Novembre non sorprende… Tassi in calo e nuovi record a Wall Street

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Il mese di Novembre non ha portato particolari novità  sui mercati per  il  momento. Un quadro macro positivo ma privo  di  pressioni inflazionistiche continua a supportare l’azionario in un contesto di  volatilità eccezionalmente bassa.  All’ottimismo contribuiscono earning seasons  che rispettano le attese, punteggiate da  sorprese  positive da  parte delle Blue chips (venerdi è stata la volta  di Apple,  di caricarsi il Nasdaq sulle spalle), e i modesti ma contini progressi della riforma fiscale US.
In US, in settimana la camera apporterà modifiche alla sua bozza di riforma, che dovrebbe votare giovedi se tutto va bene, mentre il Senato nella stessa giornata dovrebbe presentare la sua versione.
Un ulteriore contributo a quest edizione “autunno 2017” del Goldilocks scenario lo ha dato lo stallo nel rialzo dei tassi globali osservato nelle ultime 2 settimane. Delusioni sul fronte inflazione in US ed EU, e la conseguente prudenza delle banche centrali hanno fatto nuovamente crollare la  volatilità  sui rendimenti,  come mostra l’indice di volatilità  implicita  sui treasuries calcolato da  Barclays, tanto per cambiare, al nuovo minimo storico.

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Come dire che volatilità sui tassi  non c’è,  e non è  attesa  in tempi brevi.

Venendo ai dati di venerdi in US, il labour market report US è sembrato deludente solo a prima vista. I nuovi occupati sono stati 261.000, meno dei 313.000 previsti,  ma  settembre è stato  rivisto  al  rialzo di 51.000 unità, a cui si aggiunge la revisione di agosto (+39.000). La  disoccupazione ha fatto segnare il nuovo minimo dal 2000 (4.1%). Vero, il calo è dovuto  a un crollo della forza lavoro di 765.000 unità, a cui si è  contrapposto un calo dei nuovi occupati della household  survey di 484.000 unità. Ma a settembre l’aumento era stato di 906.000.  E’  come  se  gli  uragani avessero impattato sulla household survey con un mese di ritardo. Delusione per i salari orari invariati, ma dopo il +0.5% di settembre forse era da mettere in conto.
In ogni caso,  eventuali messaggi dubbi nel report sono stati bilanciati dall’ISM non manufacturing US migliore dal  2005, e dai factory orders di settembre sopra attese.
Al  momento dati e  survey US mostrano un ciclo assai robusto (per i tempi) e,  su queste basi, la stabilizzazione dei rendimenti risulta  ben più  sorprendente della salita dell’azionario, per caro  che sia.

Certo, c’è  da  considerare che la  presidenza FED  è  andata a Powell. Quale sorpresa! Il candidato che garantiva maggiore continuità con la  dovishness della Yellen, ma con una minore resistenza alla deregulation,  si è aggiudicato la nomina. Naturalmente tutti ora si precipitano a lodarne l’esperienza, la  posatezza e (non senza motivo) le doti di comunicatore. Non lo metto in dubbio, ma essendo da tempo convinto che avrebbe ottenuto lui il posto, ho le  idee assai chiare su cosa abbia indotto Trump a scegliere lui. A questo punto non è  affatto detto che Taylor ottenga  (o  accetti) una nomina a vicepresidente, per cui per il momento gli sviluppi al FOMC sono alquanto “accomodanti”. Aggiungiamoci che Dudley, tra i membri più  esperti del Committee, ha comunicato che lascerà nel  2018, e ecco che l’incertezza sulla composizione del Board riprende quanto mai quota.
La  cosa  strana è  che, in un altro contesto, una simile  indeterminatezza si tradurrebbe in un aumento del premio al rischio sulla curva (Se non sai chi sono i membri non puoi prevedere le loro azioni) ma in questo  periodo in cui ogni mossa viene telegrafata al mercato con settimane e mesi di anticipo (non solo dalla FED, beninteso), si traduce in paralisi.

