Lampi di Colore

Lampi di Colore 61

La chiusura di Wall Street venerdi sera, poco distante dai minimi di seduta, non prometteva nulla di buono per questa settimana. Ciononostante, la seduta asiatica ha avuto un tono abbastanza tranquillo. D’altronde, i mercati cinesi e Taiwan sono chiusi per l’intera settimana, e Hong Kong e Seul fino a mercoledi. Oltre a ciò, le riserve valutarie cinesi hanno mostrato un calo significativo a Gennaio (99.5 bln $) ma inferiore alle attese ufficiali di una ventina di miliardi. Un rally nella seconda parte di seduta ha permesso a Tokyo di chiudere in progresso, senza un ovvio catalyst, se non la lieve discesa dello Yen.

Il tono è bruscamente cambiato durante la seduta europea, quando, dopo aver tentato al solito di rimbalzare in apertura, gli indici si sono inabissati, e progressivamente la price action ha preso tutti i sintomi dell’esplosione di risk adversion, su livelli che non si osservavano dal 2011, all’esordio della crisi sovereign europea:

** All’interno degli indici, gli investitori hanno preso a punire senza distinzione settori e market leaders, risparmiando parzialmente solo coloro che avevano già pagato il dazio più alto nei mesi passati, ovvero materials e energy. Le banche europee, per contro, sono restate nell’epicentro del sisma.
** Il mercato del credito ha visto movimenti d’altri tempi. L’indice Itraxx crossover (misura di rischio high yield) mostra a fine giornata un allargamento di 38 basis points, facendo segnare i massimi dal 2013 a 460 (anche se ciò non tiene conto delle modifiche all’indice intercorse in questo periodo). Discorso analogo per il Main (investment grade, +11 bp a 122), il senior financial (+17 a 137) e financial subordinato (+38 a 310).
** Lo spread periferici ha allargato violentemente (btp 10y + 20 bp a 145), con il bund tornato in area 0.2% di rendimento.
** Spettacolare la performance dell’oro, giunto a toccare i 1200$ (a inizio anno era 1060$) con un balzo dell’1.9% solo oggi. E non è certo il timore di iperinflazione che lo supporta.  I goldminers poi sono su del 5% mentre scrivo.
** Perfino i mercati monetari cominciano a mostrare qualche segnale di stress, con gli euribor brevi che salgono marginalmente, quasi a indicare un rincaro (sia pure da livelli negativi) del costo di finanziamento tra banche. Stesso discorso per i tassi repo sui bond periferici.

A fine seduta europea, lo scenario è disarmante. Al di la della pesante discesa degli indici, i cali parenti del 10% sono distribuiti trasversalmente tra i settori : Deutsche bank, Poste Italiane, Fiat, molte banche italiane solo per citarne alcuni. Il settore bancario europeo (-6.4%) ha cancellato il rimbalzo delle ultime sedute e segna i minimi da agosto 2012.
Una simile price action ha tutte le caratteristiche di una capitulation in grande stile. Investitori che gettano la spugna, dopo un mese disastroso. I temi di qualche mese fa sono stati totalmente abbandonati, a favore di nuove letture della realtà: rallentamento globale, crisi cinese, sistemi bancari piagati da impieghi in settori in crisi (energy e materials) e ostacolati da tassi negativi e curve piatte, che ne riducono i margini di profitto sine die.

Diverse cose hanno contribuito a creare questo quadro.
Il rallentamento cinese ha prodotto un calo della domanda globale, e pesato sulle commodities, che hanno alimentato una spirale  disinflattiva.
Un eccesso di offerta sul petrolio ha depresso i prezzi, aumentando le  spinte disinflattive, massacrando il settore energy, mandando in recessione il settore manifatturiero US, pesando sui bonds hy e sul settore bancario e causando un calo degli utili a Wall Street (un -4% anno su anno che dipende da un -70% dell’energy).
Le spinte disinflattive globali hanno contribuito a minare la credibilità delle banche centrali, fin qui fondamentali per sostenere la confidence.

Al carisma di queste ultime non hanno giovato alcune sbavature comunicative, a mio modo di vedere.
Non che ci siamo mai illusi che la normalizzazione della politica monetaria FED sarebbe stata una passeggiata (non a caso Bernanke si è defilato prima di iniziare). Ma sotto la Yellen la FED ha forse tenuto una strategia troppo ondivaga, finendo per far diventare il rialzo dei tassi più una questione di tener fede agli impegni presi che non una prettamente macroeconomica.

