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Il CPI USA di giugno risponde alle preghiere della Fed, ma Wall Street già lo scontava.

Wall Street sugli scudi ieri (mercoledì) con l’S&P 500 (+1.02%) che ha segnato il trentasettesimo nuovo massimo del 2024 chiudendo in progresso per la settima volta consecutiva, e per la decima volta su 11 sedute. Bene anche il Nasdaq 100 (+1.18%) mentre per una volta il Russell 2.000 small caps non è rimasto troppo indietro (+0.88%).
Tra i fattori del movimento, sicuramente un esplosione dell’acquisto di opzioni call. Da cosa lo si vede? Al di la del monitor di Bloomberg, che evidenzia l’esplosione dei volumi sulle call di alcune delle “Magnificent 7”, lo si vede dal fatto che il Vix ieri è salito del 2.7%. Non granchè, ma una salita della volatilità implicita in una giornata in cui l’S&P 500 fa +1% è una cosa abbastanza insolita, che si spiega in questo caso con l’acquisto di volatilità per acquistare esposizione al rialzo via opzioni.
Sembra evidente che il mercato mirava a un dato di CPI benigno. La sola euforia per i nuovi derivati (opzioni giornaliere) non spiega un aumento così forte dell’attività, da livelli già gonfiati . E in effetti negli ultimi giorni avevo la distinta impressione è che un aspettativa di dato di CPI sotto attese fosse largamente diffusa. Anche io condividevo quest’aspettativa, ma ritenevo che, nel breve, fosse nei prezzi (vedi Lampi di ieri)

La giornata del CPI USA di giugno è iniziata con un buon tono in Asia, con tutti i principali indici positivi, a parte Vietnam e Mumbai, in marginale calo. Bene il Nikkei, per la prima volta oltre 42.000 punti, benissimo Hong Kong e HSCEI, balzati di oltre 2%,mentre le “A” shares (Shanghai e Shenzen) hanno preso l’1%. Bene anche Taiwan, Sydney e Seul, mentre il progresso di Jakarta è marginale.
Ad alimentare il rimbalzo delle “A” shares cinesi, presumibilmente ha contribuito la notizia che la China Securities Regulatory Commission ha varato delle misure per ostacolare le vendite allo scoperto, tra cui l’aumento del margine da pagare. E poi c’è parecchia attesa per il “third Plenum” che parte la prossima settimana (15-17 luglio) nel quale dovrebbero venire annunciate nuove misure a sostegno dell’economia.
In Giappone, il sentiment sull’azionario è paragonabile a quello negli USA, se non meglio (il Nikkey è a +26% da inizio anno), ma i segnali dell’economia sono un po’ misti, nella migliore delle ipotesi. Oggi ad esempio i machine orders di maggio sono usciti a -3.2% sul mese, da precedente -2.9% e vs attese per +0.8%. Non depone benissimo per gli investimenti del secondo semestre.

La forza di Wall Street ieri sera si è riflessa in parte sull’azionario continentale stamattina, il quale è partito con un tono costruttivo, ma un po’ nervoso. Discorso analogo per i bonds che sono andati incontro al dato con i rendimenti tra lo stabile e il lieve rialzo.
Per ingannare l’attesa, sono stati pubblicati di primo mattino dei dati macro UK di maggio (li pubblicano il GDP mensile) e,in aggregato, si tratta di buone notizie.
Il GDP ha sorpreso in positivo, insieme all’attività nei servizi, e nelle costruzioni. Più debole la produzione industriale.

Sterlina e rendimenti hanno reagito positivamente.

E veniamo al report più importante della settimana.
Il CPI USA di giugno ha dato ragione agli ottimisti, sorprendendo al ribasso il consenso ufficiale sia come headline che come core, di un buon margine.

Il CPI headline è venuto addirittura negativo, anche se per quasi metà in virtù di un arrotondamento al ribasso (il dato era -0.06%). La verità è che il dato core mese su mese ha mostrato l’effetto opposto, nel senso che è stato arrotondato al rialzo a 0.1% per un centesimo, visto che era +0.06%, in netto calo dal +0.16% di maggio. Si tratta della lettura più bassa dal gennaio 2021. I dati anno su anno sono usciti entrambi in calo e 0.1% sotto consenso (che per il dato core si aspettava stabilità).

Dando uno sguardo ai dettagli, il report è stato “aiutato” dai bruschi cali di componenti volatili come hotel e tariffe aeree e dalle auto usate. Però la buona notizia è che la componente shelter ha infine ceduto parecchio, quasi normalizzandosi, e non dovrebbe tornare sui livelli degli scorsi mesi, che gonfiavano il dato, visto il peso elevato (33%).

Detto questo, il CPI core medio trimestrale annualizzato, che a marzo aveva superato il 4%, con quest’ultimo numero si è praticamente dimezzato, tornando ad un confortevole 2.1%. Il grafico è abbastanza eloquente nel mostrare il rapido ridimensionamento degli ultimi 3 mesi.

