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Tassi ancora in calo, equity in attesa nel run up verso il FOMC

Ieri sera (martedì) Wall Street poi ha accelerato nel finale, con l’S&P 500 a +0.46% e il Nasdaq 100 +0.82% entrambi a nuovi massimi (il Nasdaq a uno sputo da quelli di dicembre 2022 che sono praticamente quelli storici). Il driver apparentemente è stato che, dopo l’asta 30 anni, i rialzi dei rendimenti treasury post CPI si sono riassorbiti interamente e il 10 anni ha chiuso in calo di 3 bps.
A giudicare dalla price action, i mercati azionario e obbligazionario si comportano come se gli investitori stessero perdendo la speranza che i vari catalyst (CPI USA, FOMC, ECB, Retail Sales USA) possano fermare il rally, ergo venditori riluttanti e compratori che non vogliono aspettare per paura di pagare di più. Di qui il “grind higher” che stiamo vedendo in questi ultimi giorni.
Questa circostanza si traduce anche in un costo per hedging molto basso (basta guardare il Vix ai minimi post covid). E’ come se il mercato percepisse un rischio elevato che l’outcome sia positivo per l’azionario.
Il fenomeno si collega a quanto ho osservato ieri, a proposito del fatto che Powell, ammesso e non concesso che intenda davvero contrastare il pricing della curva dei tassi (114 bps di tagli prezzati entro dicembre 2024), dovrà usare un tono abbastanza duro da esercitare un effetto su un mercato ossessionato dal calo dei rendimenti e dal rally di Natale. Già 2 settimane fa, il primo dicembre,  Powell ci ha provato (  *POWELL: FED PREPARED TO TIGHTEN MORE IF IT BECOMES APPROPRIATE; *FED’S POWELL: PREMATURE TO SPECULATE ON WHEN POLICY MAY EASE) e il rimbalzo dei rendimenti è stato davvero effimero. Evidentemente il mercato si chiede cosa può dire di più oggi. Oltretutto, il consenso degli analisti già si aspetta un outcome tendente al hawkish, proprio per i motivi illustrati.

D’altronde, sulla scorta principalmente del calo dei tassi, e del rally dell’azionario, le financial conditions USA (nel grafico l’Indice di Bloomberg) sono diventate più espansive che a metà anno e sono ai livelli di marzo 2022.


Se il mercato dovesse (a torto o a ragione)  trarre ulteriore incoraggiamento dal FOMC, questo effetto potrebbe amplificarsi, il che non può far piacere ad una Fed che comunque non ha ancora raggiunto il suo target sui prezzi, e non può escludere rimbalzi dell’inflazione, specie se l’economia tiene, un eventualità che il calo dei rendimenti e il rialzo dell’equity non fanno che rendere più probabile.
Per cui, a rigor di logica Powell dovrebbe cercare di risultare abbastanza netto nel rigettare lo scenario attuale, al fine di porre un freno a questa deriva ottimista. Un buon modo potrebbe essere quello di mantenere 25 bps di taglio per il 2024 nella Dot Plot, o puntellare le aspettative di inflazione e occupazione. Oppure dire apertamente e senza mezzi termini che la convinzione che si sta creando il mercato, e cioè che la Fed possa tagliare i tassi aggressivamente solo perchè scende l’inflazione, senza che l’economia soffra, è sbagliata.
Vedremo.

Nel frattempo, dove invece la delusione è diventata la regola, è in Cina. L’outcome della Central Economic Work Conference è stato accolto con un bel -1% abbondante dal China Complex. Eventualmente gli investitori hanno rilevato l’assenza di misure “bazooka like” e novità. A questo punto, il mercato vorrebbe provvedimenti di entità più simile al post Grande Crisi Finanziaria. In ogni caso, se la sottoperformance dei mercati azionari cinesi non è certo una novità delle ultime settimane, la recente divergenza è spettacolare. Basti pensare che l’RSI 14 di S&P 500 e Eurosotxx 50 è rispettivamente di 73 e 79, e quello del MSCI World è nientemeno che 76, mentre quelli degli indici cinesi sono compresi tra  37 dello Shanghai Composite e 27 del CSI 300, con Hang Seng e HSCEI in area 35. Impressionante.

