Lampi di Colore – 14 Settembre 2015

Inizio di settimana scialbo sui mercati, nonostante le premesse fossero tutto sommato decenti.
Wall Street venerdi ha chiuso positiva, in un regime di volatilità ridotto, e con il Vix ai minimi da 3 settimane (prendendo le chiusure come livelli). Nel week end, gli attesi dati cinesi di agosto sono usciti misti: se la produzione industriale è rimbalzata meno delle attese (6.1% anno su anno, da 6.0% e vs attese per 6.5%) e gli investimenti hanno ulteriormente rallentato (+10.9% da prec +11.2% e vs attese per +11.2%) le retail sales hanno sorpreso in positivo (+10.8% da prec +10.5% e vs attese per +10.6%), a dimostrazione che il crash azionario non sembra aver impattato più di tanto sui consumatori (cosi come non lo aveva fatto il rialzo).
Personalmente, osservo che, per quanto non brillanti, non paiono dati da implosione macroeconomica, quale quella prezzata dai mercati asiatici. Deutsche Bank va oltre, sostenendo che è evidente una stabilizzazione, e che un analisi dei dettagli del dato sugli investimenti mostra che le componenti più anticipatrici stanno già rimbalzando. E si nota l’impennata della spesa pubblica. In soldoni lo stimolo monetario e fiscale sta iniziando ad ingranare, al punto che ulteriori misure nei prossimi mesi sono improbabili.

Ciò detto, vuoi per la generale lettura negativa che i media hanno dato ai dati, vuoi per motivi indipendenti, la volatilità sull’azionario cinese e ripresa, il che ha comunque costituito un freno per il sentiment nell’area. Particolarmente pesante Tokyo, che apparentemente somatizza l’incombere del meeting BOJ (domattina le decisioni).  Lo si nota anche dalla forza dello Yen, che chiude  la seduta europea sotto quota 120 vs $. In realtà non vi sono particolari attese di ritocchi alla politica monetaria domani. Con questa price action il mercato sembra “chiedere” un apertura ad un incremento del QQE nei prossimi meeting. Vedremo se Kuroda accontenterà i suoi capricci. Ma sappiamo che gli piacciono le sorprese, per cui non farei troppo affidamento su segnali alla Draghi.

L’azionario europeo ha provato a capitalizzare le good news della vigilia, facendo una puntata in positivo di primo mattino. E’ durata poco, e per metà mattinata gli indici oscillavano nuovamente intorno alla parità, nonostante l’ennesimo dato macro positivo, la produzione industriale europea di luglio (+0.6% da pre -0.3% e vs attese per +0.3%). Gli ultimi dati sembrano indicare che le cose per il GDP europeo del terzo trimestre si stanno mettendo discretamente. Ma ovviamente siccome era prima del secondo shock cinese (la “svalutazione”, il crash di borsa c’era già stato), è considerata old news.
Nel primo pomeriggio, quando si è capito che Wall Street non avrebbe fatto “tris” (almeno nella prima parte di seduta) l’azionario europeo si è inabissato, per chiudere negativo, ad eccezione del Dax, oggi aiutato dalla scarsa presenza di banche.
Ovviamente, il tema principale che fa da tappo al sentiment è sempre lo stesso: La FED. Alzerà? Non alzerà ma lascerà aperta la porta per il prossimo meeting? Rinvierà tutto al 2016 come caldeggia l’ IMF? Oppure alzerà ma poi dirà che per un pò sta ferma?
L’incertezza continua a tenere in scacco il sentiment. Peccato che l’Europa continui paradossalmente a sembrare più fragile degli USA, nonostante la sua Banca Centrale sia da tempo al lavoro e un rialzo dei tassi sia quanto mai distante nel tempo.
Una buona parte di questa fragilità è sicuramente dovuta al posizionamento, sicuramente robusto sugli asset europei, almeno strategicamente (tatticamente credo meno), mentre sull’azionario americano il quadro sembra assai più equilibrato. Anzi, in base ad alcune misure, il pessimismo sembra farla da padrone (vedi nel grafico , courtesy of Sentimentrader.com, il livello di scoperto degli small speculators sui futures US, ai massimi storici). Visto che in questi giorni più che mai Wall Street dirige la musica a livello globale, lo ritengo un fattore degno di nota.

Coerente con il sentiment oggi la performance delle commodities (compresi oil e rame), mentre si fa notare la marginale debolezza dell’€, visto che di solito avviene il contrario. Poichè la teoria di un  $ sostenuto dall’aumento delle probabilità di una mossa giovedi è affossata dalla forza dello Yen, propendo per un effetto Draghi che impedisce alla divisa unica di rafforzarsi troppo (si sa che livelli significativamente superiori a 1.15 metterebbero in agitazione la banca Centrale Europea). ISorprendente in una giornata del genere che solo la lira turca tra le divise emergenti perda terreno.
L’aspetto positivo della giornata odierna è che di qui a 72 ore avremo le Banche Centrali alle spalle, almeno per un po’, e potremo ricominciare a concentrarci su macroeconomia e utili aziendali.