Lampi di Colore – 2 Settembre 2015

Giornata interlocutoria quella odierna, con gli indici impegnati in un moderato rimbalzo dopo la disfatta di ieri (ovviamente beneficio di inventario per Wall Street che deve ancora chiudere).
Tra gli aspetti positivi, il fatto che l’ondata di risk adversion di ieri non ha avuto seguito oggi (cosa per nulla scontata alla luce della chiusura di Wall Street ieri sera quasi sui minimi e ben sotto i livelli di fine seduta europea). Tra quelli negativi il palese nervosismo che traspare dalla price action, e l’estrema fragilità del sentiment, testimoniata dalla velocità con la quale gli indici cancellano i guadagni. E i segnali che continuano ad arrivare dal mondo emergenti (vedi il Real che fa i minimi da 12 anni, lasciando un altro 1.25% sul terreno oggi, oltre il 5% nelle ultime 4 sedute).

Parte del merito della tenuta del sentiment va all’ Asia, dove i principali indici hanno recuperato durante la seduta i robusti passivi mostrati in apertura, per chiudere poco mossi. Difficile dire se sia un sintomo che, anche qui, il sentiment ha raggiunto un nadir, o se sia merito delle autorità cinesi, determinate a giungere alla parata di domani senza un grosso selloff. Vedremo.

L’apertura europea si è giovata del rimbalzo, evidente anche sui futures degli indici americani. Ma, nella totale assenza di news (l’unico dato in Eurozone era il PPI di luglio, uscito in linea), il movimento si è rapidamente sgonfiato. Peraltro, al ritorno in negativo delle principali piazze non è seguito l’avvitamento che si poteva immaginare sulla base della price action di ieri. Anche qui difficile capire quanto dipenda da un miglioramento del tono, e quanto dal fatto che domani c’è l’ECB, e gli investitori sperano in parole di conforto da Draghi. La debolezza dell’€ contro $ e Sterlina osservata nelle ultime ore fa propendere per questa seconda ipotesi.

Contrariamente quello dell’ Eurozone, il calendario macro US era abbastanza popolato.
L’ ADP survey ha indicato 190.000 nuovi occupati in agosto, leggermente sotto le attese (200.000) ma comunque un numero decente. Posto che l’ADP non fornisce un indicazione affidabile sui dati ufficiali (probabilmente per le distorsioni che inficiano entrambi le rilevazioni) questa lettura, pur confermando la salute del mercato, riduce la probabilità di un dato tale da mettere pressione alla FED (tipo oltre 250.000 nuovi occupati) e infatti il mercato lo ha salutato con soddifazione, mettendo a segno un  altro tentativo di rally. Discreti anche i factory orders di luglio, marginalmente sotto attese (+0.4% vs +0.9% atteso) ma a fronte di una revisione di 0.4% del dato di giugno (da +1.8% a +2.2%). Le richieste settimanali di mutui sono salite del 17%, il settimo incremento a fila, ennesima dimostrazione dello stato di forma dell’immobiliare. Deludente l’ISM di NY di agosto (51 da 69) ma è una serie davvero volatile. Ai dati odierni aggiungo la stima di vendite di auto in US di agosto, uscita ieri sera (17.7 mln annualizzati vs 17.3 attesi) che mostra il tasso mensile più alto dal 2009. A questi ritmi il 2015 sarà il miglior anno per il settore dal 2001.
Stasera completa il quadro il Beige Book Fed, che verrà scandagliato alla ricerca di sintomi di un impatto della crisi cinese sull’attività economica riportata dai vari distretti.
In generale il quadro resta coerente con un economia US che continua a crescere, guidata dai servizi e dall’immobiliare, e in generale dalla domanda interna, mentre il settore manifatturiero arranca, ostacolato dalla crisi degli emergenti e dal dollaro forte.
Le news generalmente positive non hanno impedito agli indici di ritracciare l’iniziale positività, il che è costato all’Europa una chiusura distante dai massimi di seduta (ben oltre l’1% nel primo pomeriggio).

Venendo a Draghi domani, la probabilità che il Presidente ECB metta mano alla politica monetaria è trascurabile a mio modo di vedere. Gli eventi delle ultime settimane, per quanto rilevanti, sono insufficienti a produrre un’azione.
Peraltro, se effettivamente, a giudicare dai PMI, l’economia EU sembra attraversare agevolmente i recenti shock, e gli aggregati monetari confermano il trend di miglioramento nel mercato del credito, il quadro inflattivo è stato inevitabilmente impattato dal crollo di oil e commodities, e un eventuale prosecuzione della fase di volatilità sui mercati può ben produrre un inasprimento delle condizioni finanziarie (il famoso “unwarranted tightening”).
Su queste basi,  un qualche tipo di intervento verbale mi pare più probabile. Una presa d’atto che lo scenario mostra un deterioramento su questi 2 aspetti, corredato dalla promessa di stretto monitoraggio e pronta azione dovrebbero servire allo scopo. Come osservato da Praet una settimana fa, il programma ECB è sufficientemente flessibile da poter essere modificato al volo.
Purtroppo, ritengo che queste siano anche le attese del mercato, per cui se domani Draghi dovesse invece minimizzare gli ultimi sviluppi, ci sarà delusione.

Sempre in tema di banche centrali, fatico a farmi coinvolgere nel dibattito su un eventuale mossa a settembre della FED. Apparentemente le attese di un rialzo tra 2 settimane poggiano sull’ emergere, in caso di rinvio, di un rischio reputazionale per il FOMC, il quale venendo meno ai propositi espressi, dimostrerebbe sudditanza nei confronti dei mercati e attenzione eccessiva verso questioni esterne agli USA.
Personalmente, osserverei che l’unico proposito effettivamente espresso dalla Yellen è di effettuare il primo rialzo entro il 2015, sempre se le condizioni richieste si verificano. In questo senso, non vedo l’urgenza di farlo a settembre, con lo scenario inflattivo assai deterioratosi, e gli emergenti nel bel mezzo di una crisi. Mi sbaglierò ma ritengo che l’unico motivo per cui Fisher ha lasciato la porta aperta ad una mossa al prossimo FOMC è di evitare di fare pre-commitment, ovvero di impegnarsi.

Sul fronte tecnico, la violenza della price action rende difficile orientarsi tra i livelli. Vari analisti, basandosi per lo più su episodi di volatilità simili (2010 e 2011 ma non solo) sostengono che la price action chiama per lo meno un test dei minimi prima di una stabilizzazione. Il che non fa una grinza.
Ciò detto, un analisi del VIX nell’episodio più citato (2011) mostra che questo, balzato sopra 40 in occasione del primo crollo, restò confinato sopra 30 per un paio di mesi. Durante la fiammata attuale, l’indice della volatilità dell’S&P ha già bucato il livello 2 volte. Prenderei questo valore come spartiacque tra la possibilità di un test dei minimi e quella che il minimo di quest’episodio resti quello di lunedi 24 agosto, e saluterei un ritorno sotto il 25 come una conferma che andiamo verso il secondo scenario.