Il settore servizi USA da segnali di rallentamento, calano tassi e borse, sale il $.

Come accennato ieri (Lunedì) a movimentare una seduta resa  opaca dall’assenza degli USA ha pensato  l’OPEC, con il  rinvio a data da destinarsi del meeting in cui si sarebbe dovuta trovare l’intesa sull’aumento di produzione da Agosto in poi. Apparentemente gli Emirati Arabi, in passato tra i membri più leali del cartello, chiedono un ricalcolo a  loro favore delle quote di produzione e si sono rifiutati di votare l’aumento in mancanza di quest’adeguamento. Il risultato pratico è che in assenza di un accordo la produzione resta vincolata ai livelli del precedente, motivo per cui il petrolio ieri ha fatto il nuovo record e oggi ha iniziato la seduta in cospicuo rialzo. La situazione non è però univocamente positiva per il petrolio. Certo, se  la  produzione resta questa, al ritmo a cui scendono le scorte c’è da immaginare che il greggio possa salire ancora un bel po’. E c’è chi ipotizza che questa sia solo una sceneggiata per rinviare l’aumento della produzione e godersi la salita dei prezzi. Ma se invece lo scontro tra i vecchi alleati fosse autentico e si protraesse a lungo, quello che si potrebbe osservare è una violazione delle quote da  parte dei produttori, e quindi un aumento nella pratica della produzione, di fatto non regolato. E sullo sfondo la possibilità che il cartello allargato salti e ognuno faccia quel che gli pare. Si tratta di una situazione piuttosto incerta quindi. Anche perchè comincia a circolare qualche studio che va a calcolare i potenziali danni per il ciclo di un petrolio stabilmente su prezzi elevati, e a guardare quali paesi ne possono soffrire di più (spoiler: India, Corea, Giappone, Filippine). Solitamente quando si comincia a misurare l’impatto negativo del petrolio forte sull’economia globale, questo tende a salire, alimentando i timori. Dovesse il mercato entrare in quest’ordine di idee, con la collaborazione di qualche dato di consumi sotto attese, possiamo star certi che la speculazione partirà. Al momento però la posizione finanziaria dei consumatori sembra così solida da rendere difficile uno sviluppo del genere. Basta però, come vedremo, uno sguardo ai tassi a ricordare che le situazioni più improbabili ex ante non sono da escludersi a priori.
L’Asia non si è fatta molto contagiare dal buon umore made in US. Se Tokyo ha messo a segno un timido rimbalzo,  seguita da  Seul e Jakarta, il resto  degli indici (in particolare il China complex più Taiwan) è rimasto al palo, come Mumbai,  mentre Sydney ha corretto, in seguito all’annuncio della Reserve Bank of Australia che gli acquisti di bonds rallenteranno un po’ per tener conto del migliorato quadro economico.
In Cina continua a tenere banco la repressione da parte di Pechino delle tech company che non rispettano le regole nell’utilizzo dei dati. Dopo Didi, altre  aziende sono state inserite nell’inchiesta. Alla riapertura di Wall Street oggi i crolli sono stati significativi ( link ). Chiaramente questa nuova politica mette a  rischio un sacco di quotazioni di aziende cinesi a WallStreet.
Sul fronte Covid, Johnson ieri ha confermato l’intenzione di eliminare dell’obbligo di mascherine e gli incentivi allo smart working dal 19 Luglio, con un ultima verifica il 12 Luglio. La decisione fa scalpore, considerando l’andamento dei contagi, a più 50% rispetto alla scorsa settimana ( link ). Il calcolo del Premier è probabilmente che grazie alla copertura dei vaccini (64% degli adulti con 2 dosi), ospedalizzazioni e mortalità saranno molto inferiori con quest’ondata. In effetti basta uno sguardo al grafico sotto (Oxford Economics) per notare la differenza.

Ovviamente un costo in termini di vittime e ospedalizzazioni ci sarà. Non fosse altro per l’esistenza di scettici che non intendono vaccinarsi e rimarranno vulnerabili (un problema che potrebbe rivelarsi anche più acuto in US).
Se non altro, i numeri sembrano nuovamente indicare un rallentamento dell’ondata come si nota dal grafico di Pantheon Economics. Vedremo che impatto avranno le riaperture.


