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I mercati azionari archiviano il secondo trimestre positivo di seguito

Una nuova chiusura positiva a Wall Street ieri sera (giovedì), la quinta in 6 sedute per l’S&P 500 (+0.57%) mentre il Nasdaq 100 ha chiuso  con un +0.91%. Ancora bene il tech, il real estate e il consumer discretionary, male le banche, zavorrate dal sottosettore di quelle regionali (-1.8%). Questa volta però l’effetto è rimasto ben contenuto, con 21 dei 24 sottosettori a mostrare performance positive. I movimenti sui rendimenti sono stati modesti, con una marginale tendenza a salire che però vede i livelli restare poco distanti da quelli della prima metà della settimana.
La seduta asiatica ha visto un tono moderatamente positivo, con la sola Jakarta al palo, ma i progressi che superano il punto percentuale solo a Mumbai. Sul fronte macro l’informazione più rilevante la hanno data i PMI ufficiali cinesi di marzo, elaborati dal servizio statistico nazionale.

La sorpresa positiva più rilevante la da il settore “non manifatturiero”, con l’espansione più elevata dal 2011. Il comparti servizi vede l’indice salire da 55.6 a 56.9, con retail, e trasporti indicati sopra 60. L’impressione è che infine l’accelerazione dei consumi stia arrivando. Forte anche il settore costruzioni (65.6 da 60.2). In moderato rallentamento e in generale meno robusta l’attività nel manifatturiero, con l’indice però che ha superato le stime. I New orders restano su livelli decenti (- 0.5 a 53.6). Tra l’altro, esplosione delle retail sales a Hong Kong a febbraio (+29.6% anno su anno, vs +16.% atteso).
Per il resto, produzione industriale deludente in Sud Corea a Febbraio (-3.2% vs -0.6% atteso sul mese), Inflazione a marzo a Tokyo sopra attese (la core 3.4% vs 3.2% atteso), mentre le retail sales giapponesi di febbraio sono uscite sopra attese (ma con revisione al ribasso di gennaio).

L’apertura  europea è stata incerta, gli occhi puntati ai dati di CPI in uscita. Togliamoci subito i dubbi.

La prima release, dei dati francesi, ha innervosito un po’ i bonds, e accentuato la fase consolidativa sull’azionario. Infatti i numeri sono significativamente sopra attese. A metà mattinata sono stati pubblicati i dati italiano e aggregato EU, e le cose si sono messe meglio. Addirittura in Italia il dato mese su mese non armonizzato è calato, e quello armonizzato è uscito la metà delle stime. E poi il dato Eurozone ha sorpreso a sua volta al ribasso. L’unico neo è stato la core, che è salita al nuovo massimo dell’era Euro, in linea con le attese. Il quadro è misto: l’inflazione core si mostra resiliente. Ma complici gli effetti base il dato headline anno su anno sta calando, e anche più rapidamente delle attese, il che è un parziale sollievo per l’ECB.
Con questi numeri i bonds si sono rilassati e l’azionario ha cancellato le marginali perdite, e si è portato in progresso.

Per il resto, abbiamo avuto prezzi import in Germania ancora benigni a febbraio , ma le retail hanno marginalmente deluso (anche se la serie è così volatile e soggetta a revisioni che è dura fidarsi del dato singolo) e disoccupazione in sorprendente rialzo.

Nondimeno, gli indici europei hanno accumulato progressi, confortati dal parziale rientro dei rialzi dei rendimenti e dai dati inflattivi benigni. Solo le banche sono rimaste un po’ attardate, infastidite forse dalla debolezza osservata nelle banche USA ieri in serata.

