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Consolidamento dell’azionario prima di importanti dati macro. Oro oltre 2.000 $ l’oncia.

Eccomi di ritorno da poco più  di 2  settimane di stacco:  che è successo nel frattempo?
1) il  Recovery Fund europeo  è  stato  approvato. Pur  con tutte  le  condizioni,  i distinguo, le  concessioni ai Frugal 4 per ottenere la  loro approvazione, il  lag con cui questi fondi si renderanno disponibili, si tratta di uno  sviluppo  assai positivo  per  l’Eurozone.  E’  una sorta di “whatever it  takes”, questa volta  fiscale,  destinato a rinsaldare  la  percezione della  solidità  dell’Euro.  E i soldi da  spendere,  sia pure a  fronte  di presentazione di programmi soggetti ad approvazione, sono parecchi, e concentrati nei primi 2 anni. Ancora una volta l’EU, di fronte ad una crisi, ha scelto un passo  avanti anzichè uno indietro, e  se il movimento resta farraginoso e lento, allargando lo sguardo, il progresso in termini di integrazione è comunque chiaramente percettibile.
L’effetto  sui mercati si è  notato in particolare su  spreads  (con quello BTP – Bund in calo di ulteriori 15 bps, il rendimento del BTP  10y terminato  sotto  l’1% e quello del  2y sotto  zero) e sulla divisa (€+3/4%),  mentre l’azionario europeo,  dopo un ulteriore balzo,  ha visto  prese  di beneficio.
2) Sul fronte coronavirus, effettivamente la  seconda metà  di Luglio ha visto quello che per  il momento è  il nuovo  picco delle  infezioni in US, con gli stati protagonisti dell’impennata di giugno luglio che mostrano un rientro. Anche le ospedalizzazioni stanno cominciando a  stabilizzarsi, così  come i decessi (vedi figura by Pantheon Economics).

Unica  cosa, i test positivi sul  totale  sono scesi (6/75) ma sta  scendendo anche il loro numero ( link ),  cosa che può far sembrare i dati un po’ meglio di quello che sono veramente. E comunque, non siamo certo  in una situazione in cui le  misure restrittive  possono essere allentate.
In compenso,  in Europa i dati hanno preso a salire con decisione,  sia pure da livelli bassi, a causa dei focolai in Spagna e,  in minor misura, in Francia, mentre in Germania e Italia la  situazione resta  sotto  controllo ma comunque, in particolare nella prima, continua a deteriorarsi lentamente.
Segnali di stabilizzazione per i focolai  in Giappone,  Australia,  Israele,  mentre negli emergenti solo l’India non da particolari segnali di rallentamento. Brasile  e  Messico sembrano rallentare.
In generale quindi un quadro in cui i paesi riescono, con fatica e mediante l’istituzione di misure contenitive, a mettere sotto controllo i focolai,  ma continuano ad emergerne di nuovi. A preoccupare è l’incombere dell’autunno, nel corso del  quale  potrebbe divenire difficile  distinguere focolai di influenza comune e malattie  da raffreddamento stagionali da  nuovi focolai di Covid. Ma siamo ancora distanti un paio di mesi da queste problematiche, si spera.
3) Sul fronte macro,  i dati hanno continuato a uscire con tono positivo  (basti vedere i PMI manifatturieri finali di luglio e ISM usciti ieri,  tutti in crescita e meglio delle attese  tranne UK), ma in US si sono rivelati meno brillanti, in particolare  rispetto  ad attese  ormai  stellari,  mentre in Eurozona hanno sorpreso clamorosamente in positivo, seguendo il  pattern visto in America i mesi scorsi (vedi grafico).

Certo, nel flusso di dati sono contenuti numeri pesanti come il GDP USA (-32.9% annualizzato) e quello EU (-12.1%), ma, a parte che in entrambi i casi il calo è  stato leggermente inferiore alle stime, sappiamo che questi sono ormai dati “vecchi”.
Considerando che gli USA saranno alle prese con gli effetti delle misure restrittive, e  con il possibile  impatto dello scadere di alcuni schemi fiscali (Paycheck Protection Program ed estensione dei sussidi di disoccupazione) sul prolungamento dei quali al Congresso si fatica a trovare accordo, forse i numeri macro potrebbero continuare a  deteriorarsi in quell’area, mentre in Eurozone ancora l’aumento dei casi non sembra sufficiente a produrre significative reazioni. Questa ipotesi mi pare ben prezzata dal  cambio, ma non certo dall’azionario.
4) Riguardo l’earning season a Wall Street, al  momento le  aziende stanno agevolmente  battendo delle stime che sono state opportunamente guidate al ribasso. Con più di metà delle  aziende che hanno riportato,   Bloomberg marca un 85% che ha battuto le  stime di EPS, in media del 22%, e un 66% che ha battuto quelle di fatturato, di un 1.9% medio. Proiettando questi livelli di sorpresa rispetto alle  stime,  il  calo degli utili si rivelerà  assai più basso del 40% preventivato. E c’è  da  dire che le FANG hanno almeno parzialmente giustificato la  preferenza degli investitori. Giovedì scorso hanno riportato Apple, Amazon, Facebook e Google, e solo quest’ultima ha mostrato un impatto della  pandemia, mentre Amazon ne ha chiaramente beneficiato e anche Apple ha visto  le  vendite di PC e tablet supportate dalla “stay at home” policy. Cameron Crise di Bloomberg ha osservato che il net income aggregato di questi 4  mostri è  salito del 13.5% rispetto all’anno scorso.  Niente male per un trimestre in cui il  GDP  è calato ovunque del 12/13% in media. Certo,  l’editorialista  fa notare che nello stesso periodo di 12  mesi la capitalizzazione di queste  aziende è  salita  del 45%. Ben lungi dal questionare la sostenibilità  di questi risultati (dovuti almeno in parte al lockdown), il mercato prezza quindi un ulteriore miglioramento dello scenario. Ciò detto, con questo newsflow c’è  poco da  stupirsi che il  Nasdaq abbia segnato nuovi massimi i giorni scorsi.
Un po’ più in contrasto col quadro di risk appetite è che i rendimenti dei bonds globali abbiano in generale fatto nuovi minimi di periodo (assoluti per il Treasury), e che un safe asset come l’oro abbia chiuso Luglio ai massimi storici (superando quelli marcati nel 2011) archiviando un +11% sul mese. Un chiaro messaggio sulla liquidità nel  sistema.
A proposito del  peso delle  FAANG nel Nasdaq, non sono in pochi ad aver notato che,  a  fronte degli  ultimi massimi  segnati, la  partecipazione si riduce sempre  di più.  In altre parole  l’indice  è  trainato  dai grossi nomi,  ma  la  percentuale  di aziende  che partecipa  al  rialzo scende. Questo è  sicuramente  un effetto  dell’enorme redditività  di questi nomi, illustrata sopra. Ma solitamente questo tipo di divergenze è tipico delle parti finali dei movimenti. Sentimentrader.com ha raggruppato  tutte  le  sedute degli  ultimi 30 anni in cui,  a  fronte di nuovi massimi a 52 settimane, il numero  di membri del settore tech sopra  la  media a 50 giorni era  abnormalmente basso (diciamo sotto il 75mo  percentile). Quando questo  tipo  di divergenza  si è  presentato più  di 4 volte  nelle  ultime 30  sedute, è stato un segnale  di debolezza in arrivo  (vedi figura).