In realtà la seduta asiatica non è stata arzilla come si potrebbe pensare quando, ad esempio, i PMI servizi e composite giapponesi di balzano rispettivamente di 2.4 punti a 53.4 e di 1.7 a 53.4. Ma l’ l’azionario giapponese ha messo giù una sola seduta negativa delle ultime 24 (compresa quella odierna) e l’RSI sta al livello siderale di 90.7. E poi Trump, in visita a Tokyo, ha pensato bene di dichiarare in loco che il trade tra USA e Giappone non si svolge con condizioni eque e che le aziende automobilistiche dovrebbero venire a produrre in US anzichè esportare i loro prodotti. prepariamoci ad altri fuochi artificiali nei prossimi giorni, visto che visiterà paese con i quali ha rapporti meno cordiali che con il Giappone.
Tra gli altri indici, marcatamente positivi solo quelli locali cinesi, autori del consueto spike finale. Anche qui il recupero è avvenuto in un contesto insolito, con il governatore della PBOC Zhu che ha pubblicato sul sito della Banca Centrale un pezzo dai toni assai preoccupati. Sebbene le condizioni generali del sistema finanziario siano buone, si stanno accumulando rischi latenti tra cui alcuni “nascosti, complessi, improvvisi, contagiosi e pericolosi” (sic). Visto che in Cina nulla succede mai a caso, in fatto di comunicazione, questo potrebbe essere un indizio che le autorità potrebbero irrigidire i controlli sul sistema finanziario, anche se ciò cozza con il fatto che recentemente è stata abbassata la riserva obbligatoria (con effetto da Gennaio). Nel dubbio, gli investitori hanno continuato a vendere le immobiliari, visto il chiaro surriscaldamento del real estate, anche se non è bastato a far scendere gli indici generali.

L’apertura europea ha avuto un tono cauto. Vero, la debolezza dell’€ (anche stamattina in lieve calo) aiuta i ciclici e l’export, e i dati macro restano in generale robusti (vedi factory orders tedeschi di settembre). Ma l’attività economica nella periferia perde un po’ di momentum (PMI servizi ottobre italiano ai minimi dal 2017 e quello spagnolo risente della Catalonia). E la continua discesa dei rendimenti aiuta la discesa dell’€ ma zavorra le banche (aiutata oggi dalla brutta trimestrale di Societè Generale). Qualcuno ha citato anche il pessimo risultato del PD alle elezioni in Sicilia, anche se l’unico effetto apprezzabile è stato un modesto allargamento dello spread, meno di un paio di BPS.

Al calo dei rendimenti europei ha forse contribuito oggi la quantificazione dei reinvestimenti delle revenues del portafoglio ECB (110 bln nel 2018 in titoli di stato). Certo è sorprendente prendere atto del calo dei rendimenti Eurozone delle ultime 2 settimane quando nello stesso lasso di tempo il petrolio ha guadagnato oltre il 10% e l’€ ha perso il 2% . Evidentemente la performance di Draghi all’ultimo meetning ha visto il suo impatto esaltato, oltre che dalla debole inflazione di ottobre, da un positioning esageratamente corto degli investitori.
A mio modo di vedere non può durare, ma al momento i segnali di interruzione del trend scarseggiano.

Nel pomeriggio, in assenza di dati macro US, Wall Street si è incanalata nella solita price action quieta dell’ultimo periodo e con ogni probabilità produrrà l’ennesimo record.
E i tassi ? Meno che in Europa, ma comunque scendono, e il loro calo ha levato un po’ di forza al $.
I caveat sono quelli soliti: l’S&P 500 è salito per 8 settimane a fila e storicamente dopo serie del genere ha chiuso negativo nelle 2 settimane successive col 90% di frequenza. E la partecipazione al rally si assottiglia sempre di più. Il range è sempre più stretto, e indici di sentiment come il Put/call ratio sono a letture estreme. Tutte condizioni viste frequentemente in questo 2017, che non hanno portato a correzioni che superassero il 2% negli ultimi mesi.