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Crolla Credit Suisse, nuova ondata di vendite sui listini, e tassi in calo.

Riprendo a commentare dopo 2 giorni e trovo uno scenario totalmente deteriorato sui mercati. Impossibile riassumere un in pezzo in maniera efficace tutti gli avvenimenti delle ultime 72 ore, in particolare in una giornata convulsa che mi lascia, per impegni pregressi e sopravvenuti, poco tempo per commentare. Mi limiterò a un riepilogo sommario dei fatti e qualche riflessione.
Il fallimento di Silicon Valley Bank e Signature Bank ha visto il suo impatto continuare sui mercati lunedì, con massicce perdite dell’azionario anche in Europa (con particolare veemenza sul settore bancario), e un collasso dei rendimenti, che ha visto le curve andare a scontare percorsi si rialzo dei tassi molto meno aggressivi, basti pensare che la future strip USA ha scontato Fed Funds inferiori al 4% a fine anno (da 5.5% di metà  della scorsa settimana) e le parti brevi delle curve hanno visto contrazioni dei rendimenti di 50 bps, non più viste dalla grande recessione, o anche prima.
Se le misure varate di garanzia dei depositi e di finanziamento degli asset delle banche regionali a valore nominale hanno arrestato la fuga dei depositi, il coinvolgimento di azionisti e obbligazionisti (giusto, beninteso) nel default ha colpito il sentiment. Oltre a ciò, il fallimento di SVB Signature, pur non avendo le caratteristiche di un evento sistemico, in grado di contagiare il sistema bancario globale, costituisce un sintomo che il tightening delle politiche monetarie sta avendo un impatto sulle economie. Se la clientela di SVB, Start up Tech e Venture Capital, è più vulnerabile, essendo vittima di un credit crunch, presto o tardi l’aumento del cost of funding raggiungerà tutti i settori economici (alcuni, come l’immobiliare, ci fanno già conti).
Riguardo le banche, sebbene SVB costituisca un caso specifico di mala gestione degli attivi e concentrazione della clientela, la sua vicenda accende un faro sui possibili effetti negativi del tightening delle politiche monetarie sui fondamentali del settore bancario:
1) Crescente competizione nella raccolta e conseguente aumento del cost of funding
2) Difficoltà nel reperire impieghi sufficientemente remunerativi (anche a causa dell’inversione delle curve)
3) Possibilità di perdite latenti di entità varia nel portafoglio obbligazionario, a causa del rapido rialzo dei rendimenti
4) Rischio di deterioramento degli asset a causa del rallentamento economico
L’impressione è che la price action di lunedì, pur con gli eccessi causati da un esplosione di volatilità su mercati, come quello europeo, caratterizzati da sentiment e positioning elevati, abbia iniziato a fattorizzare quest’ordine di problemi.
Ieri si è assistito ad una pausa nella risk adversion. Evidentemente le azioni dei regulators hanno avuto un temporaneo successo nel calmare i timori. L’attenzione si è poi concentrata sulla pubblicazione del CPI di febbraio in US, che ha sostanzialmente confermato le attese, pur mostrando che effettivamente il rientro, in particolare dell’inflazione sui servizi, è lento e pieno di pause. Alla fine il tasso di crescita trimestrale della core inflation, una volta annualizzato, supera ancora il 5%, oltre il doppio del target.
Il risultato è che azionario e banche sono rimbalzati, e i rendimenti hanno recuperato parte dei cali del giorno prima, anche se i livelli di tightening prezzati una settimana fa, ovvero il 5.6% di picco dei Fed Funds e il 4% e passa di tasso ECB, sono rimasti un pallido ricordo.

E veniamo a oggi. Dopo un apertura timida, la risk aversion è nuovamente esplosa e abbiamo assistito ad una riedizione di Lunedi, partita da livelli più bassi. Cosa è successo?
Che ad una domanda tendenziosa, ed eventualmente anche sorprendente, visto che Credit Suisse ha ricapitalizzato per 4 bln a dicembre, Ammar Al Khudairy, presidente di  Saudi National Bank, azionista di riferimento ha risposto che non intende aumentare la partecipazione nell’istituto elvetico.
Apriti cielo. L’azione ha cominciato a collassare, raggiungendo perdite del 30%. I bonds sono a loro volta collassati e il Credit Default Swap è esploso. La situazione ha preso tutti i connotati della crisi bancaria, con interrogazioni dei regulators sulle esposizioni delle banche nelle varie giurisdizioni, riduzioni frenetiche dei rischi controparti, e divieti incrociati di intrattenere rapporti.
*CREDIT SUISSE GROUP DEFAULT SWAPS HIT RECORD AMID SVB FALLOUT
*BANKS THAT ARE CREDIT SUISSE TRADE COUNTERPARTIES ACQUIRE CDS
*CREDIT SUISSE CDS REACH CRISIS LEVELS AS BANKS SEEK PROTECTION
*BNP REDUCING COUNTERPARTY EXPOSURE TO CREDIT SUISSE: SOURCES
*BNP STOPS TAKING NOVATIONS ON SWAPS INVOLVING CREDIT SUISSE
*FED WORKING WITH US TREASURY TO REVIEW CREDIT SUISSE EXPOSURES
*ECB OFFICIALS ASKED LENDERS ABOUT CREDIT SUISSE EXPOSURES: WSJ

