L'ECB cambia tono… Il petrolio rompe bruscamente al ribasso

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NB : domani Lampi salta un giorno e torna lunedi
La giornata dell’ECB è iniziata con un tono opaco.
Al clima incerto ha certamente contribuito ieri sera il crash del petrolio, che ha lasciato sul terreno il 5.4%, il peggior calo da oltre un anno. Il movimento dell’oil è un buon esempio di quello che può succedere quando un qualunque catalyst impatta su un mercato che ha avuto una volatilità abnormalmente bassa per un periodo sufficientemente lungo.
Come si nota dal restringimento delle bollinger bands sul grafico, il contratto sul petrolio tenuto nei primi mesi un range sempre più stretto, il che ha presumibilmente portato ad una stratificazione di posizioni di trading e ha fatto abbassare la guardia agli investitori.

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La rottura ribassista seguita alle news di ieri ha causato una valanga di stops (come noto il lungo speculativo era importante), confermando la regola che, dalle fasi eccessivamente tranquille, raramente si esce con movimenti graduali.

Ora il punto è se la fiammata di volatilità su oil e commodities diverrà sufficiente a contagiare altre asset class, eventualmente tramite un var shock, oppure no. A naso direi che, pur con il -2% di oggi, il movimento non è ancora sufficiente a svegliare dal torpore l’azionario. Detto questo, teniamo a mente che :
1) bisogna vedere dove trova una base il movimento
2) i venti di reflation hanno reso popolare il trade in commodities e quindi qualcuno starà soffrendo
3) La situazione sui principali indici azionari non è troppo dissimile da quella sull’ oil in termini di volatilità realizzata, anche se il posizionamento non è assolutamente cosi monotematico.
Direi quindi situazione da monitorare nelle prossime ore/giorni.

Naturalmente stamattina l’Asia (almeno la parte emergente) non ha gradito le news su oil e commodities, che vanno ad aggiungersi al $ forte e ai tassi US in rialzo post ADP survey. Oltre a ciò, i dati cinesi continuano a fare notizia, con il PPI di febbraio che ha fatto segnare un nuovo massimo (+7.8 anno su anno da prec +6.9% e vs attese per 7.7%), mentre il CPI, a sorpresa è crollato a 0.8% anno su anno da +2.5% e vs attese per 1.7%.
Il calo dei prezzi del cibo spiega gran parte della discesa dei prezzi al consumo. Ciò da un lato restituisce potere d’acquisto agli strati più bassi della popolazione e dall’altro è di natura temporanea per definizione. Peraltro, anche il dato core è sceso (a 1.8% da 2.2%). Le commodities continuano ad essere il principale driver dei prezzi alla produzione. Un CPI più basso richiede meno inasprimento della politica monetaria da parte della PBOC, se confermato.
Pur tenendo presenti queste considerazioni, l’allargarsi della forbice tra prezzi alla produzione e al consumo lascia apparire potenziali pressioni sui margini aziendali. Non a caso gli indici di Hong Kong, Shanghai e Taiwan sono stati i più penalizzati in una seduta che ha visto Tokyo beneficiare meno delle attese della salita del $. Naturalmente settore oil e miners hanno sofferto.
A mercati cinesi chiusi sono stati pubblicati gli aggregati monetati di Febbraio. Se i new loans sono usciti sopra attese (1117 bln vs 950 attesi e 2030 di gennaio), il total social financing è collassato (1150 bln da 3737 bln di gennaio e vs attese per 1450) a indicare che le misure per contenere lo shadow banking system stanno iniziando a funzionare. In lieve rallentamento M2. I dati di marzo, privi delle distorsioni per il capodanno, faranno più chiarezza su quello che sembra un moderato tightening.

La mattinata europea si è risolta nella solita price action erratica che precede i grandi appuntamenti (vedremo la stessa cosa domani sui payrolls US?). La tendenza al rialzo dei rendimenti ha comunque tenuto di buon umore il settore bancario, mentre il settore oil e alcune news company specific (BMW) ne hanno bilanciato gli effetti sugli indici generali.

Scontata la conferma delle misure ECB in atto, anche lo statement di Draghi è rimasto largamente invariato, seppur soffuso di un tono leggermente meno accomodante. L’effetto è stato ottenuto principalmente eliminando dal testo la promessa di utilizzare “tutti gli strumenti disponibili nel mandato” per ottenere l’obiettivo di stabilità dei prezzi, e riconoscendo che il bilancio dei rischi sul ciclo macro, pur permanendo al ribasso, è leggermente migliorato. Le stime di crescita sono state alzate solo leggermente (0.1%) per il 2017 e 2018, mentre la revisione di quelle di inflazione è stata più rilevante per il 2017 (+0.4% a 1.7%) ma quella per il 2019 è rimasta invariata, sotto il livello target. Quest’ultimo è un punto importante, perchè conferma nei fatti che il Governing Council non vede un raggiunto il proprio mandato entro i prossimi 2 anni. Draghi ha poi riconosciuto che il rischio deflazione è scemato, ma chiarito che l’ECB guarderà oltre la natura “transitoria” del attuale rimbalzo dell’inflazione.
Altri piccoli segnali di inasprimento della stance sono stati la conferma che non hanno nemmeno discusso del rinnovo delle TLTRO e che si è invece considerato di modificare la guidance levando la dicitura “or lower” dalla frase in cui si impegnano a tenere i tassi su questo livello a lungo.

Il mercato ha chiaramente percepito il lieve cambiamento di tono. I rendimenti hanno preso a salire più marcatamente, sebbene la periferia abbia risentito dell’ottimismo dell’ECB, mantenendo parte dell’outperformance vs i tassi core. E l’€ ha recuperato bene contro $, finendo a tratti sopra 1.06.
Ma il settore che più si è giovato della performance di Draghi è stato quello bancario, che ha reagito con entusiasmo agli indizi della possibile fine, in un futuro lontano, dei tassi negativi, e al rialzo dei rendimenti sulla curva. I finanziari hanno più che bilanciato la debolezza di materials e auto, portando ad una chiusura positiva gli indici generale (ad eccezione del Dax, scarso di banche).
Cosi l’Eurostoxx ha fatto segnare i nuovi massimi da dicembre 2015, ed ha un quadro tecnico costruttivo nel breve. Meno nitido è il quadro su Wall Street che anche oggi, dopo un inizio promettente, sembra aver smarrito la direzione, ed ha cancellato il  balzo del primo marzo. Peggio gli emergenti, cui il turnaround nella stance FED ha levato il supporto (anche se restano largamente positivi da inizio anno).
Parte del nervosismo è da ascrivere al labour market report di febbraio in uscita domani in US, che precede di poco il FOMC di mercoledi. Alla luce dell’ADP di ieri il consenso non è certo più a 200.000 nuovi occupati, e quindi un dato in linea potrebbe deludere. Ma eventuali guizzi di disoccupazione e salari verranno assolutamente notati e prezzati dai tassi.

Nel frattempo la stance generalmente più restrittiva delle banche centrali sembra aver modificato la dinamica del rialzo dei tassi. Se fino a poco fa i movimenti dei rendimenti venivano spiegati in gran parte dalle aspettative di inflazione, mentre i tassi reali restavano stabili, il cambio di marcia sta portando i mercati (complice eventualmente lo stallo delle commodities) a far salire i tassi reali, mentre le attese di inflazione stanno leggermente recedendo. In altre parole, il tentativo di inasprire le condizioni monetarie messo in atto in particolare dalla Fed sta iniziando a ottenere effetti. Per il momento si parla di effetti moderati. Ma anche questi sono da monitorare.
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