Inizio settimana assai più tranquillo di quanto il mega flop di Doha facesse temere.
Nonostante il protrarsi del meeting, di 10 ore oltre il termine stabilito, è stato impossibile raggiungere un qualsivoglia accordo su un tetto alla produzione di petrolio per i 16 paesi riuniti in Quatar. L’Arabia Saudita si è categoricamente rifiutata di aderire al freeze senza una partecipazione all’accordo dell’Iran, che non si è nemmeno presentato al Summit.
I Sauditi sostengono che un tetto senza la partecipazione di tutto il cartello porta in dote solo la riduzione della quota di mercato. Gli Iraniani osservano che prima di parlare di accordo è è necessario che la loro produzione torni a livello pre sanzioni, altrimenti ratificherebbero l’usurpazione della loro quota da parte di altri produttori. Un classico “dilemma del prigioniero” quindi, la cui conclusione era forse scontata.
Meno scontato è constatare, a fine giornata, che Brent e WTI hanno ridotto le perdite ad una frazione di quanto messo in mostra all’apertura del mercato (-7%). Come motivo della resilience, alcuni hanno hanno indicato lo sciopero in Kuwait, apparentemente in grado di ridurre temporaneamente l’output del paese di un 60%. Una news del genere, in altri tempi, avrebbe causato un impennata dei prezzi. Ma ora, con le scorte ai massimi storici, sono riluttante ad attribuirgli tutta quest’importanza (anche perchè era già nota all’apertura dei mercati).
E’ presto per trarre conclusioni, dopo una sola seduta, ma sembra logico desumere dalla price action che la parte giocata dalle speranze di un accordo a Doha nel recente rialzo del petrolio sia stata inferiore a quanto generalmente ritenuto.
Peraltro, l’iniziale reazione al flop ha impattato sulla seduta asiatica. La citata correzione iniziale dell’oil ha prodotto una fiammata dello Yen (la lingua batte dove il dente duole) che ha prevedibilmente affossato Tokyo. Deboli anche i mercati cinesi, nonostante i dati sui prezzi dell’immobiliare misurati in marzo nelle 70 principali città abbiano mostrato il rialzo più forte da 2 anni (+4.9% anno su anno, da +3.6% di febbraio).
Il dato sui prezzi è l’ultima di una serie di sorprese positive che mostrano come il significativo easing monetario e fiscale erogato dalle autorità cinesi negli ultimi mesi stia iniziando a produrre effetti. Non a caso, sul media ufficiale Xinhua è uscito un editoriale il cui messaggio sembra essere che nella seconda parte dell’anno la politica monetaria resterà espansiva, ma lo sarà un po’ meno che nei mesi scorsi.
D’altronde, basta uno sguardo agli aggregati monetari dei primi mesi dell’anno (new loans + 25.5% anno su anno nel primo trimestre) per comprendere che un rallentamento dello stimolo monetario, più che una mossa “prudente”, è una necessità.
Tra gli altri indici positiva solo l’India, che ha più da guadagnare da un oil debole e si è giovata di alcuni trimestrali positive.
L’apertura europea, con il petrolio giù ancora del 5%, è stata comprensibilmente difficile. Tra l’altro, non c’era alcun dato per distogliere l’attenzione degli investitori. Ma quando si è capito che il greggio era più propenso a recuperare terreno che a cederlo, il sentiment ha preso a migliorare e per fine mattinata le perdite erano sostanzialmente recuperate.
Un buon contributo alla causa è venuto dal sistema bancario italiano, che continua a beneficiare della comparsa sulla scena di Atlante, nonostante la pioggia di critiche. La performance ridotta del FTSE MIB Banks (+0.1%) è dovuta allo stacco del dividendo da parte di Unicredit, Banco Popolare e Mediolanum.
Dopo JPM, Wells Fargo e Citigroup, è stata la volta di Morgan Stanley oggi, di battere stime di utili e fatturato. Il + 4% segnato dal settore banche dell’S&P500 dall’esordio di mercoledi scorso indica che i risultati del settore finanziario US non sono brutti come si temeva (o che le aspettative erano state sufficientemente depresse).
Sul fronte macro, giornata scarna anche in US con solo la fiducia di aprile dei homebuilders (58 in linea con marzo e vs attese per 59).
L’ulteriore recupero dell’oil (-1% mentre scrivo) ha permesso a Wall Street di esordire in positivo e segnare i nuovi massimi dell’anno 2016, e agli indici europei di chiudere in guadagno una giornata iniziata in profondo rosso. In lieve calo il $ mentre i rendimenti dei bonds sembrano reagire al risk appetite e alla resilience del comparto commodities (si stanno svegliando anche quelle agricole) e salgono più o meno ovunque.
Il calendario macroeconomico prende vita in settimana: domani abbiamo la ECB bank lending survey e dati su immobiliare in US. Giovedi abbiamo il meeting ECB e il Philly Fed in US. Venerdi chiudiamo in bellezza con i PMI flash manifatturieri in Giappone, Europa e US. a parte ciò, riporteranno 104 aziende dell’S&P 500 e 46 dello Stoxx 600.
Sul fronte tecnico la cosa si fa interessante in Europa, con il Dax sul punto di superare una importante resistenza in area 10120 e completare una figura di testa e spalle rovesciato, che proietterebbe un target in area 10.000 (vedi grafico sotto). La figura sull’Eurostoxx non è dissimile.