Seleziona una pagina

Prosegue la fase di risk aversion sull’azionario in chiusura di settimana.


Prosegue sui mercati la fase di de-risking iniziata in grande stile ieri.
Dopo le indiscrezioni di CNBC uscite ieri pomeriggio, Trump, interpellato dai cronisti, ha inizialmente confermato che non incontrerà il presidente cinese XI prima del primo marzo, aggiungendo subito dopo un dubitativo “improbabile”. Ha aggiunto che “forse” si incontreranno dopo. Il Presidente USA se la era preparata bene, questa scena, anticipando i giorni scorsi che qualunque accordo sarebbe dovuto passare tra un incontro tra lui e Xi, e cosi ora il mercato sospetta che alla fine il temuto rialzo dei dazi ci sarà.
Dopo un rimbalzo del 15% in borsa, e con la deadline del 1 marzo in arrivo, era forse prevedibile che l’amministrazione USA cercasse di aumentare la pressione sulla Cina, allo scopo di ottenere proposte più favorevoli. Rendere la controparte fiduciosa che il raggiungimento di un accordo è scontato non è una buona tattica di negoziazione. In questo senso, probabilmente le schermaglie di questi ultimi giorni non cambiano di molto le prospettive di un’estensione della tregua. Si può inoltre ipotizzare che entro il 1 marzo venga effettivamente fissato un incontro, e ciò sia sufficiente a sospendere l’aumento dei dazi fino a quel giorno.
Naturalmente, la retorica costruttiva tra le parti dell’ultimo periodo era stata tra i fattori a supporto del recupero del sentiment ed è normale che quest’irrigidimento causi un po’ di tensioni.
C’è anche la questione Huawei a inquinare il clima. Secondo Politico.com Trump si appresta a firmare la prossima settimana un divieto di utilizzo di componentistica cinese nelle reti di telefonia mobile USA.
Se non altro, sul fronte budget USA sembra che a Washington si stiano facendo progressi in direzione di un accordo, che potrebbe essere raggiunto nel week end

Con queste premesse, la riapertura di Hong Kong ha visto le “H” shares correggere (HSCEI -0.75%), e non sembra, al momento, che per le “A” shares sarà particolarmente diverso, lunedi. In correzione anche tutte le altre principali piazze, guidate da Tokyo che non si fa mai pregare in queste occasioni, ma questa volta non può nemmeno incolpare uno Yen rimasto insolitamente calmo.
L’apertura europea ha visto gli indici esordire con un tono cautamente positivo. In fin dei conti Wall Street aveva recuperato un po’ ieri sera, chiudendo con una perdita inferiore all’1%.
Il trade balance tedesco di dicembre ha interrotto la serie di dati negativi in uscita dalla Germania: esportazioni e importazioni in crescita sopra attese offrono un piccolo indizio di ripresa degli scambi commerciali. La sorpresa positiva sulle esportazioni (+1.5% vs attese per +0.4%) riduce anche un po’ il rischio che la prossima settimana il GDP venga rivisto in negativo, producendo una recessione tecnica. Sostanzialmente in linea la produzione industriale francese di dicembre, anche alla luce delle revisioni a novembre.
Ma non poteva passare giorno senza la stecca macro quotidiana dall’Eurozone. La produzione industriale italiana di Dicembre ha deluso le attese che vedevano un modesto rimbalzo per mostrare un calo di 0.8% dopo il -1.7% di Novembre. Il dato anno su anno è un eloquente -5.5%. Il dato è arrivato in perfetto orario per stroncare il tentativo di rimbalzo del BTP e di Piazza Affari.
Oggi non erano previste pubblicazioni di dati in US, e così il mercato è rimasto preda delle sue paure nel pomeriggio. L’apertura di Wall Street in brusco calo ha aumentato la pressione sugli asset continentali, e così gli indici europei hanno accumulato nuove perdite.
L’incremento della risk aversion ha provocato la comparsa di alcuni grossi venditori di carta italiana, con il risultato che il rendimento del BTP 10 anni ha superato il 3%, per la prima volta da dicembre scorso. L’approdo su questa soglia ha prodotto l’arrivo di un po’ di compratori sul future, con il risultato che, dopo tanta volatilità, l’effettiva salita del rendimento è modesta. Ma le scadenze brevi hanno sofferto di più e il rendimento del bucket 5 anni ha superato il 2%. La salita è di 50 bps in appena 6 sedute, mentre lo spread nello stesso lasso di tempo + salito di 49.

Ripensando all’ultimo meeting ECB, con l’assessment del quadro da parte del Governing Council e le decisioni rinviate al 7 marzo, mi sembra che i recenti eventi non lascino troppo spazio agli equivoci. I dati continuano ad uscire brutti, 2 delle principali economie sono in stagnazione (una, o eventualmente entrambe, in recessione tecnica) e i segnali di stress sui mercati si stanno accumulando: la curva tedesca offre rendimenti negativi fino a 9 anni, mentre il 10 anni Bund ha raggiunto oggi gli 8 bps di rendimento. Sospetto che, come per Trump, anche le recenti esternazioni anonime sulla TLTRO (“non ci sembra che vi siano ancora le condizioni”) abbiano la funzione di non far sembrare scontata una decisione che di fatto lo è, anche più di quella sul Trade. In questo senso, mi aspetto che il mercato obbligazionario, e magari anche il settore bancario europeo, avvertano, in tempi non troppo lunghi, un po’ di supporto dalla possibilità che la banca Centrale Europea rompa gli indugi a marzo.
Il rimbalzo del BTP, e qualche flusso di ricopertura finale, hanno permesso agli indici europei di mettere un po’ di distanza tra i minimi di seduta, segnati alle 17, e l’effettiva chiusura. La variazione settimanale è però negativa, in alcuni casi largamente (Dax -2.4%) un epilogo che sembrava improbabile a metà settimana.
Sorprendente, in questo contesto, la scarsissima volatilità mostrata dai cambi, protagonisti di una settimana assai monotona. Perfino lo yen, tradizionale termometro della risk aversion, si è mantenuto in un range di appena 0.6%, nonostante il violento swing nel sentiment.
Un discorso simile si può fare per le commodities, che dopo aver partecipato alla fase di rialzo hanno in generale mostrato consolidamento di entità inferiore a quanto visto sull’azionario. Il rame ad esempio chiude la settimana il rialzo, mentre il brent perde l’1.5%. Può trattarsi di un semplice ritardo, oppure di un indizio che sull’azionario stiamo assistendo a prese di beneficio, e non ad un sostanziale cambio di trend.