Con il crollo di ieri sera (S&P 500 – 2.52% peggior seduta dal -3.75% dell’8 febbraio) Wall Street èinfine riuscita a mettere in subbuglio l’Asia.
Tokyo, che si era arroccata sopra la media mobile a 200 giorni nelle ultime sedute, si è schiantata del 4.5%. La rottura di 105 da parte del dollaro/yen ha ovviamente catalizzato l’attenzione dei traders. A parte ciò, USA e Cina sono i 2 principali mercati di sbocco per l’export giapponese.
Spettacolare anche la caduta dei diretti interessati, con Shanghai a -3.4% e meno male che le autorità sarebbero intervenute, secondo fonti anonime, a sostenere il mercato (** CHINA IS SAID TO INTERVENE IN STOCKS AFTER TARIFFS TRIGGER ROUT).
Tra gli altri indici, spicca il -3,15% di Seul, altra piazza ad elevato contenuto di export, mentre le altre hanno lasciato sul terreno percentuali inferiori al 2%.
Il fatto è che la rappresaglia cinese non si è fatta attendere. Il Ministero del commercio cinese ha annunciato l’intenzione di istituire dazi su 3 miliardi di importazioni dagli USA tra cui frutta, vino, tubi d’acciaio (15%) e alluminio e carne di maiale (25%). Il tutto condito con le dichiarazioni di prammatica “non vogliamo una trade war, ma non la temiamo”, “possiamo arrivare a riconsiderare gli acquisti di treasury, l’atteggiamento sulla Nord Corea….”.
Le rappresaglie annunciate finora sono ridotte. Il fatto è che queste costituiscono la reazione ai dazi su acciaio e alluminio, mentre la reazione alle nuove misure verrà lanciata quando l’entità di queste verrà chiarita. Ma i bene informati sostengono che le autorità cinesi stanno già lavorando indefessamente su queste misure, individuando i prodotti su cui agire.
La vaghezza degli annunci fatti dall’amministrazione US contribuisce a mantenere il mercato sulla corda.
Personalmente resto convinto che la manovra di Trump sia più di facciata, nonchè motivata dal suo modo di condurre le negoziazioni. Nella baraonda di ieri, poco peso è stato dato alla circostanza che l’applicazione dei dazi su alluminio e acciaio è stata sospesa per Argentina, Australia, Brasile, Canada, Messico, EU e Corea del Sud, in attesa di valutare i progressi fatti dalle trattative in corso per ridurre l’eccesso di capacità produttiva e la minaccia per la sicurezza US.
Considerando che la grande assente nella lista delle esenzioni, ovvero la Cina, è toccata solo marginalmente dai dazi, questi sembrano più uno strumento di pressione che non un’effettiva misura restrittiva.
Sospetto che anche dietro l’indeterminatezza delle misure annunciate ieri da Washington ci sia l’intenzione di lasciare spazio ad una soluzione negoziale. D’altronde, le importazioni cinesi di prodotti USA sono concentrati in alcuni settori (agricoltura, aereomobili, auto) ed eventuali misure restrittive possono creare seri danni e costare un bel po’ di capitale politico a Trump. E sono parecchi gli interessi di aziende US in Cina, che possono venire danneggiati da limitazioni. Ad esempio, metà delle vendite di General Motors avvengono in Cina, parte delle quali non figurano nelle importazioni perchè riguardanti veicoli prodotti in loco attraverso una joint venture.
Per il momento però attraversiamo la fase delle schermaglie, e il rischio di un escalation è destinato a rimanere ben presente nella mente degli investitori.
Poco da dire sulla mattinata europea. C’era da fattorizzare il calo di Wall Street dopo la chiusura, non c’erano dati macro a distrarre ( il che vuol dire che la mente degli investitori restava ancorata ai flop di ieri) e il tentativo di rimbalzo è perito sotto i colpi delle headlines sul global trade.
Un po’ più convinto è stato il tentativo di recupero avvenuto tra mezzogiorno, e il primo pomeriggio, facilitato da dati macro USA decenti:
** rimbalzo oltre attese dei durable goods orders di febbraio (il doppio del consenso, +1.8% il dato depurato delle componenti volatili)
** Le new home sales di febbraio sono uscite in linea con le attese, ma le revisioni ai 3 mesi precedenti cambiano di parecchio il quadro.
Il buon inizio di Wall Street ha permesso agli indici europei di dimezzare temporaneamente le perdite , ma successivamente le vendite sono riprese, e la possibilità per l’azionario Eurozone di limitare i danni è in gran parte sfumata. Ironicamente,l’€ ha tenuto i guadagni fatti in seguito al temporaneo recupero del sentiment. I rendimenti eurozone hanno temperato i rialzi accumulati nella fase di miglior sentiment ,mentre gli spread hanno stretto un po’ nonostante la risk aversion.
Sul fronte tecnico, per l’S&P 500 lo scenario centrale a questo punto è un test della media mobile a 200 giorni che potrebbe avvenire in area 2600, con possibilità di estensione al minimo intraday del 9 febbraio (2532).
Considerando che l’indice è sceso per 7 delle ultime 9 sedute (8/10 se cala anche oggi) per un totale del 6%, direi che l’ipervenduto di breve dovrebbe cominciare a mordere e causare un minimo relativo nelle prossime 2 sedute. Meglio, dal punto di vista tecnico, se nel processo si tocca uno dei target.
Sull’Eurostoxx, purtroppo non abbiamo supporti significativi, avendo violato i minimi di febbraio. In assenza di un recupero del livello di 3320, il worst case scenario prevede una discesa di circa 200 punti (circa un 6%) al limite superiore del range che ha caratterizzato la seconda parte del 2016.
Certo, su questo livello, l’indice prezzerebbe davvero un bel po’ in termini di rilassamento macro, ridimensionamento delle attese degli utili, etc. Un livello intermedio di supporto potrebbe essere costituito da 3220 minimo relativo di febbraio 2017.