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L’epicentro della crisi bancaria “torna” in Eurozone

Ieri sera (giovedì) Wall Street ha riguadagnato la positività (principalmente grazie al tech), ma si è tenuta ben lontano dai massimi della seduta (S&P 500 + 0.3%, Nasdaq 100 +1.29%) che avevano sfiorato i 2 punti per l’indice generale. A gravare sul sentiment, una volta di più, il settore bancario, con le banche regionali in calo del 2.7%.

La seduta asiatica stanotte ha parzialmente accusato, con solo Jakarta, Ho Chi Mihn e Taiwan a mostrare progressi, anche se in generale le perdite sono risultate contenute.
Sul fronte macro, il cpi giapponese di febbraio è calato come da attese, ma la discesa è effetto delle misure contro il caro carburanti, mentre il dato core ha accelerato ed è uscito leggermente sopra attese, ma ai massimi dal 1982.


Per contro, i PMI flash di marzo sono usciti in miglioramento, anche se il manifatturiero è ancora in contrazione, per il quinto mese di seguito. Male per contro l’Australia, che ha visto deterioramento su tutta la linea.

L’apertura europea ha visto la pubblicazione dei PMI flash di marzo, che hanno riservato qualche sorpresa. Il trend di recupero è continuato, e gli indici ormai si attestano su livelli di attività decenti, in area 54, massimo da 10 mesi per l’EU. La forza però è interamente trainata dal settore servizi, ben sopra attese, mentre il manifatturiero ha deluso, e ha rallentato ulteriormente in Francia, Germania (dove ha fatto nuovi minimi) e eurozone. 
S&P Global nella nota rileva la divergenza, sottolineando che il manifatturiero ha visto un ulteriore calo di ordini e che il settore vive sullo smaltimento degli ordinativi pregressi. L’opposto si nota nei servizi dove il carico di ordini inevasi sale. Qui però S&P global nota che l’attività è trainata dai servizi finanziari, con il  real estate a dominare l’attività. Non so bene in che misura questo sviluppo possa essere sostenuto, viste le ultime news sul settore bancario. In rallentamento generalizzato l’attività in UK.
Il mercato ci ha badato poco. Fin dai primi scambi le vendite hanno preso di mira il settore bancario, e Deutsche Bank in particolare, rapida ad accumulare oltre 10 punti di perdita. Il selloff è maturato almeno in parte ieri sera a Wall Street sull’ADR. Dopo aver visto Silicon Valley Bank, Silvergate, First Republic,  Credit Suisse e le altre, il mercato è a caccia di vulnerabilità e DB con il suo passato chiacchierato, il suo enorme book di derivati e il suo coinvolgimento ad ampio spettro, che comprende anche commercial real estate USA, è un candidato ideale. Così il credit default swap ha fatto nuovi massimi, i subordinati si sono inabissati nonostante l’opportuno richiamo di un bond con la call a maggio.
Naturalmente DB non è Credit Suisse. La sua ristrutturazione è avvenuta alcuni anni fa, produce utili, ha una raccolta più granulare e retail di quella di CS, che era concentrata in clienti grossi, rapidi a dileguarsi. Un epilogo alla svizzera sembra molto improbabile. Ma ormai il mercato ha i nervi a fior di pelle e così il settore bancario ha accumulato fini a 6 punti di calo, gli indici generali hanno superato comodamente i 2 punti di discesa, i rendimenti hanno ripreso a calare con forza, e l’€ si è indebolito, reagendo allo spostamento dell’epicentro della crisi una volta di più da USA a EU.
Nel pomeriggio abbiamo avuto altri numeri in US. I Durable goods di febbraio hanno deluso, ma depurati dalla difesa non sono male. I PMi flash di preliminari di marzo sono decisamente migliori delle attese, con i nuovi ordini tornati a crescere, trainati dai servizi, mentre nel manifatturiero restano in contrazione. Evidentemente l’economia USA sta davvero rimbalzando in questo primo trimestre del 2023.


Il fatto è che gli ultimi avvenimenti rendono questi report un po’ “old news”. Lo stesso Powell, nella conference, ha dichiarato di attendersi un impatto dalla crisi delle banche (anche se questo non gli ha impedito di alzare i tassi)
Wall Street è partita in calo, seppure inferiore a quelli degli indici EU, ma poi progressivamente ha recuperato terreno, trainata da un rimbalzo delle banche regionali USA, che avevano ceduto, a livello di sottoindice, oltre l’8% in 2 sedute.
L’azionario EU ne ha approfittato per portare le perdite sotto il 2% e anche il calo dei rendimenti e dell’€ si è attenuato. Dopo la chiusura EU il recupero di Wall Street è continuato, fino a terminare con un progresso di mezzo punto circa. Ma il calo dei rendimenti, pur ridottosi, è rimasto sostanziale, con il 2 anni treasury (-7 bps) che chiude la settimana al 3.76%, circa 110 bps sotto i Fed Funds e il 10 anni (-6 bps) che chiude al 3.37%. Spettacolare la Fed Funds strip di oggi, che sconta appena il 20% di probabilità di un rialzo dei tassi a maggio, la certezza di un taglio da 25 bps a giugno, e 3 tagli da 25 bps entro dicembre, più un 50% di probabilità di un quarto.

In altre parole, vi è una divergenza enorme tra lo scenario scontato dall’azionario, che è ancora in progresso di oltre 3 punti percentuali da inizio anno (S&P 500), e i tassi, che scontano una Fed che si precipita a tagliare nella seconda parte dell’anno, uno scenario coerente con un marcato rallentamento. Come mai?
Personalmente ritengo che i tassi guardino al ciclo, e scontino un marcato rallentamento causato dall’inasprirsi delle condizioni finanziarie, legato all’impatto ritardato del continuato tightening Fed, aggravato dagli effetti della crisi bancaria sulla propensione al credito delle banche. L’azionario per contro guarda ai profitti, che ancora non sono stati impattati, e al calo dei tassi visto come “pivot” della Fed, verso una serie di tagli. Non a caso il big tech, l’azionario percepito come quello con “la duration più lunga”, inteso come la sensibilità ai tassi, ha outperformato alla grande di recente . Vedremo ci avrà ragione, ma personalmente ritengo ce l’abbiano più i tassi.