Le banche centrali non mordono, euforia su bonds ed azionario

Le banche centrali si mostrano improvvisamente dubbiose, e i mercati vedono le proprie view confermate, e rafforzano i trend,
Andiamo per ordine, come al solito.
Ottima chiusura ieri sera per Wall Street, con l’S&P 500 (+1.05%) ai massimi da settembre scorso, e il Nasdaq 100 ad outperformare con un +2.16%. Il quadro è stato completato da un dollaro in picchiata ai minimi da aprile scorso contro € e tassi in calo a doppia cifra su tutta la curva USA, a divergere ulteriormente dallo scenario FED.
Come mai tanto entusiasmo, a fronte di una Fed che ha confermato sostanzialmente lo scenario illustrato a dicembre e dichiarato l’ intenzione di proseguire ad alzare i tassi?
Gli elementi che hanno prodotto la reazione del mercato sono, a mio parere, i seguenti:
1) Powell ha ammesso che il processo di disinflazione è iniziato.
2) Ha indicato che il FOMC sta puntando ad altri 2 rialzi da 25 bps, il che lascia intravedere che una pausa è in vista al meeting di maggio. In altre parole mette una fine al tightening.
3) Di fronte a una domanda diretta riguardante la divergenza tra lo scenario scontato dal mercato e quello della Fed, Powell non ha, come in passato, ammonito a non mettere in dubbio la loro determinazione a perseguire il loro quadro, ma ha osservato che ciò può dipendere dal fatto che sul mercato potrebbe prevalere una previsione di rientro più rapido dell’inflazione, diversa dalla loro. Se questa dovesse rivelarsi esatta, ne terranno conto. Ha poi detto che l’easing delle financial conditions lo preoccupa solo se è materiale e non vede grosse differenze tra ora e Dicembre (chissà se oggi direbbe la stessa cosa).
L’impressione se ne ricava e che la convinzione del FOMC nella sua view sia calata, e che si prenda apertamente in considerazione che il quadro macroeconomico potrebbe evolversi in direzione di quanto scontato dai tassi. Una Fed crepuscolare, la definirei. Incerta e tollerante.
Il mercato a questo punto accarezza il pivot, o quanto meno, si sente giustificato a proseguire nei trend recenti, visto che l’opposizione della Fed scompare.
Personalmente, osservo che questa implicita ammissione (ammesso che di ciò si tratti) da parte di Powell che quanto scontato dal mercato potrebbe essere plausibile, appare tardiva. Mi pare evidente che il processo di disinflazione sia iniziato, innescato dall’ammontare enorme di tightening erogato, che sta chiaramente impattando sull’economia, come si nota dai dati. Non a caso, il mercato dei tassi USA prezza questo outcome da parecchio tempo, e l’inversione della curva è a livelli estremi.

A confronto del clima prevalente negli USA ieri sera, la reazione dell’Asia stamattina appare compassata. Dei principali indici, solo Seul e Taiwan mettono a segno rialzi degni di questo nome. Marginali progressi per Tokyo, Vietnam e Sydney, e il resto delle piazze è invariato o perde leggermente, come il China Complex.

L’Europa, per contro, stamattina ha prodotto un catch up con la forza di Wall street, amplificata dall’impatto della trimestrale di Meta (+20% in aftermarket link ).
In attesa dell’ECB, in mattinata abbiamo avuto la bilancia commerciale tedesca di Dicembre decisamente brutta, con esportazioni e importazioni in robusto calo (anche se sulle seconde avrà impattato il calo dei costi energetici).

Alle 13, la Bank of England ha dato un secondo esempio di come una banca Centrale può alzare i tassi, e nello stesso tempo dare un messaggio dovish. La BOE ha alzato i tassi di 50 bps al 4% ma ha eliminato la guidance che prevedeva altri aumenti nel caso lo scenario si fosse evoluto in linea con la sua view, sostituendola con l’indicazione che se le pressioni inflazionistiche si mostreranno più fortei delle attese, altro tightening sarà richiesto. Il Governatore ha poi lasciato intendere che questo potrebbe essere l’ultimo rialzo, se i prezzi evolvono come si attendono, e non vi sono segnali di persistenza delle pressioni. La reazione del mercato è stata un brusco calo dei rendimenti UK con movimento in simpatia di quelli Eurozone.

