Come al solito, il G-20 è stato prodigo di retorica, ma avaro di dettagli.
Nel comunicato ha trovato spazio un tentativo di sdrammatizzare la situazione, nel passo in cui si è sostenuto che l’attuale fiammata di volatilità non riflette i fondamentali che restano buoni. Ma si è riconosciuto che bisogna fare di più per raggiungere gli obiettivi di crescita. A tale proposito, si è per la prima volta accostato politiche monetarie e fiscali nello stesso periodo, sottolineando che le prime da sole non possono condurre ad una crescita bilanciata. Il focus è stato quindi implicitamente spostato sulle seconde.
Sul fronte cambi i leaders hanno enfatizzato la necessità di consultarsi di più e si sono impegnati ad astenersi dalle svalutazioni competitive. Ma di nuovi Plaza accords nemmeno l’ombra.
In generale, pur con i citati spunti su fiscalità e collegialità, si è trattato di un outcome troppo generico per costituire un robusto catalyst positivo.
A parte ciò, ci hanno pensato, al solito, i mercati cinesi a stroncare sul nascere l’iniziale reazione positiva, piombando a -4.5% in meno di mezz’ora dall’apertura.
Tra i catalyst, la chiusura di 2 schemi di investimento all’estero da parte del Regulator, per ostacolare le fughe di capitali, e il settimo calo consecutivo dello Yuan (comprensibile vista la forza del biglietto verde).
Il circolare sui media di indiscrezioni su aumento dello stimolo fiscale ha contribuito produrre un recupero finale, e a ridare compostezza agli altri indici dell’area. Esclusa Tokyo, a cui la forza dello yen aveva tolto presto ogni baldanza, e che al momento della comparsa delle headline aveva già chiuso. Il bel rimbalzo della produzione industriale di gennaio è passato sotto silenzio.
L’apertura europea ha ereditato questo sentiment opaco, e retail sales tedesche ben sopra attese (+0.7% a gennaio vs consenso a +0.3% e con revisione a rialzo di 0.8% del dato di dicembre) non hanno sortito alcun effetto. Il Dax è rimasto il peggiore tra gli indici europeitutto il giorno.
Trascinati al ribasso da un settore bancario nuovamente pesante, gli indici sono giunti a metà mattinata con passivi rilevanti.
Alle 11, doppio shock:
** I dati preliminari di CPI Europeo di febbraio sono davvero terribili. La stima era attesa a zero ed invece è scesa dello 0.2%. Peggio l’inflazione core, che era attesa in calo di 0.1% a 0.9%, e invece è implosa di 0.3%, a 0.7%. Un dato del genere, rafforza, se possibile, l’urgenza di agire dell’ECB.
** La People Bank of China ha annunciato a sorpresa un taglio della riserva obbligatoria di 50 basis points. La mossa conferma nei fatti le dichiarazioni del Governatore PBOC Zhou, e riporta di attualità la politica monetaria, quando si cominciava da più parti a teorizzare che le autorità fossero a corto di margine di manovra.
Su queste news il mercato ha invertito la marcia, iniziando una lenta risalita, che ha portato gli indici europei a lambire la parità nel primo pomeriggio. Naturalmente, lo stato miserando dell’inflazione europea ha alimentato ulteriori attese di proattività da parte di Draghi al meeting di giovedi 10. Lo si nota dalla debolezza dell’€, dalla forza dei bonds, e dall’U-turn del settore bancario, che ha recuperato con gli interessi le perdite mattutine.
Sul fronte macro US, dati minori. Se la survey regionale ISM manufactoring di Milwakee è sembrata sorprendentemente frizzante (ai massimi da fine 2014) il Chicago PMI ha significativamente deluso, tornando in territorio di contrazione. Ma questa survey ha recentemente offerto letture estremamente volatili e inaffidabili. Basso come al solito il Dallas Fed (oil intensive) mentre deludenti si sono rivelate anche le pending home sales di gennaio.
Su queste basi, desta forse un po’ di sorpresa che Wall Street, dopo qualche tentennamento, abbia deciso di prendere la via del rialzo, trascinando l’Europa ad una chiusura in progresso dopo aver passato l’intera seduta in negativo. Tra i motivi di questa resilience indicherei sicuramente il petrolio, che, dopo aver trascorso la mattinata in sordina, ha accelerato nel pomeriggio, tornando a testare la resistenza in area 35$ che lo aveva respinto venerdi (Brent) il cui superamento aprirebbe la strada a un 6 $ di salita. La circostanza, riportata da Bloomberg, che l’OPEC avrebbe ridotto marginalmente la produzione a Febbraio ha eventualmente offerto supporto ai prezzi.
Dopo la chiusura Europea, Wall Street sembra aver perso il suo spunto, mentre l’oil resta sostenuto. D’altronde , ci troviamo su resistenze chiave (1950 di S&P 500 e 2950 di Eurostoxx) ed è normale un po’ di battaglia. La chiusura del mese di febbraio, con gli inevitabili ribilanciamenti, contribuisce a complicare il quadro su vari assets.
Domani la settimana macroeconomica entra nel vivo con i PMI finali di Febbraio in Cina (Markit e ufficiale, sperando che la mossa di oggi non implichi dati brutti domani), le letture finali dei PMi europei, e l’ISM manifatturiero in US.
Mercoledi abbiamo il consueto antipasto dei payrolls, la survey privata ADP in US.
Giovedi apriamo con il PMi services markit di febbraio in Cina, seguito da ISM non manufactoring febbraio e Factory orders gennaio in US.
Venerdi gran finale con il labour market repoert di febbraio in US.
Non dimentichiamo il super tuesday elettorale in US, con primarie in 12 stati, determinanti per l’investitura dei candidati finali alla presidenza US.