L’ennesima giornata nera dell’azionario cinese ha frenato il sentiment nell’area asiatica, con Tokyo, Taiwan, Sydney e Mumbai a mostrare progressi marginali, e Vietnam, Seul e Jakarta a seguire i China Complex sul terreno delle perdite sostanziose.
Sul fronte macro, in Giappone è uscito il Tankan del quarto trimestre ed in aggregato il sentiment sembra piuttosto migliorato, per quanto io preferisca indicatori a frequenza un po’ più elevata che trimestrale.

A mercati chiusi sono poi usciti gli aggregati di credito cinesi di novembre e anche qui non c’è da stare allegri. Tutto sotto attese, e i dettagli mostrano una domanda di credito di nuovo debole, con cali del credito ai consumatori e dei loans a medio termine alle aziende. Questo non depone bene per domani sui mercati cinesi, ma li non si può mai dire, perchè i veicoli statali sono sempre in agguato per supportare i corsi.

La seduta europea è partita, anche oggi, con un sentiment costruttivo sull’azionario, ancorchè di attesa, e i rendimenti ancora in calo moderato, nel run up verso il FOMC. A questi ultimi può aver giovato una serie di numeri UK per ottobre tutti unanimemente deboli e sotto attese. Davvero non se ne salva uno.

L’impatto sui rendimenti UK è stato, come di recente solido, e quelli EU, non avendo particolari motivi per resistere, sono andati giù in simpatia, anche se meno.
In Eurozona pochi numeri, bruttini. In Italia la disoccupazione è calata nel terzo trimestre, ma in virtù di una revisione al rialzo del numero del secondo. La produzione industriale EU di ottobre è calata più delle attese.

Nel pomeriggio in US era prevista la pubblicazione di un paio di report:
** Le richieste di mutui settimanali hanno fatto un discreto balzo, e sono salite in 4 delle ultime 5 settimane. D’altronde i tassi dei mutui trentennali sono passati dall’8% di un mese e mezzo fa a poco più del 7 e la gente ne approfitta. Un fenomeno da collegare alla questione dell’easing delle condizioni finanziarie illustrato sopra.
**il PPI USA di novembre, che si è rivelato ancora benigno, più del CPI di ieri, in particolare il dato core.

Alla vista di questo secondo record il fixed income non si è fatto pregare e i rendimenti sono ancora calati, tanto che andiamo verso la Fed con tutte le scadenze della curva USA in calo di almeno 5 bps (10 anni al 4.16%) e 115 bps di tagli dei Fed Funds scontati entro dicembre 2024. I rendimenti europei core calano di importi simili mentre quelli periferici di 7/8 bps e UK di 12-13. A guardare il mercato dei tassi, si direbbe che non aspetta altro che Fed e ECB e BOE siano alle spalle, per continuare su questa strada. Appena un mese e mezzo fa non si parlava che di issuance troppo elevata da sostenere per il mercato, inflazione sticky, economia surriscaldata, e rating e finanze pubbliche deboli per l’Italia.
Non è che in generale ritenga questo movimento privo di motivi, in particolare in Europa. Ho passato l’autunno a dire che il mercato e le Banche centrali sovrastimavano il rischio inflazione. Ma è stato troppo rapido e violento, e ritengo che vi sia un serio rischio che a gennaio alcuni di questi punti (issuance  qualche dato di inflazione non così benigno) tornino d’attualità mentre il mercato li ha completamente scordati.
L’azionario continentale nel pomeriggio ha dilapidato i modesti guadagni, chiudendo con perdite marginali, che offrono una flebile conferma ai segnali di inversione di ieri. Ma quando l’event risk delle ore successive è così elevato non è il caso di seguire segnali tecnici così short term. Resta il fatto che il mercato azionario europeo è ipercomprato a sangue, ed eventuali progressi potrebbero venire rapidamente ritracciati.
Poco mossi i cambi, le commodities vedono il piccolo rimbalzo dell’oil, ma  l’indice generale è frenato da grani, e da platino e palladio tra i metalli.
Wall Street oggi rispetta pienamente il clima d’attesa con movimenti minimi per ora, a differenza dei bonds.
E ora sotto con la Fed