E il dato Supercore, ovvero servizi ex shelter, categoria nata per depurare l’inflazione dei servizi dalla componente alloggi che non è vera e propria inflazione (la maggioranza degli americani non la paga) e viaggia con un lag importante, ha staccato il secondo numero negativo sul mese (-0.05% dopo un -0.04%) portando il dato medio trimestrale annualizzato ad un bassissimo 1.3%.

Il report, pur con tutto il rumore che contiene, sembra una risposta di assenso all’affermazione di Powel di martedì, che altri dati benigni avrebbero aumentato la fiducia del FOMC sul ritorno al target dell’inflazione ( *POWELL: `MORE GOOD DATA’ WOULD BOOST CONFIDENCE ON INFLATION).
E infatti il mercato dei tassi ha reagito immediatamente al report, con diffusi cali su tutta la curva, e una Fed Funds Strip che è andata a scontare interamente un taglio a settembre, e quasi un 50% di probabilità che i tagli siano 3 entro il FOMC di dicembre. E lo diventino sicuramente entro quello di gennaio.

Coerentemente, il Dollaro si è indebolito, e i metalli preziosi e le commodities in generale hanno accelerato al rialzo. Interessante la reazione dello Yen, che ha rapidamente recuperato oltre il 2% contro il biglietto verde. Qui il sospetto è che il Ministero del Tesoro giapponese abbia approfittato del vento in poppa offerto gentilmente dal report per dare una spintarella alla sua divisa (mediante intervento sul mercato) recuperando un po’ del terreno perduto, e nel contempo punendo chi si diverte a speculare al ribasso sullo yen. Vedremo se la storia verrà confermata.

E veniamo all’azionario. Wall Street ha provato a capitalizzare immediatamente la bontà del CPI, ma si è capito da subito che il report, per quando assai benigno, era già nei prezzi. Per intenderci, il balzo dei futures li ha visti arrestarsi poco oltre il +0.3%, con un recupero di appena mezzo punto rispetto ai livelli pre dato. Nel giro di mezz’ora il movimento si era già pressoche interamente riassorbito, e l’unico indice che ha mostrato entusiasmo autentico è stato il Russell 2.000 small caps.
L’apertura delle contrattazioni ha visto un ultime flebile tentativo dell’S&P 500 di salire, dopodichè questo è passato in negativo accumulando gradualmente passivo. A guidare il movimento il Big tech, che ha mostrato rapidamente perdite importanti, zavorrando il Nasdaq 100. L’aspetto più sorprendente è che invece le small cap hanno continuato a salire , con il Russell 2.000 rapido ad accumulare un 3% abbondante di guadagno. Per quanto incredibile possa sembrare, il differenziale di performance tra Nasdaq e Russell ha superato i 5 punti percentuali nel corso del pomeriggio europeo.

La price action si può spiegare in questo modo:
** L’incapacità di salire del mercato a fronte del report “perfetto” ha rapidamente alimentato prese di beneficio, della serie, se un mercato non riesce a salire a fronte di good news, prende l’altra direzione. In altre parole l’outcome era interamente prezzato.
** Ovviamente le prese di beneficio si sono concentrate sui titoli più “inflazionati” come il tech, i semiconduttori e soprattutto le Big Caps.
** Sulle small caps invece dominava la depressione, in parte giustificata dal fatto che sono più vulnerabili ai tassi elevati. Il sentiment era ormai incancrenito. Di sicuro il comparto small cap scontava un report benigno. E così sono partite le ricoperture, lo smontamento dei trade lungo Nasdaq vs Russell, alimentati dalla possibilità un una Fed più accomodante (fino a ieri nessuno pensava veramente che la curva potesse andare a scontare più di 2 tagli nel 2024, anno elettorale).

In altre parole, una reazione in gran parte tecnica, legata a eccessi di positioning e di euforia verso certi settori, lungamente discussi i giorni scorsi. Vedremo quanto fiato ha questo movimento. Ma bisogna considerare che questi eccessi sono stati costruiti in un lungo periodo e sembra improbabile che si riequilibrino in una o 2 sedute. Ovviamente la performance dell’indice generale riflette il peso relativo dei comparti, con il Russell 2.000 che capitalizza 2.8 trilioni di $, e il Nasdaq 100 che ne capitalizza 26.
E ora comincia l’earning season, e, come osservato i giorni scorsi, il mercato sconta trimestrali piuttosto belle, e sorprendere al rialzo, specie per il big Tech, non sarà facile.
Le piazze europee hanno accusato il cambio di umore a Wall Street, ma, trattandosi in gran parte di una reazione tecnica alla quale loro sono in gran parte estranee, hanno conservato performance apprezzabili. Sui cambi, la performance del,’€ si è un po’ ridotta, mentre i cali dei rendimenti USA sono riverberati per bene sui bonds europei.
Vedremo dove sarà la chiusura di Wall Street.
Domani abbiamo l’apertura ufficiale dell’earning season, con le grandi banche, e la pubblicazione dei prezzi alla produzione USA di giugno, importanti per gli imput sul PCE core, indicazione di inflazione preferita dalla Fed.
Non dovremmo annoiarci.