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FOMC, basteranno 3 rialzi per recuperare il tempo perduto?

Lampi di Colore 534

La seduta asiatica ha avuto un tono positivo stanotte. L’India ha festeggiato in ritardo la sonante vittoria di Modi (ieri era chiusa) mentre Seul ha proseguito il breakout messo a segno ieri.
In Cina, i dati di febbraio hanno confermato il buon momentum del ciclo. La produzione industriale di febbraio ha sorpreso in positivo (6.3% YoY da 6.0% e vs 6.2% atteso). Negative le retail sales (+9.5% da +10.4% e vs +10.6% atteso), gravate dalla fine degli incentivi alle vendite auto e dal CPI basso. Ma la sorpresa sono stati gli investimenti fissi (+8.9% da +8.1% vs attese per +8.3%). A trainare l’aggregato, gli investimenti in infrastrutture, e quelli nell’immobiliare, che sembra in fase di riaccelerazione nonostante le misure di contenimento varate i mesi scorsi in alcuni distretti. Giorni fa, si era notata l’assenza di accenni al surriscaldamento del property sector, una sorta di semaforo verde al settore. Sembra quindi che effettivamente abbia ragione chi dice che le autorità vogliono mantenere questo livello di attività fino al congresso di autunno (in cui viene rinnovata la prima linea del partito), a costo di correre qualche rischio in più. O forse in questa fase prediligono il controllo del credito. In ogni caso i segnali di rallentamento ciclico in Cina al momento sono assenti.
L’azionario locale però non ha particolarmente festeggiato i dati, con solo lo HSCEI in grado di avanzare.
Tokyo “sente” il meeting Bank of Japan di giovedi mattina, col timore che anche la BOJ segnali un tenue inasprimento della stance cosi come ha fatto di recente la Fed, e in minor misura l’ECB.

Il sentiment è peggiorato poco dopo l’apertura europea, senza un ovvio catalyst, al di la di quelli ben noti (FOMC, elezioni olandesi, approvazione della legge per attivazione articolo 50 da parte del parlamento inglese). A guidare il ribasso, comprensibilmente, il settore energy, insieme alle banche che dopo giorni di rally hanno visto prese di beneficio.
Sul fronte macro, nessuna sorpresa dal CPI tedesco di febbraio, mentre la produzione industriale EU di gennaio ha deluso le attese (+0.9% vs +1.3% atteso) ma il quadro è ribilanciato dalla revisione al rialzo del dato di dicembre, da -1.6% a -1.2%.

Pesanti anche gli spread in mattinata, tra frizioni tra EU e Italia per l’aggiustamento da 0.2% di GDP richiesto al Governo (secondo i media italiani al prossimo Eurogruppo verrà minaccia ta una procedura di infrazione) e nervosismo per le elezioni olandesi in scena domani.
Il motivo dell’attenzione che ha circondato quest’ultima consultazione elettorale è che in testa nei sondaggi (sebbene la sua leadership non sia più cosi chiara negli ultimi giorni), c’è il partito nazionalista di Gert Wilders, una formazione che incarna alla perfezione l’onda populista e anti-immigrazione che ha vinto in UK e US, con la Brexit e Trump. Wilders propone l’uscita dall’€uro, la chiusura delle frontiere, e la chiusura delle Moschee e il bando del Corano.
In realtà, è praticamente impossibile che Wilders vada al potere in Olanda. Il suo partito si contende la testa dei sondaggi con il Centrodestra di Rutte, con percentuali intorno al 15-16%. Per governare serve la maggioranza e nessun partito ha alcuna intenzione di coalizzarsi con lui. Ciò detto esistono potenziali effetti indiretti di una sua affermazione rotonda come primo partito. Supponiamo che Wilders outperformi significativamente i sondaggi (nelle precedenti elezioni non è avvenuto). Ciò potrebbe portare i mercati a prezzare maggiormente la possibilità che anche la Le Pen ottenga un risultato superiore a quanto attualmente accreditatole, con effetti assai più incerti sull’esito delle Presidenziali francesi. In generale un risultato forte di Wilders non avrà conseguenze sulla linea politica in Olanda, ma può influenzare il risultato politico in Francia e altrove.
Quindi attendiamoci un impatto in un senso o nell’altro, in caso di sorprese Giovedi mattina.

