Cala la tensione sul Russiagate e il Senato approva la proposta fiscale

Lampi di Colore 908

Attenzione: Lampi domani salta un giorno e  torna Mercoledi

 

Decisamente Washington non è   stata  avara di colpi  di scena negli  ultimi giorni. Venerdi sera, a mercati europei chiusi, l’azionario  US ha recuperato terreno, fino a chiudere con una perdita frazionale.
Due i driver:
** Il ridimensionamento della storia su Flynn, quando altri report hanno  smentito la ricostruzione di ABC News. I colloqui con i russi non sarebbero avvenuto in campagna elettorale e quindi Trump non avrebbe mentito. Nel week end ABC News ha sospeso   il reporter responsabile  del pezzo
** il newsflow dal Senato ha continuato a migliorare, alimentando le  speranze di un approvazione della  proposta di taglio alle tasse (poi avvenuta a notte fonda con maggioranza di 51 a 49 e l’astensione del  solo Corker tra i Repubblicani).

La reazione, in Asia, è stata  modesta  stanotte.
D’altronde, i principali indici avevano chiuso ore prima che le news di Flynn vedessero la luce, mentre le news fiscali US sono, per la  parte emergente, più neutre che altrove, per il  possibile  impatto su $ e tassi US.
Difficile dire cosa abbia gravato su Tokyo, visto che per  l’apertura di stamattina le  citate news avevano riportato il  $/Yen sui massimi di periodo, sta di fatto che il Nikkei è sceso, eventualmente penalizzato dalle perduranti difficoltà dei tecnologici. Bloomberg ha notato che il fatto di essere passata allo yield targeting ha comportato per la  BOJ un calo degli acquisti di assets, con conseguente rallentamento della creazione di base monetaria quest’anno. Ovviamente se i tassi globali dovessero riprendere a salire, mettendo pressione a quelli domestici, gli acquisti accelereranno di nuovo, a meno che la BOJ non cambi regime.
Contrastati gli indici cinesi, con “H” shares e blue chips modestamente positive e Shanghai e small caps marginalmente negative. Tra gli altri al  palo Sydney e Mumbai e in denaro  Seul.

Chi aveva più da guadagnare dai colpi di scena in US era  l’Eurozone, che aveva chiuso nel momento peggiore venerdi, e doveva fare catch up col rimbalzo di Wall Street. Gli indici hanno aperto su di un punto circa e, dopo le  doverose prese di beneficio di chi aveva avuto il fegato di comprare venerdì in chiusura, hanno preso la  via del  rialzo favoriti dall’ulteriore avanzamento dei future su Wall Street (effetto voto al  Senato), dall’ € in ritirata e con il  rimbalzo dei tassi a dare un po’ di supporto alle banche.
In assenza di dati macro l’attenzione è stata  catalizzata  dall’incombente incontro tra la  May e Junker, col il mercato ottimista sulla  possibilità di un accordo  prima del  Summit EU del  14 dicembre.  In mattinata indiscrezioni dai toni positivi hanno dato supporto alla sterlina (BARNIER TOLD MEPS BREAKTHROUGH IS LIKELY TODAY: LAMBERTS).

L’arrivo  degli USA ha visto  il  sentiment ripiegare marginalmente.  A gravare,  la ripresa delle prese di beneficio sui tecnologici. D’altronde, il settore non è ben posizionato per avvantaggiarsi al meglio del taglio alle tasse:
** Molte  blue chips ne pagano pochissime  avendo dimensioni globali e godendo di un efficienza fiscale,  come noto, elevatissima.
** Si  tratta  di un settore a multipli elevati,  eventualmente più vulnerabile a  possibili rialzi dei tassi, e ad un rafforzamento del  $, vista  la  provenienza internazionale  di larga parte delle revenues.
Aggiungiamoci che molti titoli hanno corso parecchio,  ed ecco che le  prese di beneficio non sorprendono più di tanto.

Sul fronte dati macro, ancora buone notizie, con i factory orders US di ottobre che scendono meno delle attese (con revisione al rialzo di settembre) e il dato depurato dai trasporti che cresce bene. Revisioni positive anche per i durable  goods orders di ottobre.