Sul fronte ECB, non mi sembra che l’esordio della sorveglianza sulle banche sia avvenuto sotto i migliori auspici, visto che dopo ben 2 stress test e un asset quality review, con tanto di worst case scenario sulla crescita, il settore bancario europeo entra in una crisi di fiducia di queste dimensioni, senza ancora un apprezzabile peggioramento macro. Ovviamente, può trattarsi di un abbaglio del mercato. E comunque, una grossa responsabilità nella rotta ce l’hanno le autorità europee che, armate delle migliori intenzioni (proteggere il contribuente) stanno gravando troppo sul settore con la loro intransigenza.

In ogni caso, con la gaffe di Dicembre, l’ECB ha danneggiato quella “verbal intervention” che era stato un rilevante strumento di politica monetaria negli ultimi anni.

Peraltro, la price action degli ultimi giorni (e quella odierna in particolare) è del tipo che deve far suonare campanelli d’allarme nelle sale che contano, a Bruxelles, Francoforte, Washington etc. Mi sembra evidente che serve una reazione istituzionale, non fosse altro perchè il crollo è dovuto almeno in parte alla crescente convinzione che le autorità monetarie globali siano impotenti,  e i governi  in ritardo nella percezione del rischio.
Personalmente, non credo che la reazione si farà attendere molto, perchè non sono affatto dell’idea che le banche centrali siano a corto di munizioni. Se le stanno solo giocando male.

Dopodomani la Yellen parlerà al congresso. L’opinione generale è che risulterà accomodante, ma non potrà esserlo in maniera significativa, perchè i) la disoccupazione in US è bassa ìì) sarebbe uno smacco recedere dall’intenzione di normalizzare i tassi.
Non so se la Presidente FED sceglierà proprio Humpfrey Hawkins, per gettare la spugna. Ma so che quello che le interessa è la disoccupazione prospettica, e non ha nulla da guadagnare a insistere in un (eventuale) errore di politica monetaria, dovesse questo diventare manifesto.

Il meeting ECB è un bel po’ più lontano (10 marzo), il che fa rimpiangere ancora di più la “verbal intervention”. Ma Draghi ha già chiarito che in quel meeting verrà fatto un reassessment e il policy mix verrà ricalibrato. Tempo fa, avremmo pensato a un ulteriore discesa del depo rate in negativo. Ma visto l’effetto negativo sulle banche (e quello scarso sull’entità  delle riserve bancarie depositate) e il flop di Kuroda, non sembra sia la mossa adatta. Può darsi che Draghi comunque proceda in tal senso, dal momento che il mercato lo prezza, e dopo dicembre l’ECB sarà riluttante a deludere le attese.
Ma l’impressione è che ulteriore easing, per essere efficace, dovrà prendere la forma di significativo aumento degli acquisti.

Personalmente, ritengo che un allargamento della gamma di asset acquistabili ai corporate bonds, abbinato ad un consistente aumento della quantità mensile, avrebbe un effetto positivo assai rilevante. Acquisti di credito (investment grade) otterrebbero i seguenti effetti, a mio modo di vedere:
** spezzerebbero il circolo vizioso tra equity e credito che sta affossando i mercati, e quello tra bond bancari e relative azioni
** Disintermedierebbero ulteriormente il credito dalle banche, e allargherebbero l’accesso ai mercati per le aziende. In altre parole migliorerebbero  la trasmissione della politica monetaria, come si proponeva Draghi nel discorso del 4 febbraio
** Mostrerebbero che, all’occorrenza, l’arsenale delle banche centrali dispone ancora di svariati strumenti di politica monetaria, e ne possono venir creati di nuovi
** Sorprenderebbero il consenso , che non si attende una mossa simile. E lo farebbero usando una porzione relativamente bassa del loro bilancio.

Ovviamente, vi sono varie difficoltà da superare. Il mercato del credito non è equamente distribuito tra i paesi, e quindi un programma di acquisti produrrebbe ancora più sperequazioni di quello in governativi. Oltre a ciò, c’è il problema di gestire le eventuali perdite. Il primo problema richiede una corretta calibrazione degli acquisti, ma l’ECB sta già effettuando acquisti in settori disomogenei come i covered bonds e gli ABS. Il secondo può essere risolto in maniera simile a quanto avvenuto per i bonds greci, ovvero stabilendo (questa volta fin dall’inizio) che le posizioni dell’ECB sono senior rispetto a tutto il resto del debito.

Al momento, quest’idea personale (di cui si è parlato in passato) non sembra trova trovare nemmeno uno spazio apprezzabile nel dibattito tra esperti. Ne si trova alcun riscontro positivo nella retorica ECB degli ultimi mesi. Resta una mia opinione.

Quel che è certo è che, come ribadito da Draghi nel citato discorso, l’ECB non getterà la spugna, ma cercherà con ogni mezzo il modo di riportare le condizioni monetarie sul livello desiderato di accomodatività. E vista la dimensione del gap, a meno di rilevanti inversioni di tendenza, si dovrà trattare di misure forti.