Il quadro macro traina i mercati e la FED prova a stargli dietro

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Giornata campale, quella odierna sui mercati.

Le sorprese sono cominciate ieri sera tardi, con un apparizione praticamente a sorpresa di Dudley, caratterizzata da un messaggio particolarmente aggressivo. Il Presidente della FED di New York, considerato generalmente una colomba, ha dichiarato che le ragioni di un rialzo dei tassi sono diventate assai più pressanti, il sentiment è assai elevato e la Fed sta performando assai bene sui 2 mandati.
La voce di Dudley è andata a rafforzare il messaggio di Kaplan (FOMC SHOULD BE REMOVING ACCOMMODATION ), Harker (  3 INTEREST-RATE HIKES ARE APPROPRIATE THIS YEAR ) e Williams ( NATIONWIDE, WE’VE REACHED FULL EMPLOYMENT’ ) tutti più o meno sulla stessa lunghezza d’onda.

Soprattutto in considerazione della sortita di Dudley, non programmata, è difficile scacciare l’impressione che la Fed  sia scesa in campo in forze, a pochi giorni dal black out pre-FOMC, per correggere un pricing dei Fed Funds che, cosi com’era (40% di probabilità di rialzo il 15 marzo), non gli permetteva di muoversi.
Gli effetti della “cura” si vedono bene nel grafico di Bloomberg che traccia l’evolversi delle probabilità di un rialzo di 25 bps al prossimo meeting (linea verde), raddoppiate nelle ultime 2 sedute (attualmente 80%).

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Come mai quest’urgenza improvvisa, visto che son passate appena 2 settimane dalla testimonianza semestrale della Yellen (palcoscenico ideale per muovere le attese sui tassi), mentre recentemente abbiamo avuto parecchi speakers FOMC?
Naturalmente, si può accusare il mercato di essere duro d’orecchie. Ma la verità è che nelle ultime settimane i principali esponenti FED avevano fatto ben poco per segnalare al mercato l’intenzione di muoversi, mentre, come si vede, nelle ultime ore sono stati estremamente efficaci.
Una spiegazione forse la fornisce uno studio di Deutsche Bank in cui si mostra che la forza dell’azionario, i bassi credit spreads, la bassa volatilità, il dollaro stabile e i bassi tassi reali stanno producendo condizioni finanziare assai accomodanti, a parità di stance Fed.

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La conclusione dello studio è che le prospettive per il GDP US sono buone, ed eventualmente il sistema può tollerare una FED meno accomodante.
Ma in realtà le considerazioni della Casa tedesca forniscono una potenziale spiegazione dell’improvvisa sortita FED: il FOMC è preoccupato che l’eccessiva prudenza degli ultimi trimestri, con l’ausilio dell’euforia che si è impadronita dei mercati, stia generando un circolo virtuoso  tra asset inflation e condizioni finanziarie, tale da condurre ad un surriscaldamento dell’economia, e a potenziali bolle.
In altre parole teme di essere in ritardo (un timore non troppo ingiustificato, considerando che con la quasi piena occupazione, inflazione praticamente a target e survey record, i fed funds stanno a 0.5-0.75%).
Cosi, Yellen e Co starebbero cercando di correggere la situazione, e magari raffreddare un po gli asset.
Diciamo che, vista la reazione dei mercati, se questa fosse davvero l’intenzione del FOMC, il messaggio sarà accentuato nei prossimi giorni e settimane. Anche perche è difficile fermare un sentiment del genere con un rialzo da 25 bps.

Detto della Fed, il run up verso il discorso di Trump è stato abbastanza cauto. In Asia solo Tokyo ha gioito, anche perchè il resto dell’area è di matrice emergente e non gradisce segnali di inasprimento della politica monetaria FED, da qualunque livello si parta.

Il Presidente ha avuto il merito di ritrovare il tono conciliante dell’inaugurazione, incentrando il discorso sugli aspetti più costruttivi del suo programma (il piano di infrastrutture da un trilione, i tagli alle tasse per aumentare la competitività di Corporate America, la riforma fiscale per dare “enorme sollievo” alla middle class etc). Non è stata fatta marcia indietro sull’immigrazione come si diceva, ma gli aspetti più controversi sono stati trattati con pacatezza. Naturalmente i dettagli sono stati scarsissimi, e non si è nemmeno capito cosa pensa della famigerata e controversissima Border Tax. Ma eventualmente l’assenza di incidenti ha portato sollievo ai mercati.

