Lampi di Colore

Il sentiment del  week end riguardo  alle vicende inglesi è stato efficacemente riassunto su Twitter dal nuovo hashtag BRegret (Britain regret). Non so se sia  un effetto mediatico,  ma  nel newsflow trova molto  più  spazio lo sconcerto dei perdenti, e il rammarico  dei pentiti, che non il trionfalismo  dei leaders del fronte del “Brexit”, in alcuni casi (Johnson) scomparsi,  in altri (Farage) alle prese con l’imbarazzo per alcune promesse elettorali.
Con il fronte europeista annientato e quello indipendentista alla macchia, i britannici hanno perso qualsiasi urgenza di dar seguito  alla decisione, ed ogni loro  azione sembra intenzionata a prendere tempo. Anche perchè, come  spesso succede in situazioni simili,  stanno emergendo significative contraddizioni. Ad esempio la questione scozzese:  per  un uscita dall’ EU serve l’approvazione del  Parlamento locale, che a dar retta al premier Sturgeon non la darà (anche perchè in Scozia ha vinto il Remain). Il che apre spazio, in caso di dichiarazione di uscita, ad una potenziale crisi costituzionale.
Il quadro generale sembra quello di una nazione che solo dopo il Referendum si è resa veramente conto di  quanto era in gioco.

Oggi dovrebbe essere la giornata delle prime risposte europee alla crisi, con il  meeting tra la Merkel, Hollande, Renzi e Tusk nel tardo pomeriggio, in preparazione per il summit dei 27 paesi UE di domani e dopo. A giudicare dalla price action, la fiducia non è molta. Ma  forse chiedere ai mercati di fermarsi sui livelli di metà  giugno,  quando la Brexit  era  solo temuta,  era troppo.

La  seduta non era comunque iniziata male, con un tono decente in Asia  ed  un apertura  in recupero in Europa. Tokyo,  massacrata  venerdi,  ha  messo  a  segno un rimbalzo, in gran parte grazie a  speranze di intervento  sui mercati, avendo il premier Abe  dichiarato di aver dato carta bianca al  Ministro delle finanze Aso.
Oltre a ciò, le temute elezioni spagnole hanno dato un risultato migliore (dal punto di vista dei mercati, beninteso) delle attese, con il fronte anti europeista Podemos in marginale calo, e sotto attese, mentre il partito popolare ha recuperato consensi. Non a sufficienza da produrre un esecutivo di maggioranza, per carità, ma quanto basta per mostrare che, nonostante la Brexit, e anzi forse grazie a quella, il sentiment anti establishment ha fatto un passo indietro in Spagna.

Su queste basi, le borse  europee, che facevano anche i conti con la  discesa di Wall Street venerdi sera dopo la chiusura, hanno provato a mettere il naso in positivo  di primo mattino. E’ durata poco, e i venditori hanno ripreso rapidamente il sopravvento, concentrando gli strali sulle frange più deboli, come i titoli bancari europei, autori di un’altra giornata desolante (-6%, – 24% in 2 sedute). Sulle performance degli istituti italiani meglio tacere.
Coerentemente con i quadro di risk adversion i tassi dei governativi core hanno ripreso a scendere, e tra le currency la Sterlina, e in seconda istanza l’€ hanno continuato a scivolare

La faccenda non è migliorata nel pomeriggio con l’arrivo degli USA: Wall Street ha ripreso da dove aveva interrotto venerdi sera contribuendo a chiusure europee pesanti, sebbene non sconfortanti come quelle di venerdi.

A mercati chiusi, La Merkel, Hollande e Renzi hanno tenuto una conferenza stampa al termine del loro meeting. Se già hanno in mente qualche mossa per difendere l’EU dall’attacco dei mercati, se la sono tenuta per loro, limitandosi a ribadire che non verranno tenuti colloqui formali o informali con UK prima delle loro richiesta formale di uscita dall’EU.