Nel pomeriggio, il pranzo May Junker si è concluso con fumata nera, il che è costato qualcosa alla  sterlina e, temporaneamente, al sentiment, ma la  retorica in conferenza stampa ha ripristinato l’ottimismo per la possibilità di un accordo nei prossimi giorni (*JUNCKER SAYS CONFIDENT BREXIT PROGRESS POSSIBLE BY DEC. SUMMIT).
Apparentemente a far saltare gli accorsi sono stati gli  Irlandesi del DUP  (partito che supporta il governo May) insoddisfatti delle soluzioni prospettate per il confine tra Irlanda del Nord e Repubblica Irlanda. Vedremo nei prossimi giorni se l’ottimismo del Ministro degli  esteri Irlandese (Ireland’s Coveney: Border Wording Very Close to Being Agreed) è ben riposto, o l’Irlanda diventa un ostacolo serio.

La chiusura europea è avvenuta comunque non troppo distante dai massimi di seduta, segnati poco prima dell’apertura di Wall Street a cui la  debolezza del Nasdaq (in fase di rientro ma ancora presente mentre scrivo) non sta impedendo di segnare l’ennesimo nuovo record. Discreto recupero del biglietto verde sui principali cross, mentre i rendimenti salgono in Eurozone con tendenza degli spread periferici a stringere e delle curve a irripidirsi. Salita dei rendimenti anche in US con il  2 anni che tocca l’1.8%,  massimo da oltre 9 anni, e il 5 anni che supera i massimi dell’anno,  segnati a marzo (2.15%).

Qualche considerazione:
** L’approvazione della proposta fiscale   al  Senato  fa aumentare ulteriormente le  probabilità del varo di qualcosa di concreto entro fine anno, o al  massimo a inizio 2018. Le differenze tra le proposte ci sono, ma giunti a questo punto sembra plausibile  che la  riconciliazione abbia successo.
**  Alla luce della recente  price action a Wall Street, mi pare da ingenui sostenere, come fanno alcuni comemntatori, che l’azionario US ancora non prezza la  riforma fiscale. Detto questo, sembra sensato attendersi un residuo effetto  positivo sull’azionario US, in queste settimane che vanno verso l’approvazione finale, in particolare se si andrà verso una riduzione immediata delle aliquote come prevede la Camera (Trump ha aperto a un aliquota al 22% anzichè al 20% per risparmiare un po’).
** Dove mi pare che la  riforma sia ancora in gran parte da prezzare, è sui tassi e sulla divisa. In particolare le proposte approvate contengono entrambe incentivi al rimpatrio degli utili (intorno al 14% di aliquota vs l’attuale 35%). Le principali stime indicano in 2.6 trilioni di $ l’ammontare degli utili stazionanti all’estero, di cui 25/35% non in dollari. Dovesse essere approvata una tax holiday del genere, l’impatto  sul biglietto verde si dovrebbe sentire (insieme con quello su dividendi e investimenti).
** Dovessimo notare, nei prossimi giorni, un anticipo dell’effetto fiscale sul $,  oltre che sull’equity, ciò probabilmente agevolerebbe il catch up dell’azionario europeo che caldeggiavo venerdi, di cui oggi abbiamo avuto una porzione (per quanto molto  del  differenziale di performance odierno sia dovuto al recupero di Wall Street dopo la  chiusura europea). E’ chiaro che la forza dell’€ ha avuto  una parte importante nella recente sottoperformance
** Ovviamente l’ “effetto fiscale” su azionario $ e tassi è da considerare coeteris paribus. In altre parole eventuali cause di disturbo come intoppi sulla  proroga della Continuing Resolution (che scade venerdi e senza il rinnovo della quale il Governo USA va in shutdown) o ulteriori focolai del  Russiagate (resta da capire in cambio di quali rivelazioni Mueller abbia patteggiato con Flynn) potrebbero bilanciarne gli effetti. Sulla prima però le sensazioni sembrano positive.