Parecchi numeri in uscita negli USA:
Sorvolando sui dati di personal income e spending, poco variate e in aggregato sul consenso, passiamo all’attesissimo PCE deflator di febbraio, che è uscito in generale sotto le attese (in particolare il dato core, con revisione al ribasso anche di gennaio) a completare la serie di dati sui prezzi in generale favorevole della giornata odierna.
Meno positivo il Chicago PMI di marzo, che è salito frazionalmente ma resta su livelli depressi, e nella nota (i sottoindici sono riservati agli abbonati) si indica che il tasso di contrazione dei new orders è aumentato. In generale le principali survey manifatturiere regionali sono tutte in pesante contrazione (Philly – 23, Empire NY -24, Chicago 44. Vedremo dove uscirà l’ISM.
Infine la revisione del U. of Michigan Consumer Sentiment di marzo questo mese risultava un po’ più interessante, per via del fatto che misurava meglio l’impatto della crisi bancaria, avendo avuto più tempo a disposizione per rilevarne gli effetti. Infatti si nota il peggioramento in particolare nelle expectations. Ironicamente le attese di inflazione sono calate a 1 anno e salite a 3 anni. Come già detto, non sono un fan della survey. E’ peraltro notevole che le expectations mostrino un comportamento opposto a quella della Consumer Confidence del Conference board (Michigan da 64.7 a 59.2, conference board da 70.4 a 73). Strano.

I mercati hanno dato evidentemente più peso ai buoni numeri sull’inflazione che sicuramente erano quelli che li tenevano sulla corda. Va anche detto che il rientro della volatilità su tassi e il radio silence sulle banche stanno causando parecchio short covering, e che il fine mese tende forse a accentuare questi effetti con i noti rebalancing. Sta di fatto che Wall Street è partita al rialzo con quella performance tranquilla che è tipica dell’assenza di venditori, ed ha accumulato buoni progressi, favorita anche dal calo dei rendimenti che resta concentrato sulle scadenze più lunghe, con la curva che torna a invertirsi.
Gli indici europei chiudono quindi il mese con il quinto progresso di seguito, nono su 10 sedute e il nuovo massimo in chiusura per l’anno per Eurostoxx 50. Sugli scudi i consume discretionary e staples, appaiati e l’healthcare,mentre i peggiori sono financials, energy e real estate (gli ultimi 2 negativi). I dati di inflazione hanno favorito un calo dei rendimenti, ma frenato il rally dell’€,mentre tra le commodity salgono oil, gas, metalli industriale e anche i grani.
Wall Street continua a macinare, con le small caps del Russell 2000 a outperformare, cosa che da la chiara impressione di short covering in corso. Il Nasdaq però continua ad essere ben supportato, e ritocca al rialzo i massimi da agosto. Con oggi si chiude il secondo trimestre positivo di seguito per Wall Street dopo il quarto trimestre del 2022. In molti hanno notato che 2 trimestri positivi di seguito non sin sono visti in un bear market negli ultimi 50 anni, e quindi questa price action indica che siamo in un nuovo bull market, iniziato a ottobre scorso.

Non c’è alcun dubbio che una serie di indicatori tecnici risulta decisamente supportivi, dalla partecipazione dei settori al rialzo, al sentiment e positioning alla reazione alle crisi. Quello che non quadra, quanto meno con l’inizio di un secular bull market, sono i margini aziendali ai massimi, le curve dei tassi pesantemente invertite e in fase di disinversione, i cicli di rialzi delle banche centrali che volgono al termine (nel recente passato hanno coinciso con l’inizio di storni, anche nel 2018 quando non ci fu recessione). In sostanza siamo in una fase in cui i fondamentali e i techincals sono in aperti contrasto. Io personalmente penso che la vinceranno i fondamentali.
Se l’azionario è tornato sui livelli pre crisi bancaria di inizio marzo, lo stesso non si può dire del mercato dei tassi. marzo si chiude con una Fed Fund Strip che sconta il 55% di probabilità di un ultimo rialzo a maggio, e dopo 2 tagli da 25 bps entro la fine del 2023. L’Europa sconta un altro paio di rialzi entro luglio e poi tassi più o meno stabili fino a dicembre. A inizio mese c’erano 100 bps in più in USA a dicembre, e 50 bps in più in Eurozona. Qui la crisi bancaria ha lasciato il segno.