Ieri sera, Wall Street si è poi avvitata, producendo la seconda peggior seduta del 2017 (S&P 500 -1.54%). In generale la price action ha avuto tutti i crismi della risk aversion, con tassi in calo, Yen in denaro e vix balzato del 32%.
Tra i principali driver indicati per il movimento, le ricadute sull’esecutivo US dell’atteggiamento di Trump sui fatti di Charlottesville, e gli attentati di Barcellona. Circa il primo punto, il sentiment è rimasto scosso da indiscrezioni che Gary Cohn, il responsabile del National Economic Council, sarebbe sul punto di dare le dimissioni. Cohn, di origine ebraica, ha legato il suo nome ad un centro per studenti ebrei alla Kent University ed è stato chiaramente infastidito dall’atteggiamento di Trump. Una sua rinuncia darebbe un grosso colpo alle ambizioni riformatrici dell’amministrazione e nello stesso tempo alimenterebbe ulteriori depauperamenti della compagine tecnica, ponendo i prodromi per un fuggi fuggi generale. Non stupisce che i mercati si siano innervositi, anche se le indiscrezioni sono state prontamente smentite e al momento la situazione sembra tornata stabile.
Sicuramente l’attentato è stato un aggravante, anche se personalmente non gli attribuirei più del 25% dello storno. Episodi simili di recente hanno avuto impatti modesti. La verità è che i mercati erano e sono tecnicamente deboli, e comunque il rischio Nordcorea non è del tutto sopito e potrebbe riprendere la prossima settimana.
La seduta asiatica ha chiaramente risentito del clima, sebbene le perdite a fine giornata siano risultate ben inferiori a quelle patite a Wall Street. Tokyo ha ovviamente risentito della forza dello yen, ma a parte l’azionario giapponese, solo Hong Kong e HSCEI hanno mostrato perdite intorno al punto percentuale, depresse dal settore immobiliare. Quest’ultimo avrà risentito del tenue raffreddarsi dei prezzi delle case in Cina a luglio.
La mattinata europea ha ovviamente dovuto fare i conti col lo storno di Wall Street, avvenuto in gran parte dopo la chiusura europea. Su queste basi, le perdite accumulate (aggregando la seduta di ieri con la porzione di quella di oggi), pur rilevanti, per una volta risultano inferiori rispetto a oltreoceano. Sul fronte cambi, il biglietto verde continua a risentire della “cura Trump”, ma, con la fase di risk aversion in atto, il positioning si è fatto sentire. Lo yen ha toccato nel pomeriggio massimi da aprile, sotto 109, mentre l’€ ha tentato qualche sortita ma al momento resta fondamentalmente sui livelli di ieri. Coerente la reazione dei rendimenti, in calo ovunque con tendenza degli spread periferici ad allargare.
L’apertura di Wall Street, in ulteriore lieve calo, non ha aggiunto ne tolto granchè al sentiment per ora.
Sul fronte macro il calendario era abbastanza scarico, con, unico dato di un qualche peso, l’ U. of Michigan confidence preliminare di agosto. Il report è uscito confortevolmente sopra attese (97.6 da prec 93.4 e vs attese per 94) grazie ad un balzo di 8 punti delle aspettative. Il fatto è che Charlottesville è troppo recente per essere stata catturata dalla survey (in particolare sugli elettori Repubblicani e neri), mentre le attese di inflazione a 5-10 anni si sono ridimensionate ulteriormente (a 2.5% da 2.6%). La cosa non è sfuggita al mercato dei cambi, col dollaro che ha fatto un temporaneo dip.
In generale, il biglietto verde resta debole, ma la tempesta su Trump non gli ha per ora imposto nuovi minimi. Il Dollar index consolida poco sopra il supporto posto a 92.60, parte bassa del range che lo ha contenuto per ben 30 mesi, dopo averlo testato a inizio agosto.
Se chiaramente le difficoltà di Washington continuano ad essere un ostacolo ad un inversione di tendenza sul biglietto verde, altri fattori possono essere potenzialmente a supporto:
** La FED sembra recentemente propendere per un atteggiamento più hawkish: Dudley ha chiarito che il quadro non si è modificato di recente, riducendo i timori di un crollo delle projections al FOMC di settembre. Le minute hanno confermato l’imminenza della balance sheet reduction. Il discorso della Yellen a Jackson hole sarà orientato a discutere la financial stability, un argomento che va a braccetto con la rimozione dello stimolo monetario in eccesso anche se il quadro inflattivo non lo richiede.
** A fronte di ciò, complice la recente volatilità, le curve dei tassi non prezzano quasi nulla in termini di rialzi dei tassi, il che rende assai asimmetrica la reazione a eventuali sorprese in inflazione, crescita e retorica FED.
** Il positioning resta assai scarico di dollari in generale, con il $/Yen unica eccezione (e infatti la price action lo dimostra). Tra l’altro, dovesse l’attuale fase di risk aversion diventare estrema, un eventuale derisking aggressivo dei portafogli causerebbe ricoperture.
E’ vero che Trump resta un incognita e un ostacolo assai rilevante. Anche se il suo esecutivo tiene (come in effetti sembra), le sue reazioni scomposte stanno alienandogli sempre di più le simpatie dei Repubblicani al Congresso, con ovvie ricaduteee sulla sua agenda politica ed economica. E nelle prossime 6 settimane bisogna risolvere il problema del debt ceiling. Detto questo, basta uno sguardo alle small cap US, alle aziende tax intensive e al dollaroi stesso per capire quanto poco ormai il mercato prezzi in termini di riforme.
Oltre a ciò, resto personalmente convinto che il mercato stia sottovalutando l’impatto della Balance Sheet reduction sulla liquidità in $, anche se per avere un effetto significativo bisognerà che questa entri nel vivo.
Sul fronte tecnico, la seduta di ieri ha reso ulteriormente negativo il quadro. Il Russell 2000 small cap è sceso sotto la media mobile a 200 giorni per la prima volta dal giugno 2016 (e al momento è negativo da inizio anno).
L’S&P 500 ha rotto il supporto in area 2435 (minimo della scorsa settimana), e lavora considerevolmente sotto le medie mobili a 20 e 50 giorni. Il prossimo supporto, come specificato ieri, è in area 2405, sotto la quale il quadro si fa più decisamente correttivo.