Alle 14.15 la comunicazione delle decisioni ECB: il tassi sono stati alzati di 50 bps e nel comunicato si è chiarito che il Governing Council conta di alzarli di altri 50 a Marzo. Successivamente la stance dipenderà dai dati macro e sui prezzi. Si è poi confermato che a marzo inizierà lo smobilizzo del bilancio al ritmo di 15 bln mese.
Il mercato ha reagito positivamente a queste azioni. Il rialzo era scontato e forse la remota possibilità che il prossimo rialzo potesse essere l’ultimo ha prodotto ricoperture su un mercato che era arrivato all’appuntamento posizionato difensivamente, pronto ad una reprimenda della Lagarde.
Ma lo spettacolo è iniziato alle 14.15, con la Conferenza.
La Lagarde ha  (nuovamente) cambiato tono rispetto a Dicembre, quando aveva sottolineato con forza i rischi inflattivi e contestato lo scenario prezzato dal mercato. Questa volta Christine ha evidenziato il miglioramento del quadro macro, ma anche sottolineato il calo più rapido delle attese dell’inflazione, e illustrato l’impatto del rialzo dei tassi sulla domanda e sull’erogazione del credito (vedi la lending survey commentata ieri). Sia su fronte crescita che inflazione ora i rischi sono considerati più bilanciati, anche se restano a margine al rialzo sui prezzi.
Il mercato era evidentemente arrivato al meeting attendendosi una riedizione della conference di Dicembre, aggravata dal fatto che le condizioni finanziarie sui mercati si sono ulteriormente rilassate. Si è trovato invece di fronte a una ECB meno preoccupata dell’inflazione, attenta all’impatto dei rialzi e decisamente orientata a basarsi sui prossimi sviluppi macroeconomici per definire le prossime mosse, tanto che nemmeno il prossimo rialzo di 50 bps di marzo è scolpito nel marmo.
L’impressione che si ricava da questo trittico di banche centrali in poche ore, e che sia in atto una tendenza generalizzata a passare da una stance forzatamente restrittiva e intransigente ad una più possibilista e “data dependant”, e disposta a prendere atto dei segnali positivi sull’inflazione. Le azioni sono state grossomodo in linea con le attese. A mancare è stata la grinta e la fiducia nel proprio scenario. La determinazione degli scorsi meeting ha lasciato il posto ad un atteggiamento di studio della situazione.
Così sui mercati obbligazionari europei è partito un flusso violento di ricoperture, che ha generato il paradosso per cui in una giornata in cui si alzano i tassi di 50 bps e si segnalano altri 50 in poco più di un mese, i rendimenti calino di 20, 30 e  anche 40 bps sul BTP 10 anni.
L’azionario eurozone ha accentuato i rialzi, giovandosi dell’implicito assenso all’easing delle condizioni finanziarie da parte dei banchieri centrali, da cui si aspettava battaglia. Come dire, se dei trend in contrasto con gli scenari delle banche centrali non trovano da queste opposizione, ne risultano rafforzati. L’unico cambiamento rispetto a ieri sera è stato l’inversione di tendenza sui cambi, con l’€ in correzione, a scontare la minor aggressività di Lagarde e C.
Come osservato in precedenza, la reazione dell’azionario può aver senso nel breve, nella misura in cui questo “annusa” la fine dei rialzi e sconta il calo dei rendimenti. Meno se si guarda ai motivi retrostanti le dinamiche che stiamo osservando, ovvero il chiaro indebolimento dell’economia USA, i cali delle commodities (con buona pace della riapertura cinese) la profonda inversione delle curve dei tassi a segnalare il rallentamento macro. Con i movimenti odierno lo spread tra Tbill 3 mesi e 10 anni treasury ha raggiunto i -120 bps, minimo da quando Bloomberg permette di monitorarlo, dal 1983

Coperti dal bailamme delle banche centrali, sul fronte dati sono usciti alcuni numeri interessanti in US:

I challenger Job cuts fanno un nuovo balzo del 440% rispetto a 12 mesi fa. E’ una serie volatile che aveva fatto un balzo a novembre (+416%) e si era un po’ normalizzata a dicembre (+129%) ma i numeri recenti lasciano intendere un risveglio dei licenziamenti. Risveglio che non si vede nei sussidi di disoccupazione, che continuano a calare. Secondo Goldman però il periodo di pandemia è andato a inquinare la destagionalizzazione dei dati, che resteranno abnormalmente bassi fino a marzo. Bene produttività e costo del lavoro per unità di prodotto lo scorso trimestre, un altro segnale di calo delle pressioni inflazionistiche. I factory orders sono rimbalzati meno delle attese ed ex transportation sono molto deboli.
La chiusura europea vede il collasso dei rendimenti, che stabilirà con ogni probabilità record almeno rispetto al recente passato. Le piazze azionarie chiudono tutte molto forti, incrementando quello che è sicuramente un inizio anno record. Sorprendentemente indifferenti, a fronte di tutta questa euforia le commodities, con i preziosi e il gas in calo e il resto poco mosso. Anche i mercati asiatici e in generale gli emergenti sembrano poco coinvolti da quest’euforia da pivot, forse perchè in particolare BOJ e PBOC erano già dovish. Vedremo quanto dura.
L’impressione che ulteriori rialzi in tandem di bonds ed azionario dai livelli attuali siano difficili da sostenere. Un collasso dei rendimenti non mi pare coerente con un economia in grado di sostenere gli attuali livelli di marginalità per le aziende. E viceversa.