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Lampi di Colore

Lampi di Colore 59

Alla fine, ieri Wall Street ha concluso una giornata estremamente volatile con un apprezzabile (per i tempi) +0.5%, un esito  che sembrava quanto mai improbabile a 2 ore dall’apertura.
Il canovaccio adottato dagli investitori sembra basato sull’esperienza della primavera scorsa quando, sulla scorta di un robusto indebolimento dei dati macro  US (il Citi US surprise index passo da +30 di gennaio a -70 di marzo), la FED abbandonò progressivamente l’idea di alzare i tassi a giugno. Come noto, il dollaro arrestò bruscamente la sua salita, e Wall Street entrò in una fase di relativa sovraperformance nei confronti delle borse europee e globali.
Col dato di ieri, Il surprise index è passato dallo “zero” di novembre a -55 di oggi (ma qui il clima c’entra poco).

L’Asia ha ovviamente gradito le news americane. Al di la della buona reazione di Wall Street, il continente è stato flagellato dall’inasprimento della politica monetaria US e l’idea di una tregua non può non piacergli. Solo per l’effetto del brusco calo del $, il temuto Yuan offshore cinese ha recuperato 0.75% in 2 sedute sullo stesso. Il che è coerente con il proposito delle autorità cinesi di rendere la  divisa nazionale stabile non più contro il biglietto verde, ma con un paniere di divise.
Non a caso, tutti i principali indici dell’area   hanno chiuso mettendo a segno guadagni, ad eccezione di Tokyo, che ovviamente ha un punto di vista completamente opposto: la correzione del dollaro ha fatto svanire interamente l’effetto delle nuove misure BOJ, spingendo il cambio $/Yen sotto i livelli pre meeting. Con ulteriore smacco per la già traballante credibilità della Banca Centrale (Giapponese, come di tutte le altre, si intende).

L’apertura europea ha provato a sua volta a capitalizzare la tenuta di Wall Street, ma qui vale un po’ lo stesso discorso del Giappone. La debolezza del Dollaro è un ostacolo per il dispiego degli effetti della politica monetaria ECB, ed il cambio si trova ben al di sopra del livello pre meeting di gennaio, in cui Draghi aveva annunciato l’intenzione di rivedere il policy mix a marzo prossimo.

Tra l’altro Draghi oggi ha tenuto un discorso a Francoforte, il cui succo è il seguente:
** Il fatto che esistano delle cause, in parte strutturali e in parte transitorie, per un inflazione eccezionalmente bassa, non implica che la banca Centrale debba avere un atteggiamento passivo.
** Le Banche Centrali dispongono di vari strumenti per rendere più accomodante la stance, anche con i tassi a zero. Il fatto che questi possano avere degli effetti collaterali spiacevoli non deve impedirne l’uso, perchè i danni dell’inazione sono assai superiori a quelli dell’azione.
** L’Europa presenta delle criticità, che però non devono impedire all’ECB di perseguire il suo mandato, e implicano solo la necessità di trovare gli strumenti giusti.

Draghi si è dilungato a illustrare l’efficacia e i ridotti impatti negativi del programma di acquisti, il che induce a pensare che a marzo sarà eventualmente questo ad essere allargato, nel caso probabile che si ritenga di intervenire.
Il Presidente ECB si è però prudentemente astenuto da alimentare particolari attese, dopo la gaffe di dicembre. In questo modo però l’€ non ha trovato alcun freno, e le borse europee, che sono particolarmente fragili, non hanno gradito. Se  la volatilità sull’Oil ha continuato a menare le danze, l’effetto $ si nota nella sottoperformance del DAX, l’indice più “export led”. I risultati deludenti di Daimler hanno aggiunto negatività, deprimendo il settore auto.
L’aspetto positivo è che, nonostante l’enorme volatilità che ha caratterizzato gran parte della giornata, l’indice delle banche europee non è mai passato in territorio negativo, e ha chiuso con buoni guadagni.

Nel pomeriggio, complice un balzo dell’oil, una borsa US inizialmente spumeggiante ha risollevato un pò le  sorti dell’azionario continentale, consentendo all’Eurostoxx di evitare la quarta chiusura negativa in calo. Un lusso che non è stato concesso al Dax.
La price action continua ad essere caotica, con titoli blasonati che oscillano di manciate di punti percentuali. Per fare un esempio, oggi Intesa Sanpaolo è partita a +4%, alle 10.30 era a -1%, è tornata a +4% in mattinata, marginalmente negativa nel primo pomeriggio, e ha chiuso a +5.8%. Un buon indice del parossismo raggiunto dal mercato.

I rendimenti dei bonds hanno continuato a salire , reagendo eventualmente al marginale miglioramento del sentiment, o all’impatto, per ora ridotto, della salita delle commodities sulle attese di inflazione. Va detto  però che i periferici hanno mostrato incrementi assai più rilevanti dei bond core (o dei treasuriesche hanno leggermente ritracciato).
Detto del Dollaro, sul fronte commodities, se il petrolio ha consolidato il +8% di ieri, il rame ha continuato a salire,  e l’oro ha fatto segnare i massimi dall’ottobre scorso.

Sul fronte tecnico, l’ondata di volatilità di questi giorni ha messo in seria discussione i segnali di inversione osservati la scorsa settimana sulle borse europee, dove al momento, con implicazioni rialziste, si può parlare al massimo di un eventuale  progetto di doppio minimo, ma solo se torniamo sopra quota 3000 di Eurostoxx.
Discorso diverso per l’S&P 500, che sta testando il supporto in area 1910, ma ancora non lo ha rotto. Per l’indice US quindi lo scenario indicato la scorsa settimana non è ancora compromesso.

Ad agitare ulteriormente le acque, domani abbiamo il labour market report di gennaio. A naso, un numero forte sembra improbabile, per cui l’attuale scenario dovrebbe ottenere conferma. Ma si tratta di una serie molto volatile.