Anche l’S&P ha mostrato una performance media simile:

Certo,  di recente segnali statistici del genere se ne sono visti, ma per ora non hanno impedito al  Nasdaq per lo  meno  di fare massimi assoluti, e all’S&P  500 di farne di relativi,  anche se in realtà la  performance dell ultimo periodo non è brillante  come quella  dei mesi scorsi : il  Nasdaq ha testato 11.000 punti già  2  volte nel mese di Luglio.
L’indice proprietario Panic/Euphoria di Citigroup ha raggiunto un livello di euforia notato l’ultima volta nel  2001, coerente, secondo il modello, con una probabilità del 90% di performance negative a 12 mesi.

L’indicazione del  modello mostra chiaramente che:
1) il  timing non è  il  punto forte di questo  tipo di strumenti, che però aiutano parecchio nel risk management
2) in caso di bolla, l’euforia può durare a lungo,  e  la  correzione tardare un po’ (vedi 1999), ma  questo avviene al  costo di un calo più  profondo e duraturo.

Venendo brevemente alla giornata odierna, dopo i record  di ieri, una prima seduta di Agosto che ha visto l’S&P 500 a +0.75% e il Nasdaq al nuovo massimo (+1.47%), sia pure con le sopracitate divergenze, oggi abbiamo avuto un tono più consolidativo. Certo,  l’Asia ha ben figurato, sulla scia delle buone performance di ieri in occidente, con solo le “A” shares al palo,  eventualmente ostacolate da un newsflow un po’ negativo su trade/cold war vs USA ( link link link )
Scarsamente ispirata anche l’Europa, dopo il balzo di ieri, principalmente dovuto, a mio modo di vedere, ad un parziale ritracciamento dell’enorme divergenza occorsa con gli USA la  scorsa  settimana (l’Eurostoxx 50 aveva sottoperformato l’S&P 500 di un buon 6% in appena 6 sedute). Sicuramente il rafforzamento dell’€ ha avuto un ruolo rilevante in questa debacle in relativo dell’azionario continentale. Non a caso il ritracciamento è arrivato in corrispondenza di un rimbalzo del biglietto verde, e, a mio parere, entrambi hanno ancora un po’ di spazio.

In una settimana densa di dati macro (ieri i PMI manifatturieri, domani quelli servizi con l’ISM non manufacturing in US e l’ADP di Luglio, venerdì il  labour market report USA di Luglio,  preceduto dai claims giovedì), oggi il calendario macro  era invece spoglio, con solo  i factory orders di Giugno in USA (usciti meglio delle attese).
Con queste premesse i mercati azionari hanno faticato a prendere una direzione, con gli indici europei core terminati poco mossi e quelli periferici aiutati dalla buona vena delle banche. Assai più direzionali i bonds, che hanno visto significativi cali dei rendimenti e degli spread  periferici, e soprattutto i metalli preziosi. L’oro ha approfittato della  calma per mettere brevemente il naso sopra  i 2000 Dollari l’oncia, record storico, e  al momento scambia poco sopra, mostrando un progresso rotondo.
Lo spettacolare rally del metallo giallo appare sostanzialmente come il  prodotto di una serie di effetti riconducibili alla politica monetaria e fiscale e alla financial repression:
** l’impatto dello stimolo fiscale sta facendo recuperare le  attese di inflazione, come si vede dalla  performance dei break even inflation USA ed Euro.
** la  potenza dei programmi di acquisto delle banche centrali mantiene compressi i rendimenti dei bonds, rendendo nullo lo svantaggio tipico dell’oro (non paga cedola) e producendo nel contempo la corposa discesa dei tassi reali.

Come si nota l’accelerazione al ribasso di quelli USA mostra una correlazione inversa col prezzo dell’oro, che è visto come una divisa, che, a differenza delle altre, ha un offerta (almeno in teoria) rigida, dato che non lo puoi stampare.
In questo senso non stupisce l’entusiasmo degli investitori per i metalli preziosi.  Finchè il  quadro regge, difficilmente avremo inversioni di questo trend.