L’apertura europea è  avvenuta con un tono consolidativo. Il sentiment non ha avuto molto support dai dati macro. I factory orders tedeschi di Maggio hanno mancato di parecchio le stime, cedendo 3.7% a fronte di un +0.9% atteso. La revisione del dato di Aprile mitiga un po’ la negatività del numero. Deciso ridimensionamento della  componente expectations dello ZEW di Giugno (63.3 da prec 79.8 e vs stime per 75.2). Meglio la valutazione della situazione corrente (21.9 da prec -9.1 e vs stime per 5.5). Le attese degli analisti (perchè di questo si tratta, con lo ZEW) sembrano risentire del timore dell’arrivo in Germania ed Eurozone della variante Delta, e in generale lasciano intendere un ridimensionamento dell’ottimismo. Ci sta, anche se l’Eurozone comincia ad essere ben messa con i vaccini e i ritmi di vaccinazione stanno tenendo meglio che nei paesi anglosassoni.
Benino le retail sales Eurozone di Maggio, sopra attese, ma la  revisione di Aprile si mangia la sorpresa positiva (+4.6% da prec -3.9% e vs stime per +4.3%).
La mattinata si è così trascinata con gli indici in moderato/marginale passivo, i tassi in calo (cosa che ha al solito danneggiato le banche) e sul fronte cambi un rapido rafforzamento del Dollaro, che aveva esordito in calo ma si è rapidamente ripreso.
Il focus era comunque al pomeriggio, con il ritorno degli USA dal week end lungo e la pubblicazione dell’ISM services.
La pubblicazione del report, alle 16, ha effettivamente dato una scossa all’ambiente. Il dato ha deluso, cedendo quasi 4 punti e marcando il minimo da Febbraio scorso (60.1 da precedente 64.8 e vs stime per 63.5). Il deterioramento è  rispecchiato nei sottoindici. Se i new orders hanno perso solo 1.8 punti a un sempre elevato 62.1, la business activity ha ceduto a sua volta 5.8 punti (60.4). Desolante il sottoindice employment (-6 a 49.3), decisamente difficile da rendere coerente con gli 850.000 nuovi occupati, di cui 642.000 nei servizi, registrati nel mese. Probabilmente il report rispecchia le difficoltà ad assumere per carenza di offerta. In generale, un report ISM con il 6 davanti è storicamente elevato, a indicare una crescita robusta dell’attività, e i new orders lasciano intendere una domanda forte nei mesi a venire. Ma  il deterioramento dei numeri non fa nulla  per arginare la crescente percezione dei mercati che il picco della crescita sia alle spalle.
Così  il sentiment ha preso a incupirsi nel pomeriggio:
** i rendimenti hanno cominciato a calare rapidamente, con la tendenza delle curve ad appiattirsi
** Petrolio e commodities hanno bruscamente invertito la marcia, dando luogo a violenti storni (vedi il crash delle commodity agricole). Sull’oil ha pesato, oltre che la forza del Dollaro, anche l’inizio delle pressioni degli USA perchè si raggiunga un intesa all’OPEC
SAUDI ARABIA OFFICIAL, WHITE HOUSE OFFICIALS TO MEET: PSAKI
*KHASHOGGI COULD BE TOPIC OF SAUDI-WHITE HOUSE MEETING: PSAKI
*U.S. HAD MANY CONVERSATIONS WITH SAUDI, UAE OVER OIL: PSAKI
*U.S. CONSTANTLY MONITORING GASOLINE PRICES: PSAKI
*BIDEN WANTS U.S. ACCESS TO AFFORDABLE, RELIABLE GASOLINE: PSAKI

** Wall Street ha preso la  via del ribasso,  arrivando a più che ritracciare il rialzo di venerdì, e nel processo mettendo pressione all’azionario Eurozone, che, come spesso succede, ha mostrato cali superiori, zavorrato dal crash delle banche. Nell’ambito del movimento, il tech e gli “stay at home business” hanno outperformato, mentre ciclici e small caps hanno sofferto.
** Il Dollaro ha accentuato i progressi cedendo terreno solo contro lo Yen, che ha ripreso la  sua funzione di termometro della  risk aversion.

La chiusura dei mercati europei vede i principali indici mostrare cali parenti dell’1%. Una performance sconfortante, considerando il fatto che è accompagnata da un calo dell’€, sui minimi da 3 mesi. Il dubbio degli investitori circa la capacità dell’economia Eurozone di mantenere la ripresa a fronte dell’arrivo in continente della variante Delta sembra evidente, almeno in relativo con gli USA, che sono peggio equipaggiati per affrontarla in termini di risposta sanitaria, almeno in alcuni stati. Una situazione in aperto contrasto con quanto indicato dalle survey di attività  economica, ancora in accelerazione in Europa.
Dopo la chiusura Wall Street si sta un po’ riprendendo, anche se ovviamente bisogna vedere come chiuderà.
Sul fronte tassi, il treasury 10 anni è tornato all1.37% , minimo da fine febbraio, a indicare a sua volta che il picco di crescita, e  di inflazione è definitivamente alle spalle negli USA. I tassi reali sono tornati a -0.96%, ad appena 10/12 bps dai minimi marcati nell’epicentro della crisi. Direi che se la Fed giudica presumibilmente temporaneo l’attuale picco dell’inflazione, i mercati dei tassi lo danno per certo.