La giornata dell’ECB è iniziata con un tono cautamente positivo. Parte del merito va all’accordo tra Trump e i Democratici per un budget ed un aumento del debt ceiling temporanei emerso ieri sera, anche se non sono pochi ad aver osservato che:
** si tratta solo di un breve rinvio che sposta il problema a fine anno, un periodo generalmente cruciale. Non a caso, la correzione dei rendimenti dei T-bill a 4 settimane è stata bilanciata da un rialzo di quelli a 3 mesi.
** il deal è un dito in un occhio ai Repubblicani, e alimenterà la frattura tra la Presidenza e questi ultimi (sempre che alla fine vada in porto).
** Con l’ultimo trimestre dell’anno occupato dalle trattative su budget, debt ceiling, immigrazione etc, la riforma valutaria passa sicuramente al 2018 (non che sia una notizia che possa ormai sconvolgere qualcuno.
Considerazioni di questo tipo hanno forse temperato il sentiment in Asia, insieme con una comprensibile correzione dei mercati cinesi, che ha levato un po di spunto agli altri indici sul finire della seduta.
Il tono costruttivo con cui è partita la seduta europea si può ascrivere in parte ad un catch up con le news da Washington, arrivate a mercati chiusi ieri sera, e in parte ad attese di un meeting ECB cauto. Uno stato d’animo non condiviso dall’€, che è andato incontro all’ECB in netto recupero rispetto alle chiusure di ieri.
Venendo al meeting, misure e statement sono stati lasciati invariati come da attese, compresa la guidance sugli acquisti e quella sui tassi. Le projections hanno preso nota del miglioramento del quadro macro, con un incremento di 0.3% della stima di GDP 2017. Per contro, lo scenario inflattivo ha visto una limatura di 0.1% per i prossimi 2 anni.
Sul QE, Draghi ha concesso che sono state esaminate delle opzioni, ma ha rinviato tutto a ottobre per le decisioni.
Quanto al problema del cambio, è stato chiaramente dichiarato che la recente volatilità è una fonte di preoccupazione per le sue implicazioni sullo scenario inflattivo (vedi riduzione delle stime), e che comunque per effetto dell’apprezzamento le condizioni finanziarie nell’Eurozone si sono inasprite, anche se sono ancora generalmente accomodanti. Draghi ha ammesso che i livelli della divisa hanno un peso sulle decisioni di politica monetaria, ma ha ribadito che il cambio non è un target.
Ha infine osservato che il rafforzamento riflette in parte le buone condizioni del ciclo europeo, e in parte la debolezza del dollaro.
Su quest’ultima osservazione poggia almeno in parte, a mio modo di vedere, la reazione del mercato. L’overshooting dell’€ ha parecchio a che vedere con una fase di estrema debolezza del Dollaro. In quanto tale sfugge in parte al controllo dell’ECB, che nel esporsi per cercare di contenerla rischia di sprecare risorse e capitale in termini di credibilità. Per questo motivo oggi il Governing Council ha scelto di esprimere preoccupazione e attenzione, ma di evitare un attacco frontale alla divisa.
La reazione è stata coerente.
L’€ ha continuato ad apprezzarsi rapidamente, costituendo la punta di un generale assalto al biglietto verde. In serata i movimentio si stanno lievemente mitigando, ma restano rilevanti, cosi come la reazione del mercato dei tassi.
Al momento, i mercati dei cambi e dei tassi sembrano preda di un circolo vizioso: una crescente impasse politica a Washington, una FED in fase di smobilizzo, un quadro inflattivo debole e le incognite uragani stanno esercitando forti pressioni sui tassi US e sul Dollaro. In questo contesto la Nordcorea costituisce un ulteriore elemento di pressione sui treasuries.
Questi 2 fattori (dollaro debole e tassi US compressi) esercitano pressioni disinflattive globali, inducendo le altre banche centrali (ECB in peimis) a contrastarle mantenendo politiche monetarie espansive, il che comprime ancora di più i tassi, deprime le attese di rialzo dei Fed Funds, indebolisce il dollaro, e cosi via.
La price action odierna sembra subire in pieno il meccanismo: Draghi ha lasciato intendere che ulteriori apprezzamenti impatteranno sulle decisioni a ottobre? E il mercato dei bonds europei ha reagito alla debacle del $ rinviando nel tempo la riduzione del QE. Ciò si è manifestato con un robusto calo dei rendimenti core, ed un rally furioso dei periferici, primi beneficiari di un eventuale proroga del QE superiore alle attese. Anche l’azionario europeo ha reagito positivamente, mostrando un insolita resilience di fronte alla forza della divisa. Naturalmente le banche, sui 2 lati dell’oceano, non hanno affatto gradito. Da qualche giorno le mutate prospettive sui tassi si fanno sentire sui rispettivi settori.
Detto questo, vale la pena di osservare che questo stato di cose sta producendo alcune aberrazioni.
La curva monetaria US sconta appena il 25% di probabilità di un rialzo entro dicembre prossimo e, attenzione, non sconta interamente un rialzo dei tassi nemmeno entro il 2018. Il terminal rate è indicato a 1.5% circa.
E i rendimenti sulla parte lunga della curva US sono calati ai minimi dell’anno, una price action bizzarra in considerazione della robusta svalutazione del $ (oltre il 6% in meno di 3 mesi).
Personalmente, mi attenderei che a fronte di una svalutazione robusta (in un paese con forte deficit commerciale), un rimbalzo di alcune commodities, un ciclo in fase di accelerazione, e con l’incertezza dovuta agli uragani (Harvey ha causato un aumento del 10 % della benzina alla pompa) i mercati dei tassi scontassero un minimo di inflazione in più. In realtà la curva dei tassi US e il $ sembrano quanto mai prossimi a prezzare un significativo rallentamento, e una FED paralizzata. Il che non è impossibile, ma al momento non mi pare lo scenario centrale.