Qual’è la vera situazione?
I numeri di Credit Suisse, alivello statico, non sono brutti. Common Equity Tier 1 al 14.1%, liquidity coverage ratio 140%, etc. Nulla di particolarmente preoccupante.  Il problema è a livello di confidence, e purtroppo l’esperienza di Silicon Valley Bank ha mostrato a che velocità si possono volatilizzare i depositi bancari, quando questa viene bruscamente meno. E Credit Suisse ha una clientela ricca e quindi concentrata e non polverizzata. Con l’aria che tira, il rischio di una bank run è concreto. E Credit Suisse, a differenza di SVB, è sistemica. Un suo fallimento disordinato avrebbe ripercussioni molto serie per il settore bancario europeo e globale.
Così le borse si sono inabissate, il settore bancario è precipitato, con perdite a doppia cifra per molti istituti, e sospensioni a raffica, sui bonds si sono riproposti i livelli osservati lunedì, e, a testimonianza del cambio di epicentro della crisi, l ‘€ si è inabissato. Le implicazioni macroeconomiche di un simile epilogo si sono notate anche sulle commodities, con il petrolio in picchiata a tratti di 7 punti percentuali.
Che dire? L’impressione personale è che, dopo l’esempio di SVB, le autorità svizzere non permetteranno una rapida deriva di un istituto che ha sicuramente una valenza sistemica. Se la situazione si deteriora ulteriormente, faranno sentire la loro voce. Non ho un idea precisa di che forma possa prendere l’assistenza, una garanzia ai depositi, un takeover assistito da parte di un’altra banca, come fu in Italia per le Venete, una parcellizzazione, una parziale nazionalizzazione. Ma credo che qualcosa si inventeranno. Questo servirà a evitare la crisi sistemica e il rischio contagio. Ma ovviamente ormai il mercato ormai sa che il business bancario non è fiorente come si riteneva settimane fa, e ritengo difficile che il sentiment prevalente fino a inizio marzo si ripresenti.

Coperti dalle tensioni sulle banche, sono stati pubblicati anche un buon numero di dati USA:

Abbiamo avuto un rimbalzo delle richieste settimanali di mutuo, prezzi alla produzione di febbraio benigni, un Empire manufacturing di marzo di nuovo bello pesante, e delle retail sales di febbraio che hanno sorpreso ancora in positivo, una volta depurate delle componenti volatili. Infine, la confidence degli homebuilders è migliorata ancora un tantino, anche se io credo sia temporaneo, e comunque il traffic of prospective buyers è ancora a 31, ben sotto 50.
La chiusura europea vede perdite superiori al 3% per i principali indici core europe e superiori al 4% pe Milano e Madrid, penalizzate dal peso maggiore di banche (Eurostoxx banks -8.4%). Nuovo crollo dei rendimenti, con discese di 20/30 bps ovunque.
La Fed Funds strip sconta un solo rialzo, tra marzo e maggio (50% di probabilità ad ogni meeting) e Fed Funds a fine 2023 ancora sotto il 4%. Riguardo l’ECB, che deve parlare domani, la curva sconta 25 bps più altri 25 o poco più, avendo tolto 100 bps di rialzi per il 2023 rispetto a una settimana fa. Il meeting di domani è una chiamata difficile. La Lagarde allo scorso meeting aveva dichiarato che serviva uno scenario “piuttosto estremo” per impedire all’ECB di alzare ad un ritmo stabile, ovvero riproporre i 50 bps. La situazione è sufficientemente estrema? Personalmente, ritengo che domani l’ECB modererà le sue ambizioni e si accontenterà di alzare i tassi di 25 bps,  come sorta di compromesso tra i falchi e le colombe nel board.

Dopo la chiusura, hanno cominciato a comparire chiari segnali che le autorità elvetiche sono al lavoro per fermare la deriva. Vedremo domani che cosa emergerà. ma la risk adversion si sta un po’ attenuando.