A metà giornata il petrolio ha ripreso la discesa in seguito alla pubblicazione di un report OPEC recante l’indicazione che i Sauditi hanno estratto 10 milioni di barili al giorno a Febbraio, recuperando un terzo dei tagli fatti a Gennaio. L’impatto si è notato sia su azionario che su credito, con anche gli spread europei che hanno mostrato tendenza ad allargare moderatamente.

In US, il NFIB small business optimism di marzo ha ritracciato marginalmente, ma resta su livelli storicamente elevatissimi ( 105.3 da 105.9 e vs attese per 105.6). Degna di nota la difficoltà riportata dagli imprenditori a reperire personale qualificato, a fronte di un sottoindice di ricerca di personale ai massimi dal 2000.
I prezzi alla produzione di febbraio sono usciti sopra attese anche nella componente core, confermando le prezioni sui prezzi dei semilavorati.

Ma il clima è rimasto opaco, con Wall Street tendenzialmente negativa, e i rendimenti in calo nonostante le pressioni riportate sui prezzi. Ovviamente il petrolio, con l’impatto sul settore energy e sull High Yield (che scende quasi ininterrottamente da fine febbraio) costituisce il principale motivo per la risk aversion.
Un altro forse è l’incombere del FOMC, rilenvante non tanto per il rialzo di 25 basis points, ormai scontato, ma per gli indizi che la Yellen e C. forniranno sul futuro ritmo di normalizzazione dei tassi, ed, eventualmente, sul possibile inizio della riduzione del bilancio FED. Gli strumenti per questa comunicazione sono le economic projections, la famigerata dot plot che raccoglie le previsioni sui tassi dei singoli membri e la conferenza stampa trimestrale. Il mercato al momento prezza quasi 3 rialzi per il 2017 e, diciamo, 5 cumulativi da qui al 2018. Un eventuale significativa migrazione dei Dots, in particolare nel 2018 dove la mediana già sconta oltre 25 BPS più del mercato, darebbe un segnale hawkish.
Personalmente, mi attenderei in generale un FOMC più restrittivo delle attese. Con il mandato sul mercato del lavoro praticamente raggiunto, quello sui prezzi a portata di mano, l’assenza di rischi incombenti nel quadro internazionale e le condizioni monetarie assai rilassate, la Fed è chiaramente in ritardo nella normalizzazione della politica monetaria.
Peraltro esiste anche qualche argomento contrario ad un cambio di stance troppo brusco. Intanto, come osservato più volte i giorni scorsi, i “hard data” non condividono l’ottimismo delle survey, e qua e la mostrano qualche pecca. Reduce dall’aver modificato a colpi di retorica il pricing del mercato per poter alzare, la Yellen potrebbe decidere di attendere, prima di indurre ulteriore repricing. E poi, le commodities, principali artefici dell’aria di reflazione diffusasi da settembre scorso, recentemente hanno invertito la marcia, e assente una stabilizzazione, inizieranno a breve a invertire l’impatto sul CPI. E’ il caso del petrolio, che ha ancora 2 mesi di effetti base positivi (decrescenti) e poi, se non rimbalza, inizierà a gravare negativamente sui CPI. E’ vero che in US l’inflazione non è unicamente un fenomeno energy. Ma comunque, un dato headline decrescente non è un buon viatico per i rialzi dei tassi.
Questo è un argomento un po’ ambivalente, perchè può anche implicare che se le commodities non ritrovano il trend rialzista, la finestra per alzare i tassi si accorcia. E la Fed deve sbrigarsi.
Quindi in questo caso mi trovo chiuso tra la sensazione che la Fed debba correre per recuperare il tempo perduto, e il sospetto che il quadro non sia cosi brillante come appare a prima vista e quindi una stance eccessivamente restrittiva sia destinata ad essere ritrattata più avanti.

I miei sospetti sembrano in minima parte condivisi dal mercato. Infatti il dollaro in generale recupera terreno  anticipando un FOMC marginalmente più restrittivo, ma l’azionario cede e i bonds recuperano terreno con maggior vigore sui segmenti più lunghi della curva, quasi a consigliare prudenza alla FED.