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Lampi di Colore

Lampi di Colore 47

Si sperava che la festività   US (Martin Luther King Day) portasse una giornata di pausa nell’avvitamento del  sentiment.
Nossignore.
Il primo giorno della terza settimana del 2016 si chiude ancora con oil in calo, borse volatili (nonostante la chiusura di Wall Street) una tempesta sulle banche europee e sul credito ad esse connesso.

Numerosi catalyst hanno congiurato contro i mercati:
** Nel week end è stata confermata la  cancellazione dell’ embargo all’Iran. Apparentemente il paese mediorientale ha intenzione di aumentare la produzione di 500.000 barili al giorno. Cose assolutamente note, in generale, ma Domenica i mercati aperti dell’area (Arabia Kuwait, UAE etc) hanno mostrato perdite tra  il 4 e il 7%. E l’oil ha aperto in calo del 4% lambendo quota 28.3$, salvo poi recuperare un po’ in giornata.
** Ieri  Reuters ha riportato che l’ECB avrebbe inviato a un campione di banche sotto la sua supervisione un questionario relativo ai rispettivi carichi di non performing loans, allo scopo di raccogliere indicazioni per sorvegliarle. La Banca Centrale Europea avrebbe istituito una task force per tenere sotto controllo le banche con i maggiori ammontari di sofferenze, allo scopo di suggerire azioni. L’azione, oltre a risultare sorprendente alla luce dei numerosi stress test già effettuati, tocca un nervo scoperto  del mercato in questi giorni, in particolare in Italia, unico tra i principali paesi periferici a non aver ancora affrontato strutturalmente i problemi del sistema bancario (in Irlanda, Spagna e Grecia vi sono stati interventi finanziati con denaro pubblico ed europeo).
** Infine, vi è un certo nervosismo per l’uscita, stanotte, di una bella serie di dati cinesi,  comprendenti produzione industriale, retail sales e investimenti di dicembre e GDP del quarto trimestre del 2015.

Se l’apertura di seduta in Asia è stata parecchio debole (anche a causa del disastro sui mercati occidentali di venerdi, ancora da fattorizzare), in giornata si è assistito ad un recupero, che ha permesso al grosso degli indici di limitare le perdite. Tra i motivi, tranquillità sul cambio cinese, dopo che le autorità hanno deciso di imporre una riserva obbligatoria sullo Yuan offshore. Oltre a ciò, i dati sui prezzi dell’immobiliare nelle prime 70 città cinesi hanno mostrato un miglioramento a dicembre, con salite in 39 città contro le 33 di novembre. Si spera che sia di buon auspicio per i dati di domani. Certo il fatto che il Premier Li abbia dichiarato che l’economia affronta crescenti pressioni non è granchè confortante. La speranza è che sia la  scusa per erogare ulteriore easing.

Del sentiment in crescita della seduta asiatica hanno provato inizialmente ad approfittare i mercati europei. Ma le banche, in particolare quelle italiane, hanno preso ad avvitarsi, soprattutto quelle dagli asset di qualità più dubbia come Montepaschi e Carige. Pesanti cali anche tra i bonds subordinati,  crollati in alcuni casi di diversi punti percentuali.
Le news sull’ECB fanno sospettare ulteriori richieste in termini di accantonamenti e incrementi di capitale. Oltre a ciò, si infiamma il dibattito sui prezzi a cui andrebbero valutate le sofferenze da trasferire alla eventuale bad bank. Ai livelli di mercato, ipotesi apparentemente portata avanti dall’EU, il trasferimento imporrebbe significativi aumenti degli accantonamenti, e aumenti di capitale negli istituti più deboli.
Personalmente osservo: che senso ha costituire una bad bank per rilevare i non performing loans a prezzi di mercato? Tanto vale venderli, cosi come sono, ai professionisti del settore, e risparmiarsi la fatica. Tra i fini dell’istituzione di una bad bank vi è quello di prendersi il tempo per valorizzarli, lasciando eventuali plusvalenze a favore degli istituti titolari, che nello stesso tempo vengono sgravati dell’onere di gestirle e possono riprendere l’attività. Sbaglio?
In questo senso, spero che le istanze EU siano più una tattica di negoziazione che non una richiesta reale, e mi auguro che il massacro degli ultimi giorni produca significativi avanzamenti nella trattativa. E’ davvero ora.

