Il mercato si è avvicinato oggi al dato macro più rilevante della settimana con le gambe molli e il fiato corto. L’ennesimo dato debole avrebbe apposto il sigillo alla perdita di momentum dei consumi US nel 2016, e ulteriormente ridotto le aspettative di rimbalzo congiunturale dopo il fiasco del primo trimestre. La raffica di earnings deludenti da parte dei retailers (vedi Macy’s) sembrava annunciare una nuova delusione, e il consenso Bloomberg, indicato a +0.8% era più una speranza che una stima.
La seduta asiatica ha riflettuto assai bene questo stato d’animo. Tokyo ha reagito al recupero dello Yen e alla debolezza dei tecnologici. Hong Kong è stata trascinata al ribasso dalla pesantezza dei finanziari cinesi, colpiti da reports di crescita dei non performing loans nei primi 3 mesi del 2016.
A mercati locali chiusi, sono stati pubblicati gli aggregati monetari di aprile, tutti significativamente sotto le attese che già fattorizzavano robusti cali:
** New loans a 555 bln da precedenti 1.37 trln e vs attese per 800 bln
** Aggregate Financing a 750 bln da precedente 3.34 trln e vs attese per 1.3 trln
** M2 a +12.8% da prec 13.4% e vs attese per +13.5% (ma il vice premier aveva già anticipato il rallentamento ai mercati).
Naturalmente, il crollo (perchè di crollo si tratta) nell’erogazione del credito di aprile è stato accolto da molti analisti come la conferma che la festa è finita, che la fase di politica monetaria espansiva lascia il posto ad una di contenimento, cosi come annunciato i giorni scorsi dai leaders. Il tutto con chiare implicazioni per le prospettive di crescita dei prossimi mesi.
Personalmente, ho una view meno radicale. Poichè l’esplosione del credito a Q1 2016 aveva alimentato un acceso dibattito, il cui succo era che la Cina stava ricorrendo ai vecchi sistemi per supportare la crescita, le autorità, che (beate loro) tengono saldamente in mano i rubinetti del credito, hanno inteso dare un segnale, impartendo una brusca frenata alle erogazioni. In realtà, era già evidente da prima che il ritmo di espansione degli aggregati era insostenibile, e i prossimi mesi avrebbero visto una moderazione. Sospetto che la politica monetaria e fiscale resterà espansiva per il resto del 2016 al fine di non strozzare il moderato rimbalzo congiunturale faticosamente ottenuto. E dubito che gli effetti dell’ondata di easing erogata gli scorsi mesi si interromperanno di colpo.
Ciò detto, è altrettanto evidente che la crescita cinese resterà nella migliore delle ipotesi al livello del target ufficiale (6.5%-7%), e che eventuali segnali di perdita di momentum nei prossimi mesi saranno accolti con estrema trepidazione dai mercati.
Domani, con la pubblicazione dei dati di produzione industriale, retail sales e investimenti fissi di aprile, avremo nuovi indizi sullo stato effettivo dell’economia cinese (o su quello che le autorità vogliono farci credere).
Sempre in tema di trepidazione, gli indici europei hanno mostrato in apertura di seduta, l’ormai consueto tuffo, accumulando un passivo dell’1% nello spazio della prima ora di contrattazione. Ignorata dai mercati la debolezza dell’€ che di primo mattino ha segnato i minimi da fine aprile contro $, a 1.1340.
Snobbato completamente anche il dato di crescita tedesco più alto da 8 trimestri a questa parte. Supportato dalla domanda interna, il GDP Q1 2016 (+0.7% da prec 0.3% e vs attese per +0.6%) ha battuto stime già robuste. Buon risultato anche per il GDP italiano (+0.3% ma con revisione al rialzo del quarto trimestre del 2015 a +0.2%), anche qui grazie alla domanda interna. Negativo in entrambi casi il contributo del canale estero. D’altronde l’€ ha smesso di scendere da un po’.
Alle 11 il GDP europeo del primo trimestre è stato rivisto al ribasso di 0.1% ad un comunque lusinghiero +0.5%. Dopo le produzioni industriali di marzo pubblicate i giorni scorsi nei principali paesi, si temeva di peggio.
Cosi gli indici si sono arrampicati verso la parità a metà giornata, in attesa del blockbuster.
Alle 14.30, piccolo colpo di scena. Le retail sales US di aprile (+1.3% da prec -0.3 % e vs attese per + 0.8%) hanno messo a segno il rimbalzo più robusto dal marzo 2015. Buoni anche i dati depurati da auto e gas, mentre il “control Group”, che contiene i dati che entrano nel calcolo del GDP, ha mostrato il balzo più elevato dal marzo 2014 (+0.9% da prec +0.2% e vs attese per +0.4%).
Messo insieme con le revisioni ai dati precedenti, questo report dipinge consumi assai più forti di quanto ritenuto finora (+3% anno su anno), e cambia il profilo di crescita in particolare del secondo trimestre US (essendo i consumi il 70% dell’economia).
Non a caso, i 2 modelli che vanno per la maggiore (al GDP Now di Atlanta si è recentemente aggiunto quello della Fed di NY) hanno alzato rispettivamente il livello di GDP stimato a 2.2% a 2.8% e da 0.8% a 1.2%. Il quadro è stato completato dalla U. of Michigan Consumer Confidence preliminare di marzo, balzata inaspettatamente di quasi 7 punti (da 89 a 95.8 vs attese per 89.5) ai massimi da quasi un anno.
Naturalmente il dollaro ha tratto beneficio dal report, portandosi ai massimi da fine aprile. La conseguente debolezza dell’€ (terminato sotto 1.13) è riuscita nell’impresa di risvegliare l’azionario europeo, in grado di chiudere bene la seduta. Sorprendente la reazione dei bonds, che, dopo un iniziale debolezza, si sono ripresi, e mettono a segno una seduta in recupero. Negato, al momento, il segnale tecnico riportato ieri in particolare sul bund.
Assai meno brillante Wall Street, che dopo qualche indecisione, ha preso la via del ribasso, troppo tardi per influenzare le chiusure europee. Ancora peggio le borse emergenti, che temono che la pausa nel rialzo del dollaro volga al termine.
In teoria la lettura è facile: il rimbalzo congiunturale US rimette in gioco un rialzo dei tassi prima dell’estate da parte di una FED non ancora doma, come mostra la retorica dei membri. Peccato che i tassi monetari statunitensi non abbiano fatto una piega, mentre i rendimenti sulla curva treasury sono tornati a scendere, mostrando chiaramente l’opinione dei mercati, che un rialzo sarebbe un errore.
Sul fronte tecnico, per l’azionario, poco da aggiungere a quanto detto ieri. I mercati europei recuperano in extremis la trendline ed evitano un segnale di vendita. L’S&P però si avvicina pericolosamente alla neckline di quello che sembra un testa e spalle ribassista. Una chiusura sotto 2040 nei prossimi giorni lo completerebbe.