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La Cina prova a frenare il credito?

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NB Lampi si ferma una settimana e torna lunedi 13

La giornata del labour market report US è iniziata con un tono nuovamente incerto in Asia. A frenare gli entusiasmi, un ritorno sui mercati negativo per gli indici cinesi. La fine dei festeggiamenti per il nuovo anno è coincisa con la pubblicazione del PMI Markit manifatturiero di gennaio, che ha deluso le attese di stabilità (51 da prec 51.9 e vs stima per 51.8) segnalando un rallentamento superiore a quanto mostrato dal PMI ufficiale. Il rallentamento si è manifestato in tutti i sottoindici, compresi quelli sui prezzi. Unico dato in accelerazione, quello relativo agli export orders. Eventualmente, le festività possono aver pesato un po’ sui livelli di attività del manifatturiero, che restano comunque su livelli accettabili, in particolare rispetto al recente passato

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Oltre a ciò, le autorità hanno nuovamente messo mano ai tassi monetari (dopo la mossa del 24 gennaio) alzando l’overnight lending facility di 35 bps, la settimana e il mese di 10 bps, e i reserve repo rates di 10 bp. E’ evidente l’intento di approfittare della fase macro positiva per accelerare sul fronte del tightening, allo scopo di frenare la crescita del credito, riportandola sotto controllo dopo  trimestri di baldoria.
L’inasprimento della politica monetaria cinese è ben visibile sui tassi monetari (vedi grafico) cosi come lo era stato l’easing durante la prima metà del 2015, ai tempi sottolineato come foriero, insieme all’annacquamento delle norme anti speculazione,  di un rimbalzo congiunturale.

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Su queste basi, sembra sensato attendersi che, in tempi non troppo,  lunghi il tightening conduca ad un nuovo rallentamento, visto che anche sull’immobiliare le autorità hanno iniziato un giro di vite e i prezzi cominciano già a raffreddarsi. Ovviamente, cosi come nel caso dell’easing, gli effetti ci metteranno tempo a dispiegarsi. Meno, però di quelli dell’easing, a mio modo di vedere. Senza contare gli effetti della politica mercantilista di Trump

Al momento la comunità degli investitori è assai tranquilla sull’economia cinese, perchè con lo stallo del $ la svalutazione si è arrestata, e i dati sono indubbiamente buoni (nonostante quello odierno). Inoltre , vige la convinzione che le autorità non permetteranno un rallentamento/crisi prima del XIX Congresso del partito, programmato per l’autunno di quest’anno. Fondate o meno che siano queste speculazioni (e quando mai le autorità avrebbero convenienza a permettere una crisi?!?), mi pare che i mercati abbiano la guardia assai bassa sulla questione cinese.

Insisto tanto sulla Cina, perchè, come ribadito più volte, resto fermamente convinto che l’accelerazione del ciclo globale e la reflazione dipendano in massima parte dal rimbalzo congiunturale cinese, come si nota dalla correlazione tra l’indice di attività “Li Kequiang” e l’andamento anno su anno delle esportazioni di alcuni dei principali players globali.

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Per i motivi sopra citati (time lag della politica monetaria, congresso etc) è’ assai improbabile che il rallentamento avvenga improvvisamente in tempi brevi, ma la situazione va attentamente monitorata, ed eventuali segnali di modifica del quadro non vanno presi affatto alla leggera.

Sul fronte giapponese, un po’ di agitazione ha creato l’approdo dei rendimenti del JGB 10 anni a 0.15% (il target ufficiale della BOJ è in area 0%). E’ sembrato che la Banca Centrale volesse lasciare i tassi al loro destino, ma poi questa è intervenuta con acquisti illimitati e ha ributtato i rendimenti sotto lo 0.1%. Vedremo se ci saranno altri test della soglia da parte del mercato.

La mattinata europea ha avuto un tono positivo, in attesa dei Payrolls US. Le revisioni dei PMI servizi e composite migliorano di qualcosa i dati flash, segnalando la tenuta del buon momentum di dicembre. L’ottimismo sui dati occupazionali US ha mantenuto l’€ debole rispetto a ieri, e Milano ha continuato giovarsi dei suoi special events.

Alle 14.30, il BLS ha confermato che gennaio è stato ottimo per creazione di posti di lavoro (227.000 unità da 157.000 e vs 180.000 attesi). Sicuramente il bel tempo ha avuto un ruolo nell’esuberanza delle assunzioni, visto che le costruzioni ne hanno aggiunte 35.000. La household survey ha mostrato un incremento minore, ma la disoccupazione è salita soprattutto per un aumento della forza lavoro.
Detto questo, gli operatori cercavano anche una conferma dell’accelerazione dei salari orari osservata a dicembre. Tutt’altro. Il dato di gennaio è uscito a +0.1% (vs +0.3% atteso) e il dato di dicembre è stato rivisto da +0.4% a +0.2%. Per effetto di ciò, la crescita dei salari anno su anno scende da 2.9% a 2.5%.
Su queste basi, le pressioni salariali risultano ancora contenute, e la Yellen ha ragione a tergiversare. Personalmente, son sempre più restio a basarmi sul singolo dato, visto che a dicembre si sosteneva che le assunzioni sotto attese e i salari in crescita indicavano un mercato del lavoro US ormai tirato in cui le aziende faticavano ad assumere e ora ci troviamo con un’ evidenza opposta.
Ma tant’è, al prossimo report manca un mese e fino a nuovi segnali questa è la realtà con cui dobbiamo confrontarci. Difficile ipotizzare una mossa Fed a marzo, con questo scenario, e quindi il dollaro è tornato indietro, i bonds hanno recuperato terreno, e l’azionario ne ha tratto beneficio, visto che la crescita c’è, ma la necessità di inasprire la politica monetaria per ora no.
Il quadro positivo senza eccessi è stato confermato più tardi dall’ISM services, che ha deluso marginalmente le attese (56.5 da 57 e vs consenso per 57) restando su livelli comunque elevati.
Così le borse europee hanno chiuso in positivo, Wall Street, allettata anche dalla prospettiva che Trump firmi oggi un decreto di deregulation bancaria, flirta con nuovi massimi, mentre gli emergenti festeggiano il fatto che tightening aggressivo dalla Fed e un robusto rally del dollaro, che tanto li avevano spaventati, sembrano allontanarsi nel tempo.
Sui tassi, la tranquillità è stata violata nel finale da flussi di vendita su bonds periferici e Francia, di origine ignota (sebbene su Francia e Italia si possa parlare di rischio politico nel week end).

L’azionario US resta al momento chiuso tra una situazione politica strapiena di incertezze, e uno scenario macroeconomico robusto. Una Fed paziente e l’apparente attenuazione delle pressioni salariali possono forse permettergli di tentare nuovamente la via del breakout, anche perchè l’earning season  mostra statistiche simili alle precedenti (75% di beat su EPS e un più modesto 50% su fatturato) ma su un consenso che è stato meno addomesticato rispetto agli ultimi trimestri, e con utili che riprendono a crescere (3/4% anno su anno).

Restano  le incognite legate alla nuova presidenza, e la possibilità che ad un certo punto la pace targata FED su tassi e divise si rompa, riportando volatilità nel sistema.