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Occupazione US sopra le attese. Pressioni su dollaro e tassi

Lampi di Colore 526

Continua il moderato nervosismo sui mercati in attesa dei “big events” della settimana (ECB e Payrolls US).
Ieri Wall Street ha chiuso in calo per la seconda seduta a fila (-0.3%). Nulla di che, peccato che 2 sedute col segno meno di seguito mancavano da gennaio. Nervosismo, appunto.
Scherzi a parte, i principali ETF di high yield US hanno perso circa un 1% in 2 sedute, nulla di che, di nuovo, ma il primo discernibile segnale di debolezza da metà novembre.

Il calendario macro ha assicurato un po’ di emozioni in Asia stanotte:
** Il trade balance cinese di gennaio ha mostrato il primo deficit da febbraio 2014, grazie ad un esplosione (+38% anno su anno in $) delle importazioni, mentre le esportazioni sono stabili (-1% YoY in $). Riserve valutarie che crescono e deficit commerciale? Non sembra davvero la Cina che siamo abituati a conoscere. Ovviamente una spiegazione parziale c’è. La collocazione del Capodanno Cinese a gennaio (l’anno scorso era a febbraio) produce dei violenti effetti base, che hanno impattato sui dati, e per avere un quadro più preciso dovremo aspettare il mese prossimo. Detto ciò, sembra improbabile che l’intero balzo possa essere ascritto a distorsioni stagionali. La forza delle importazioni di per se lascia intendere che l’economia cinese resta assai robusta. Sperando che non sia ripreso il fenomeno delle false fatturazioni. Hong Kong e HSCEI hanno gradito le news, meno i mercati locali.
** In Giappone, il GDP del quarto trimestre 2016 è stato rivisto al rialzo, ma meno delle attese (0.3% vs 0.4% atteso). Ottimo il contributo degli investimenti privati, mentre i consumi sono rimasti deboli e le scorte hanno sottratto al dato più di quanto messo in conto alla prima stima. Tokyo ha reagito negativamente, anche a causa del moderato rafforzamento dello Yen. Vedremo domani se gli eventi odierni le restituiscono brillantezza.

L’apertura europea ha visto prevalere un sentiment leggermente più costruttivo, per lo meno sull’azionario. Intanto c’è stato l’auspicato rimbalzo della produzione industriale tedesca in gennaio (+2.8% da -2.4% e vs 2.7% atteso). E poi la tensione sui tassi in attesa della survey occupazionale privata US ADP ha indebolito l’€ ed ha avuto un effetto benefico sul settore bancario europeo.

Nel primo pomeriggio, l’ADP survey di febbraio ha mostrato un incremento di 298.000 nuovi occupati del settore privato US, vs attese per 187.000. Ora, non è che l’affidabilità di questa survey sia stata granchè di recente, ma le attese per i payrolls di venerdi sono per 190.000 unità. E’ evidente che questo dato aumenta clamorosamente la probabilità di un dato sopra consenso. A questo punto, il rialzo di 25 bps mercoledi prossimo è praticamente sigillato, e la vera domanda è di quanto aumenteranno le projections macroeconomiche e sui tassi del FOMC.
Su queste basi, il rialzo dei rendimenti US (+3 bp a 2.55% il 10 anni) e quello del dollaro (dollar index +0.35% a 102.15) sembrano perfino compassati. Il fatto è che il positioning continua ad essere un ostacolo a repricing violenti, sopratutto su tassi, dove il corto è importante, ma anche sulla divisa.
Oltre a ciò, forse qualcuno si chiede se anche al FOMC abbiano qualche dubbio sulla reale forza dell’economia US, alla luce della perdurante divergenza tra dati reali e survey. Ad esempio ieri il consumer credit di gennaio ha deluso assai (8.7 bln vs 17 attesi), risultando più in linea con la loan Officer Survey Fed che con la consumer confidence. E le scorte all’ingrosso di gennaio hanno indotto il modello della Fed di Atlanta a levare un altro 0.1% alla sua stima per il trimestre in corso: siamo a 1.2%.
Dubbi più che legittimi, a mio modo di vedere. Ma la Fed è in una condizione in cui non può più perdere tempo e sprecare occasioni di normalizzare la politica monetaria. Il duplice rischio è da un lato di consentire la formazione di bolle negli asset, e dall’altro di giungere con i tassi troppo bassi di fronte ad un eventuale futuro rallentamento. Per cui credo che Yellen e C. cercheranno di sfruttare questa finestra temporale in cui la crescita nazionale e globale sembrano avere momentum.
La giornata europea si chiude con variazioni marginali sui principali indici, mentre Wall Street non sembra aver ancora deciso che direzione prendere. Le news US hanno messo pressione ai rendimenti della curva tedesca, ma Francia e principali periferici non se ne sono avvantaggiati in termini di spreads. Il credito europeo ha visto la continuazione delle prese di beneficio sulle parti più volatili viste ieri, con l’High Yield che comincia a vedere un contagio da quello US.

Significativo il movimento del petrolio (-4%) che ha toccato il minimo da 6 settimane. Gli operatori hanno guardato alle scorte EIA, ma il dato era stato anticipato da quelle API stanotte, e comunque il contestuale calo delle scorte di prodotti raffinati riequilibra l’impatto del report. La novità è l’aumento delle stime di produzione da parte dell’agenzia americana, a 9.21 mln giorno da   8.98 per il 2017, e  9.73 mln da 9.53per il 2018. Ma soprattutto sul mercato pesa l’enorme lungo speculativo segnalato ancora dal report CFTC della scorsa settimana.
Un aiuto per Draghi, che domani ha il compito di riconoscere il miglioramento del quadro macro Eurozone e salutare il ritorno al 25 dell’inflazione headline EU, senza spaventare il mercato segnalando che il Governing Council scalda i motori sul tapering, cosa che si tradurrebbe prima di tutto in un balzo della divisa unica, ed in generale in un indesiderato inasprimento della politica monetaria.
Draghi potrà sottolineare che da questo mese prendono effetto le misure decise a dicembre (gli acquisti di asset della Banca Centrale scendono di 20 bln, a 60 bln al mese), bisogna valutare gli effetti di questa riduzione e quindi è molto troppo presto per valutare ulteriori modifiche. Inoltre, il miglioramento del quadro sui prezzi è in gran parte dovuto a effetti base su energia e cibo e e come tale non “self sustaining” condizione necessaria per rimuovere lo stimolo.