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Lampi di Colore – 17 Settembre 2015

Alla fine, a caldo sembra un “hold con tendenze dovish”.

Il FOMC ha deciso di mantenere ancora i tassi invariati, giudicando che, soprattuto in virtù degli “sviluppi finanziari ed economici globali”, è giustificata ulteriore pazienza nell’iniziare la normalizzazione dei tassi.
Prima dei dettagli, un breve sunto degli avvenimenti della giornata.

Il run up verso il FOMC è stato comprensibilmente tranquillo.
Sostenuta dal nuovo balzo dell’oil, che ha riverberato sul settore, Wall Street ieri sera ha testato la citata resistenza (1990-95 di S&P500), senza trovare la forza di superarla, ma senza venirne rapidamente respinta come successo in passato.

La seduta asiatica è partita con un sentiment quasi frizzante. Peccato che gli indici cinesi abbiano giocato lo scherzo opposto a ieri, scendendo pesantemente nell’ultima ora di contrattazione. Non a caso oggi gli indici migliori sono Tokyo e Taiwan, che sono i primi a chiudere, mentre il resto pur conservando un intonazione positiva ha ritracciato parte dei guadagni. Un trade balance giapponese di agosto mediocre ha offerto ulteriore supporto all’azionario locale, nella convinzione che ciò renda più probabile un incremento dello stimolo monetario. Kuroda ha ribadito il suo ottimismo di martedi, aggiungendo che la BOJ continua a monitorare i rischi e non esiterà ad aggiustare la politica monetaria nel caso vi sia necessità.

Lo storno cinese non ha impressionato più di tanto i mercati europei, chiaramente con la mente altrove. Il moderato flusso di prese di beneficio si è arrestato in tarda mattinata, complici  una brusca inversione di tendenza sulle utilities tedesche seguita alle dichiarazioni del vice ministro dell’economia tedesco Baake (GERMAN DEP. MINISTER BAAKE REITERATES REPORTS ON ATOMIC PROVISIONS ‘IRRESPONSIBLE’), ed un ritorno di interesse sulle banche europee. Dopodichè gli indici si sono dedicati al classico trading erratico con scarsi volumi tipico delle vigilie dei grandi eventi.

Nel primo pomeriggio in US, gli ultimi dati macro prima del FOMC hanno fornito segnali misti:

  • i jobless claims settimanali hanno sorpreso in positivo (264.000 vs 275.000) e restano sui minimistorici a dimostrazione che al momento le riduzioni d’organico in US sono scarse.
  • I nuovi cantieri hanno deluso (soprattutto in considerazione della revisione al dato di luglio, ma la robustezza dei permessi di costruzione mostra che l’immobiliare è in forma (come si capiva ieri dalla fiducia dei costruttori).
  • Il Philly Fed di settembre è uscito assai sotto attese e in territorio di contrazione (-6 da prec +8.3 ee vs attese per 5.9), ma i sottoindici dipingono un quadro assai più positivo: l’outlook a 6 mesi è ai massimi da aprile (44 da 43.1), i new orders sono saliti (9.4 da 5.8) e l’occupazione anche (a 10.2 da 5.3). Bassi gli indici su prezzi pagati e ricevuti.

Insomma gli USA crescono bene guidati da servizi e immobiliare, e il mercato del lavoro è sempre più in forma. Soffre il manifatturiero e complici le commodities in calo le pressioni inflazionistiche sono scarsissime. Nulla di nuovo.

Alle 20, le prime news.
Nello statement del FOMC ha trovato posto, rispetto a quello di luglio, un riconoscimento che l’economia ha fatto ulteriori progressi, anche se il canale estero ha continuato ad essere debole. Però  lo scenario inflattivo ha continuato a deteriorarsi, e potrebbe occorrere più tempo perchè si normalizzi. Ma la vera novità è l’ammissione che i recenti sviluppi internazionali potrebbero porre un moderato freno alla crescita e ulteriore pressione all’inflazione nel breve, e quindi meritano un attento monitoraggio.
Oltre a ciò 2 dei 15 su 17 membri che vedevano un primo rialzo nel 2015 ora hanno cambiato idea e lo vedono nel 2016. Circa le previsioni, la mediana di fine 2016 è scesa da 1.65% a 1.375%, mentre quella di fine 2017 è scesa da 2.875% a 2.625. Il punto di arrivo è sceso a sua volta di 25 bps, al 3.5%.
Nel Q&A la Yellen ha per lo più spiegato meglio la decisione, chiarendo che lo scenario macro US è positivo, e che l’idea resta quella di normalizzare in tempi brevi la politica monetaria, ma che le circostanze richiedono di attendere ancora maggiori conferme sugli sviluppi interni e di monitorare quelli esterni. In ogni caso ogni meeting resta buono per agire.

In generale, l’attenzione agli sviluppi internazionali, le limature alle previsioni, e il minor consenso per un rialzo nel 2015 rendono ,a mio modo di vedere, il risultato lievemente più accomodante delle attese. Come Draghi, la Yellen non è indifferente a quanto accade in Cina ed emergenti, il che garantisce che le principali banche centrali del globo non faranno mancare il loro appoggio nel caso le tensioni proseguano.
Detto questo, è evidente che un miglioramento su quel fronte riporterà il rialzo dei tassi d’attualità in tempi anche assai  brevi, gravando nuovamente i mercati della necessità di valutarne l’impatto. Niente botte piena e moglie ubriaca quindi. In questo senso l’outcome non si discosta particolarmente dal consenso (che era diventato più dovish nelle ultime ore), limitandosi a rimuovere il “tail risk”  di una FED particolarmente aggressiva e ossessionata dal timing del primo rialzo.
Se non altro, l’event  risk è ormai alle spalle (in altre parole possiamo tornare a focalizzarci sul resto per qualche settimana).

La reazione  a caldo dei mercati vede i tassi, e conseguentemente la divisa risentire dell’abbassamento delle previsioni sui tassi, mentre l’azionario dopo un iniziale entusiasmo, sembra riflettere sul fatto che il primo rialzo, con le sue incognite, non sembra rinviato di molto, e viene meccanicamente infastidito dalla forza dello Yen e dell’€. Moderata soddisfazione tra gli emergenti.
Ovviamente si tratta di una reazione a caldo. Caveat Emptor.