere all’azionario europeo (e giapponese,  domani) di assorbire un calo  di Wall  Street in una giornata in cui la  divisa recupera un 0.9% contro dollaro (1.2% nel caso dello Yen) facendo  segnare i massimi da 3 anni.
Con queste premesse, la chiusura negativa degli indici europei non può  sorprendere più di tanto, ed  anzi prima della discesa finale non sarebbe stato  uno scandalo  parlare di resilienza per l’azionario europeo.
Domani ,  a mio modo di vedere, a Draghi non conviene avventurarsi in eccessivi tentativi di contenere la forza dell’€, tentativi che con ogni probabilità  gli si ritorcerebbero contro.  L’atteggiamento più proficuo a medio termine, a  mio modesto  parere, è  di tenere la  barra dritta,  confermando le anticipazioni lasciate trapelare ad arte nei giorni scorsi,  e  sottolineando che l’apprezzamento della divisa rallenta il  recupero dell’inflazione, ma non ne modifica la direzione (cosi come  il suo  calo anni fa non l’ha fatta certo esplodere).
Detto  questo, vedremo.  Non sarebbe certo la prima volta  che il  Presidente ECB esce alla grande da un contesto difficile.