All’ improvviso “ottimismo” della Fed (visto con gli occhi del mercato), e alla performance “netta” di Trump si è aggiunta anche una discreta messe di buone notizie macro:

** I PMI manifatturieri Cinesi di febbraio hanno sorpreso in positivo con quello ufficiale a 51.6 da 51.3 e vs attese per 51.2 e  quello calcolato da Markit a 51.7 da 514 e vs attese per 50.8. Sembra evidente come le misure di tightening varate non stiano ancora impattando. L’economia cinese sta ancora offrendo un forte supporto al ciclo globale, anche se è probabile che le autorità incrementeranno gli sforzi per raffreddare il ciclo. Le dichiarazioni di ieri del Presidente vanno in quella direzione .

** La serie di conferme macro è continuata con i PMI Europei che hanno confermato sostanzialmente i dati flash. Nel dettaglio, davvero buono il dato manifatturiero italiano (55 da 53 vs 53.5 atteso. Sopra attese l’inflazione in Germania

** In US, abbiamo avuto la consueta dicotomia survey-dati reali.
L’ISM manifatturiero di febbraio ha staccato un fortissimo 57.7, in salita di 1.7 punti da gennaio e vs attese per 56.2. I sottoindici confermano in tutto e per tutto la forza (new orders a 65.1). Si tratta del massimo da agosto 2014, a un baffo da fare il massimo dal 2010.
I dati reali? Il personal income di gennaio ha sorpreso in positivo (+0.4% vs 0.3% atteso), ma lo spending è salito sotto attese (+0.2%) ed è sceso in termini reali. Il PCE deflator è uscito a sua volta sotto attese (0.4% vs 0.5%) mentre il dato core è uscito in linea (0.3%) ma il dato anno su anno ha mancato l’aggancio a quota 2%. Il construction spending di gennaio è uscito a -1% vs attese per +0.6% anche se revisioni ai mesi precedenti alzano la base di 0.9%.
Per effetto dei dati odierni il modello della FED di Atlanta ha abbassato la sua stima per il primo trimestre da 2.5% a 1.8%. Rende l’idea della divergenza in atto tra survey e dati reali.
Bisogna tenere presente che un ritardo tra survey e dati reali è assolutamente normale, specie in periodi di veloce miglioramento (o peggioramento). E i modelli alle volte possono risentire di scarti nelle singole serie. Pur con tutti questi caveat, la situazione non è normale, a mio modo di vedere.

Ma i mercati hanno decisamente gradito le news. La mossa della FED è stata vista come la conferma che la reflazione è in atto, e che i tassi bassi sono un aberrazione. Il tono presidenziale di Trump ha portato allo smantellamento di tutti i trade a protezione dei portafogli. Il rimbalzo dei rendimenti ha ridato fiato ai settori bancari, con quello US che sta facendo nuovi massimi, e quello europeo che si è levato definitivamente dalle secche. Il dollaro ha ripreso a marciare ridando fiato alle speranze di Giappone ed Eurozone, per quanto la performance vs € alla fine lasci a desiderare, probabilmente a causa del rientro delle tensioni politiche in Francia (dove Fillon è sotto inchiesta ma non si ritira, aiutando implicitamente Macron) e Italia, dove le elezioni si allontanano, e dalle buone notizie macro.

Il quadro tecnico propone elementi assai interessanti in Europa (brakout da un range di 2 mesi) e Giappone (possibile breakout da valutare nei prossimi giorni).
In US il trend è eccezionalmente forte. Il problema è l’enorme iperestensione del movimento, straordinaria in base ad un a gamma di statistiche assai vasta, citate innumerevoli volte nell’ultimo periodo. Alla chiusura di ieri l’S&P 500 era ipercomprato (RSI sopra 70) sul grafico giornaliero, settimanale e mensile, e nonostante ciò oggi sta balzando di 1.5% al momento.
Pensare che tutto ciò avviene nonostante una svolta verso un inasprimento della stance FED fa impressione. Ma è un fatto che i segnali di debolezza sono totalmente assenti, e il mercato sembra impegnato a rincorrere il quadro macroeconomico più di quanto la Fed sembra impegnata a rincorrere lui.
Difficile immaginare cosa possa fermare questa giostra. Ma credo che, se il quadro non cambia, l’impegno della Fed in questo senso aumenterà, e con essa la volatilità su tassi e divise.