Lampi di Colore

Lampi di Colore 342

L’avvento di Trump alla casa bianca continua a dominare sui mercati, coprendo qualsiasi altro tema, in particolare i dati macro, considerati (non senza un po’ di precipitazione, a mio modo di vedere) “vecchi” alla luce dei nuovi sviluppi.

Nel week end, massima attenzione alle prime dichiarazioni di Trump, ed alle prime nomine. In sostanza, il Presidente Eletto è sembrato tendere più al ragionevole delle attese:
** Ha dichiarato che eliminerà la Dodd-Frank per ridare vigore alle banche, ma che terrà alcune parti dell’ Obamacare
** Costruirà il muro col Messico (in parte recinzioni) e deporterà e imprigionerà i clandestini con precedenti penali, ma sul resto ha un atteggiamento riflessivo, perché tra loro ci sono ottime persone.
** Vi è stata una telefonata col Presidente Cinese in cui si è ribadito che la collaborazione è l’unica scelta possibile, ed è stato fissato un Summit
** Il capo di Gabinetto sarà Reince Priebus, una figura istituzionale (è l’attuale presidente del Republican National Committee) in grado di garantire i legami con Partito e la collaborazione col Congresso. Ma al suo spregiudicato capo campagna Bannon è andata la posizione di capo strategia e consulente, a ricordare a tutti che, sebbene il tempo delle spacconate elettorali sia finito, la linea resta quella delineata negli ultimi mesi.

La seduta asiatica ha comunque avuto un tono contrastato. Tokyo continua a risplendere, col Nikkei tornato ai livelli di inizio febbraio. Si è guardato al GDP migliore delle attese (+0.5% da prec 0.2% e vs attese per +0.2%), ma la verità è che a eccitare gli investitori è la debolezza dello Yen, e la possibilità che una volta tornati a 0% i rendimenti del JGB decennale, la BOJ accelererà gli acquisti per arrestare la salita.

Ugualmente snobbati i dati macro cinesi di ottobre, generalmente sotto attese ad eccezione degli investimenti fissi, trainati, tanto per cambiare, dal property market. Moderatamente positivi i mercati locali, eventualmente in risposta anche all’atteggiamento di Trump, ma non è che avessero scontato granchè la sua nomina.
Diversamente, Hong Kong ha ceduto, a causa del settore immobiliare in calo e di attese di inasprimento della politica monetaria per mantenere il peg col $. Un perfetto esempio di uno degli effetti collaterali del binomio tassi-dollaro forte sugli emergenti. Non a caso il resto degli indici dell’area ha perso ancora terreno.

Per contro, l’apertura europea ha avuto un tono decisamente positivo, grazie alle news del week end, ma anche alla forza del $, che ha messo forte pressione a tutti i principali cross. Settorialmente parlando i temi sono rimasti gli stessi, con le banche a trainare il mercato. In mattinata però è continuato il rovescio dei governativi, con rialzi a 2 cifre per tutti gli emittenti europei ad eccezione del Bund, che ha comunque fatto segnare 0.35%. Pesantissima la mattinata del BTP, che ha visto il 2.2% di rendimento e oltre 180 di spread. Ma in realtà non è che il resto dei periferici abbia mostrato variazioni giornaliere granchè inferiori.
La fiammata sui tassi ha levato un entusiasmo all’equity, con Milano che è passata in negativo.
Nel pomeriggio la price action è stata dominata da una wall Street infastidita forse dall’estrema forza del $ (il Dollar Index ha superato 100 per la prima volta da dicembre scorso) e dalla continua salita dei tassi, e quindi l’azionario continentale ha chiuso positivo ma con una frazione dei guadagni della mattina, incurante del rimbalzo dei bonds che hanno in generale ridotto ad una manciata di basis points i vistosi rialzi dei rendimenti osservati in mattinata.
Il movimento sui tassi, oltre, a mio modo di vedere, a ostacolare un po’ l’azionario, sta iniziando a infastidire il credito, che sta iniziando sottoperformare sia in assoluto che in spread, per lo meno nelle categorie più volatili come subordinati finanziari e ibridi.

Sul fronte cambi, l’avvento di Trump sembra riaffermare con forza la narrativa della divergenza tra politiche monetarie che aveva caratterizzato la prima gamba di rialzo del $ (e la crisi degli emergenti). La teoria funziona cosi:
** Lo stimolo fiscale in arrivo in US, coniugato col protezionismo ed erogato su un economia che approccia la piena occupazione, produrrà un accelerazione dell’inflazione e un inasprimento della politica monetaria, che offriranno supporto al $.
** In Europa, per contro le banche centrali manterranno politiche monetarie espansive anche per bilanciare l’inasprimento delle condizioni monetarie dovuto al rialzo dei rendimenti in simpatia col tresaury (e poi per la Brexit, etc etc).

Teoricamente il discorso fila alla grande.
Ma nella pratica mi pare il mercato stia correndo un po troppo, con i treasury in picchiata da qualche giorno e i breakeven US giunti in area 1.90% (rispetto a 1.55% di fine settembre).  Lo stimolo fiscale che ha prodotto tutte queste attese arriverà per lo meno tra un semestre, e comunque ci metterà un po’ a produrre effetti su ciclo e inflazione. Nel frattempo Dollaro e Petrolio, che agiscono più rapidamente sui prezzi, si stanno già muovendo in direzione opposta: il primo sta ai massimi da 11 mesi e il secondo oggi ha fatto i minimi da agosto.
Con questo non intendo destituire di fondamento la teoria, ma solo sostenere che non mi pare ora il momento adatto per saltare sul treno della reflazione e accumulare posizioni lunghe dollaro e corte treasury.