Pesantissimo il conto  per il listino italiano, che ha chiuso in calo del 2.6% a fronte di discese frazionali per gli altri indici principali europei (Fanno eccezione Portogallo e Grecia). Milano ha cosi cancellato i progressi dello scorso anno, nello spazio di poco più di 2 settimane. Pesantissimo anche il settore bancario dell’Eurostoxx (-3%) depresso, oltre che dalle indiscrezioni ECB, dal timore che le spinte disinflattive derivanti dal calo dell’oil inducano l’ECB ad abbassare ulteriormente il tasso di deposito nel corso dell’anno, penalizzando le riserve in eccesso depositate alla Depo Facility ECB.

Di fronte a questo sfacelo, la  riunione di Giovedi si fa interessante. Il deterioramento delle varie misure delle condizioni monetarie, dall’ultimo meeting, è evidente. Le attese di inflazione sono tornate sui minimi di agosto, i tassi reali sono saliti di 30 bps, gli spread del credito si sono allargati di 25 bps sull investiment grade, 100 bps sull high yield, 25 bps sul bancario senior e 55 sul bancario subordinato. In 3 casi su 4 si tratta dei massimi da oltre un anno.
Diciamo che la falange dei falchi, che ha con ogni probabilità bloccato la mano a Draghi il 3 Dicembre scorso, troverà difficile affermare ancora che “quanto erogato è sufficiente”.
Il problema è che rimettere mano, dopo un mese, al policy mix è per lo meno imbarazzante per il Governing Council. Draghi potrebbe tentare di tranquillizzare  gli animi con la retorica. Ma l’errore di comunicazione avvenuto a novembre rende la cosa più complicata:  come potrebbero i mercati fidarsi di promesse dopo  quella incresciosa vicenda? E’ probabilmente per questo motivo che non vi sono state particolari indiscrezioni in questi giorni, in materia di politica monetaria, al  contrario di quanto osservato nel run up verso il meeting di dicembre.
Draghi dovrà essere assai esplicito, se intende segnalare interventi per il 10 marzo. Personalmente, visto il rapido evolversi della situazione, propendo per un vigoroso impegno ad agire nuovamente a marzo se la situazione non cambia, ma non escluderei sorprese anche giovedi, se il ritmo del deterioramento resta quello delle ultime ore. Non si è più parlato degli acquisti di corporate. Ma visto il vento che tira sul settore, con la liquidità in caduta verticale, mi sembrerebbe una mossa azzeccata. Anche perchè per ottenere effetti rilevanti, sarebbero sufficienti importi ridotti. Ma certo la resistenza nel Governing Council sarà forte su questo punto.

Il rapido avvitarsi del sentiment ha prodotto una valanga di paralleli tra questa correzione e le crisi degli ultimi anni, tra cui spiccano quelli con il 2008.
Io risiedo fermamente nel fronte  di quelli che ritengono che questi paragoni non siano appropriati. Mi riprometto di tornare in argomento in seguito, ma in massima sintesi trovo la situazione parecchio diversa.
Nel 2007 si è assitito allo scoppio di una bolla gigantesca sull’immobiliare americano. Come nota Zervos di Jefferies, in quella fase il 70% degli americani era diventato proprietario di casa, nella stra grande maggioranza dei casi indebitandosi fino alle orecchie per averla. Il crollo dei prezzi, oltre a massacrare i bilanci bancari e quelli degli investitori che avevano investito nei bonds colateralizzati con i suddetti debiti, ha impattato pesantemente i consumatori, per definizione lunghi “a leva” di immobiliare. Il tutto peggiorato da un altra bolla, ironicamente quella sull’oil, che, passato da 70 a 110 dollari tra marzo 2007 e marzo 2008, ci si è mantenuto  per 6 mesi.
Diversamente, l’attuale crollo dell’oil che tanta parte ha nell’esplosione di volatilità degli ultimi mesi, danneggia i bilanci dei paesi produttori e di un settore industriale prevalentemente US. Ma i consumatori US (e quelli globali) sono invece “corti” oil, anche se non a leva, perchè lo consumano,  e quindi il calo aumenta il loro reddito disponibile. Bisogna solo, conclude Zervos, dare agli effetti benefici, più lenti, il tempo di svilupparsi. Anche in Cina, aggiungo io.