Siamo sempre in territorio di contrazione, ma d’altronde questa survey, maggiormente incentrata sulla media impresa, ha segnalato contrazione ogni singolo mese del 2015 tranne febbraio. Tra i dettagli spicca in positivo la stabilizzazione della produzione, e gli ordini dall’estero, in espansione al ritmo massimo da 13 mesi. Ma quelli domestici hanno continuato a contrarsi.
Più complesso il quadro offerto dai PMI ufficiali, calcolati dall’ufficio statistico cinese. La survey manifatturiera (49.6 da prec 49.8 e vs attese per 49.8) è tornata sui minimi dal 2012 (la dice lunga su quanto è stata stabile questa serie negli ultimi anni) a dimostrazione che il settore non sta ancora accelerando. Nel dettaglio, meglio le aziende di grandi dimensioni ma male la piccola e media impresa, il che ha senso alla luce dello stimolo erogato, a cui le grosse compagnie statali hanno miglior accesso, ma contrasta con quanto indicato dal PMI Markit.
In ulteriore accelerazione il settore servizi (53.6 da prec 53.1 e massimo da 4 mesi) che secondo alcuni calcoli conta ormai quanto il manifatturiero come peso sull’economia cinese.
In generale, i dati restano coerenti con una stabilizzazione del ciclo, dopo la volatilità estiva, ma mancano i segnali di quel rimbalzo ciclico che sembrava auspicabile in base all’ammontare di stimolo monetario e fiscale erogato, e alla direzione di alcune serie come le vendite di terreni e i prezzi dell’immobiliare.
Il mercato non ha gradito granchè, ed il tono è rimasto opaco finchè non è rimbalzata sui media la notizia che il Governo vuole rendere deducibili fiscalmente gli interessi sui mutui, per ridare impulso all’immobiliare. Qui come altrove lo stimolo monetario (o fiscale in questo caso) resta il principale driver del sentiment.
Tra gli altri indici, in una seduta asiatica dai toni finalmente positivi, spicca Tokyo, che ha bucato quota 20.000 di Nikkei, con un colpo di reni finale. Più che la revisione del PMI manifatturiero di novembre (-0.2 a 52.6) ad eccitare la fantasia degli investitori deve essere stata la rigogliosa revisione del capital spending per il terzo trimestre, ad opera del Ministero per l’Economia. Il dato, passato a +11.2% da +1.7% della prima stima, depone bene per gli investimenti e potrebbe portare una revisione al GDP in grado di cancellare la ”recessione tecnica” (2 trimestri di contrazione) del 2015.
Il buon tono dell’Asia ha inizialmente contagiato l’Europa, che ha prodotto un apertura ai massimi del recente range. Generalmente benigni i PMI manifatturieri europei, con Italia e Spagna sugli scudi (la prima incredibilmente in vetta tra le principali economie europee, a 54.9). Il dato complessivo Eurozone si è confermato ai massimi da aprile 2014 (52.8). Buoni anche i dati occupazionali in Europa, Italia e Germania, mentre il GDP Italiano del terzo trimestre riceve una marginale revisione al ribasso (0.8% anno su anno da 0.95).
Ironicamente, i buoni dati, favorendo un recupero dell’€, hanno posto i presupposti per l’arrivo di prese di beneficio sugli asset europei, che sono poi aumentate quando l’omologo del PMI in US, l’affidabile ISM manifatturiero, ha segnato a novembre il minimo nientemeno che dal 2009 (48.6 da precedente 50.1 e vs attese per 50.6), passando sotto la soglia di contrazione dell’attività, per la prima volta dal novembre del 2012. La debolezza è riflessa nei sottoindici, con nuovi ordini e produzione entrambi passati in territorio di contrazione. Bassissimi (35.5) poi i prezzi pagati, su un livello che in passato ha visto la FED aumentare l’easing piuttosto che ridurlo. Il dato corona la lunga fase di rallentamento del manifatturiero, seguita al calo della domanda globale ma soprattutto al rafforzamento del Dollaro.
Come noto, il manifatturiero conta ormai per assai meno del 15% dell’economia US, con il resto costituito dal settore servizi, che gode di salute assai migliore. Detto questo, è chiaro che si tratta di un dato che complica un po’ il lavoro alla Yellen, in particolare se anche l’ISM non manufactoring di novembre, in uscita Giovedi, dovesse deludere. Vedremo come la Chairwoman affronterà la cosa domani, visto che è previsto un suo discorso.
Alla luce dell’entità della sorpresa, la reazione dei mercati non è al momento particolarmente veemente. Wall Street, che mostrava un bel progresso prima del dato, ha sussultato, ma non ha per ora cambiato segno, presumibilmente allettata dalla possibilità di un ciclo di rialzi ancora più lento. Sulla stessa linea la reazione dei tassi, con robusti cali dei rendimenti dei treasury (e qualcosa anche in Europa).
Il Dollaro, che già ritracciava qualcosa da ieri, ha marginalmente accentuato la debolezza, ma senza drammi. D’altronde, si sa che occorrerà qualcosa di molto serio per fermare la mano a Janet il 16 dicembre e che comunque a una FED meno aggressiva può corrispondere più proattività da parte di ECB, BOJ e PBOC.
Maggiormente impattato l’azionario europeo, dove il brutto ISM funge da perfetto catalyst per alimentare prese di beneficio fisiologiche, a meno di 48 ore dal meeting ECB.
Il canovaccio del movimento sarebbe che un’ America che cresce meno e una Fed meno aggressiva rendono meno efficace la politica monetaria europea, riducendo i motivi per puntare sull’azionario continentale. Ma, a mio modo di vedere, più che il timore di un attenuazione della divergenza tra le politiche monetarie dei 2 blocchi, sono il posizionamento (lungo Europa e flat USA) e l’incombere del “main event” dell’ECB a causare la divergenza tra i mercati azionari. Mettici che siamo a fine anno ed ecco che la tendenza a tagliare i rischi si accentua.
Comunque sia, l’inversione di tendenza occorsa oggi sui massimi di periodo per l’Eurostoxx, per quanto non eccessiva come entità (non arriviamo nemmeno al -1%) produce un “engulfing pattern” sul grafico daily, in corrispondenza della media mobile a 200 giorni, i cui sviluppi vanno assolutamente monitorati, con implicazioni ribassiste di breve.