Buone notizie sul fronte trade e i commenti giusti dai membri ECB producono un finale di settimana euforico sui mercati.

Fine settimana col botto sui mercati azionari, grazie principalmente (ma non solo) ad un newsflow divenuto quasi entusiastico sul trade.
In realtà la giornata non era iniziata con toni cosi squillanti: tutt’altro.
Wall Street ieri sera ha sacrificato frazioni di punto (-0.3%) sulle indiscrezioni del WSJ, e il flop (sospetto) delle retail sales US di dicembre.
La seduta asiatica ha avuto cosi un tono correttivo, con i principali indici a segnare marcati cali. E’ il caso delle “H” shares cinesi e di Hong Kong, che hanno lasciato sul terreno rispettivamente oltre il 2% e l’1.8%. Discorso analogo per le large caps del CSI 300 (Shenzen), mentre in generale le “A” shares dello Shanghai Composite hanno fatto leggermente meglio (-1.3%). Si conferma la forza delle small caps, le quali hanno chiuso in calo di 0.3%.
A fungere da catalyst per le prese di beneficio, al di la del sentiment ereditato da Wall Street, la pubblicazione dei dati di inflazione cinesi di gennaio, ancora assai deboli: CPI 1.7% da 1.9% e vs attese per 1.9%, e PPI a 0.1% da prec 0.9% e vs attese per 0.3%. In particolare i prezzi alla produzione tendono a segnalare una perdurante debolezza della domanda interna, il che cozza con la nascente teoria del rimbalzo congiunturale.
Personalmente, non trovo questi dati così preoccupanti. Intanto, si sa che i prezzi reagiscono con ritardo al ciclo (siamo rimasti a piangere sull’inspiegabile debolezza del CPI US per metà del 2017!). In Cina questo è un po’ meno vero, ma certo l’impatto non si vede da un mese all’altro). E poi non dimentichiamo l’attitudine dei Cinesi nei riguardi dei dati macro. Inflazione sotto attese implica la necessità di rendere più accomodante la politica monetaria, e io non mi stupirei che in tempi brevi la PBOC tagliasse i tassi di interesse.
Debolucce anche Tokyo, e Seul, tipicamente sensibili a argomenti come crescita cinese e global trade. marginali le perdite di Taiwan e Mumbai, mentre Sydney ha mostrato un mini rialzo.

In corrispondenza della chiusura dei mercati cinesi, è arrivato il report che io reputo più rilevante in questa fase, ovvero gli aggregati monetari e di credito pubblicati dalla PBOC. La spinta impressa dall’amministrazione all’espansione creditizia è evidente dai numeri. Se i news loans hanno superato di un po’ le attese (3.23 trilioni di yuan da precedente 1 trilione e vs attese per 3 trilioni), il total social financing, che contiene anche shadow banking system e esclude i new loans tra istituzioni finanziarie è uscito a 4.64 trln yuan vs 3.3 attesi. Se la brusca accelerazione degli aggregati è tipica di gennaio, l’entità della sorpresa sul total social financing e sugli aggregati monetari M0 e M2 la dice lunga sulla proattività della politica monetaria PBOC in questa fase.
Ribadisco una volta di più la mia view: la direzione degli asset della prima metà del 2019 (ma probabilmente di tutto l’anno) dipende principalmente dalla capacità di queste misure di ingranare, rilanciando l’economia cinese. Se questo avviene, anche i dati europei cambieranno tono. Viceversa, mettiamoci comodi. Da quel che si vede, buone notizie, nel breve, non arriveranno dal vecchio continente.

I mercati hanno però guardato poco al credito cinese. L’attenzione era tutta per l’outcome del meeting di Pechino, dopo le ultime notizie dal tono poco costruttivo di ieri. I primi reports pubblicati sui media hanno parlato di tentativo delle parti di mettere giù un memorandum di intenti, ma con molte difficoltà tra posizioni assai distanti. Lighthizer pretenderebbe che gli USA abbiano un forte controllo sugli adempimenti cinesi, cosa che le autorità considerano un’indebita ingerenza nella loro sovranità. Il fatto che il meeting si sia chiuso senza dichiarazioni, in attesa del meeting della delegazione americana con il Presidente cinese Xi Jinping, ha alimentato ulteriore ansia.
Su queste basi, l’apertura europea è avvenuta con un tono analogo a quello della seduta asiatica.
E’ durato poco.
Il newsflow sul trade ha progressivamente preso quota, e con esso il sentiment sui mercati. Al termine dell’incontro con il Presidente XI, la delegazione USA ha dichiarato a Xinhua che ci sono stati importanti progressi e, anche se resta distanza, la speranza di un accordo resta. Xi ha dichiarato che la Cina vuole risolvere la disputa, e che le negoziazioni continueranno a Washington la prossima settimana.
Tanto è bastato perchè gli indici europei (e i Future su Wall Street) cambiassero rapidamente segno. L’unica nota stonata è rimasta il BTP, che ha esordito pesante e non ha fatto il minimo cenno a invertire la marcia col resto dei risk assets. Alcuni hanno messo la sua debolezza in relazione con le dichiarazioni del responsabile economico della Lega Borghi (ITALY’S RULING LEAGUE PARTY LAWMAKER BORGHI SAYS THAT EU ELECTIONS ARE THE LAST CHANCE TO CHANGE EUROPE, OTHERWISE ITALY WILL HAVE TO LEAVE – Reuters News) ma la debolezza era iniziata prima, a mio modo di vedere e le headline sono intervenute più che altro a decapitare il rimbalzo.