La nuova Caporetto odierna sui mercati non sorprende più di tanto:
** era estremamente improbabile che il momentum negativo accumulato venerdi si esaurisse in una sola seduta.
** la situazione resta estremamente incerta, e i mercati odiano l’incertezza. La tattica dilatioria intrapresa dai leaders UK lascia intendere che i tempi della vicenda saranno lunghissimi, il contraio di ciò a cui aspira l’EU
** Con il progresso della seduta, la scarsità di sviluppi sui 2 fronti ha acuito il nervosismo degli investitori, che speravano in una risposta pronta da parte delle autorità monetarie e dai leaders EU

Detto ciò, mi pare che la reazione dei mercati sia eccessiva.
** Non stiamo parlando di una crisi economica o finanziaria, ma di una crisi politica, con impatto economico tutto da valutare nella sua entità. L’economia UK rappresenta circa il 4% di quella mondiale, e il consenso prevede più una stagnazione che una recessione per il ciclo britannico. Se avverrà, l’uscita della Gran Bretagna dall’EU avverrà al più presto in un paio d’anni. C’è da scommettere che molto prima i mercati troveranno altro di cui preoccuparsi.
** la reazione delle istituzioni EU ci sarà. Che il week end sia passato senza news non implica che vi sia un impasse. Giustamente le autorità non hanno voluto mostrare avventatezza, e con buona probabilità utilizzeranno il Summit del Consiglio d’Europa di domani e dopo, a cui partecipa eccezionalmente Draghi, per formalizzare i piani
** L’impatto politico sull’EU è innegabile. Ma non è detto che sia del tutto negativo. Intanto le elezioni spagnole sono andate meglio del previsto, dal punto di vista europeista. Poi, l’uscita della Gran Bretagna dall’ EU non è minimamente paragonabile ad esempio a ciò di cui parlavamo l’anno scorso di questi tempi (e di cui forse riprenderemo a parlare, indipendentemente dalla Brexit in tempi non troppo lunghi), ovvero l’uscita di un paese dall’€. E quella non si può decidere con un referendum.
** E comunque, andrò controcorrente nel sostenere che quello della Brexit non è un brusco risveglio per le coscienze EU. I problemi dell’ unione sono arcinoti, vi sono stati scritto sopra libri: la diseguaglianza crescente, la insufficiente integrazione, la percezione negativa dei burocrati di Bruxelles etc etc.

Per questi motivi ritengo che sia il caso di mettersi, senza fretta, a caccia di valore sui mercati.

Chiudo con un esercizio di fantapolitica che mi rimbalza in testa da quando ho notato la reazione tutt’altro che entusiastica degli inglesi all’indomani del risultato. E’ possibile che il referendum venga alla fine ignorato o superato?

A prima vista sembra assai difficile. Il Referendum è solo consultivo, ma sembra improbabile che il parlamento UK possa bellamente ignorare 17400 voti popolari. E in UK non c’è una procedura per convocare un nuovo referendum. Detto questo, la verità è che abbiamo 3 mesi, fino a ottobre, in cui non succederà nulla. Infatti Cameron ha dichiarato che formalizzare l’intenzione di uscire, attivando l’articolo 50, è compito del suo successore, nominato in autunno, mentre Johnson ha detto che non c’è alcuna fretta.
L’EU, che non ha alcuna intenzione di facilitare le cose agli inglesi, ha chiarito che non vi sarà alcun dialogo per intavolare nuovi trattati prima di questa dichiarazione. Cosi il popolo inglese ha l’estate per toccare con mano gli effetti negativi dell’uscita: investimenti che si riducono, business che fanno piani di trasloco, l’isolamento, la divisa che crolla. La fiammata di orgoglio nazionale potrebbe attenuarsi, e il “Bregret” potrebbe crescere. Dopodichè, se (e sottolineo se) dovesse risultare evidente che il Popolo ha cambiato idea, si tratta solo di trovare il modo di ratificare questo cambio. Più che un nuovo referendum, potrebbero servire allo scopo nuove elezioni, in cui i programmi elettorali prevedano la non messa in atto del risultato del referendum consultivo.
Diversamente, si da corso all’articolo 50, con quel che ne consegue.

Fantasie? Può essere. Ma a Tsipras è occorso molto meno tempo per sconfessare nei fatti il referendum, espellere i radicali e sottomettersi a Bruxelles.
Più penso alla rigidità dei leaders europei, e più mi sembra che abbiano in mente per UK una versione soft di quanto inflitto alla Grecia.