Con l’azionario in recupero, cambi e tassi stabili, e BTP e settore bancario  europeo attardati, siamo cosi giunti al primo pomeriggio, quando un altra headline ha impresso un ulteriore accelerazione al sentiment.
Il membro del Board ECB Coeure ha dichiarato a New York che il rallentamento dell’Eurozone è più ampio e profondo delle attese, e che il Governing Council sta discutendo del possibile varo di una nuova TLTRO ( targeted long-term refinancing operation), anche se i membri vogliono essere sicuri che sia necessaria.
Quelle surprise! Dopo una serie di dati macro orrendi, e con tutte le Banche Centrali del mondo che rendono in un modo o nell’altro più accomodante la stance di politica monetaria, anche l’ECB prende in considerazione di rinnovare una misura di gestione della liquidità in scadenza? Chi l’avrebbe mai detto.

Nondimeno, l’impatto, sul depresso settore bancario Eurozone, di quest’ammissione è stato robusto. L’Eurostoxx banks ha rapidamente messo su un bel progresso, imponendo un accelerazione agli indici generali ed anche al BTP, che ha trascorso il pomeriggio ad azzerare la perdita.
Infine, ci si è messo Trump a rendere ebulliente il mood sui mercati azionari. Con il suo classico stile colorito il Presidente ha dichiarato che gli USA sono assai più vicini ad un accordo con la Cina, e se questo verrà raggiunto, lui rimuoverà i dazi.
Trump ha parlato anche dell’accordo per il budget USA, dichiarando che lo firmerà ma confermando che successivamente dichiarerà il muro col Messico un emergenza nazionale e vi dirotterà 8 miliardi di dollari di fondi. Una decisione che verrà immediatamente impugnata dai Democratici e avrà strascichi legali di anni, ma gli permette di salvare la faccia. Ha aggiunto che aumenterà il commercio con l’Inghilterra, cosa che ha dato ulteriore tono ad una Sterlina già supportata dalle buone retail sales UK di  gennaio.
Sul fronte dati macro, delusione dalla produzione industriale USA di gennaio (-0.6% da prec -0.6% e vs attese per +0.1%) ma l’Empire Manufacturing NY di febbraio, che a gennaio si era ulteriormente indebolito, ha messo a segno un rimbalzo superiore alle attese (8.8 da prec 3.9 e vs attese per 7)
Cosi Wall Street è partita di slancio e  il pomeriggio sull’azionario Eurozone è stato trionfale oltre ogni aspettativa del primo mattino.
A fine seduta, i progressi sono notevoli (Eurostoxx 50 +1.8%) e diffusi, e il risk appetite si nota anche sulle commodities, con il brent a fare i massimi da novembre. L’unica area dove non si nota tanta euforia sono i tassi, con il bund che chiude la settimana a 0.1% e il treasury che scambia attorno al 2.65%.

L’S&P 500 lavora al momento comodamente sopra la più volte citata media mobile a 200 giorni, mentre il primo livello target è quel 2.800 che ha respinto 3 volte l’indice prima del disastro di dicembre scorso.
Al ribasso abbiamo ancora il livello di 2680, minimo del 7 febbraio, seguito dall’area 2600, mai più sfidata.

Certo, l’RSI a 67 comincia a essere un po’ tirato, in particolare dopo un recupero del 17% in appena un mese e mezzo. Detto questo, chiamare la fine del rimbalzo si è rivelato l’esercizio più inconcludente di quest’inizio del 2019. In verità, qualunque mercato alla fine corregge, o rimbalza, ma i mercati che mantengono a lungo le condizioni di ipercomprato sono quelli con le migliori prospettive di medio (una lezione imparata nel 2017). Al momento, non si ha nemmeno più la scusa di trovarsi sotto la famigerata media mobile a 200.