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Lampi di Colore

Lampi di Colore 60

La giornata del labour market report US è iniziata con un tono nervoso ma scarsa direzionalità. Il marginale progresso registrato  da Wall Street ieri sera ha consegnato all’Asia un sentiment decente. Certo, Tokyo continua a soffrire del flop di Kuroda la scorsa settimana e della forza dello Yen. I mercati cinesi sono stati ondivaghi, alla vigilia della settimana di chiusura per il capodanno cinese. Gli indici restanti hanno però messo a segno performance positive. La PBOC ha fissato ancora in rafforzamento lo Yuan.

La mattinata europea ha visto gli indici osservare il consueto trading laterale pre payrolls, sebbene con un elevato nervosismo latente. Il settore bancario europeo ha continuato però il rimbalzo messo a segno ieri, aiutato dai buoni risultati di BNP Paribas. Gli ordini all’industria tedeschi di dicembre hanno deluso (-0.7% da prec +1.5% e vs attese per -0.5%), e la cosa strana è che il “miss” è dovuto agli ordini domestici, e dall’Eurozona, mentre quelli da fuori Europa sono saliti del 5.5% mese su mese, con buona pace della crisi emergenti.

I mercati sono arrivati al labour market report US non sapendo bene cosa augurarsi. Un dato forte avrebbe ridato fiato alle attese di una prosecuzione della normalizzazione dei tassi US, un dato brutto avrebbe rafforzato i venti di recessione.

Alla fine, il report mostra più aspetti positivi che negativi:
** a gennaio sono stati creati 151.000 nuovi posti di lavoro, vs 190.000 attesi (ma probabilmente il consenso vero era più basso). Un calo accettabile alla luce della forza estrema dei mesi precedenti. La cosa strana è che il settore manifatturiero è andato assai oltre le attese (29.000) mentre i servizi hanno deluso (118.000).
** Assai diverso il quadro dipinto dalla household survey, che vede 615.000 nuovi occupati. La forza lavoro ha visto 502.00 ingressi. Per effetto di ciò la disoccupazione è scesa di 0.1% a 4.9%. Ma bisogna mettere in conto alcune distorsioni dovute alla revisione dei dati passati.
** Sia le ore lavorate che i salari orari sono saliti. Le prime segnalano una tenuta dell’attività, i secondi annunciano un inizio di inflazione salariale. Ma si tratta di serie volatili.

In generale, un report positivo, che continua a segnalare che l’eccesso di capacità nel mercato del lavoro sta venendo assorbito, e la domanda resta robusta. Le medie di creazione di posti a 3, 6 e 12 mesi restano comodamente sopra 200.000 (rispettivamente a 231.000, 215.000 e 222.000). E, forse, fanno capolino un po’ di pressioni salariali.
Su queste basi, i timori di recessione in US sembrano assai esagerati.

Peraltro, questo dato ridà un po’ di fiato al quadro macroeconomico della FED che, come noto, ufficialmente prevede altri 3 rialzi quest’anno (anche se la recente retorica dei membri ha cominciato a farsi più cauta). Sentiremo la Yellen in testimonianza al Congresso (10 e 11 febbraio) la  prossima settimana come se la caverà.

Cosi, il dollaro è rimbalzato, dopo 2 giorni pesanti, le curve dei tassi hanno timidamente preso a prezzare marginali incrementi di probabilità di rialzi nel 2016-2017. E Wall Street, dopo qualche indugiare, ha preso solidamente la via del ribasso, levando il terreno sotto i pieni ai fragili indici europei. Le banche europee hanno perso la loro forza, e quelle italiane hanno trascinato giù il listino milanese.
Al contrario del recente passato, le commodities sembrano tenere meglio il ritorno del biglietto verde. Il petrolio al momento mostra un marginale guadagno, mentre il CRB perde lo 0.3% mentre scrivo, una discreta dimostrazione di forza.
L’oro, poi, ha provato a stornare, per prezzare una Fed meno accomodante, ma il “dip” è stato rapidamente comprato. D’altronde, il metallo giallo ottiene supporto dalla rforte isk adversion, e dalla percezione che quasi ogni stato sta cercando di svalutare la propria divisa.

Uno sguardo alla price action la dice lunga sul deterioramento del sentiment sui mercati. Lo mostra la reazione asimmetrica agli stimoli. Il petrolio debole pesa sugli indici, ma sembra aver perso la capacità  di trainarli quando recupera. In un contesto ossessionato dal rallentamento globale, un dato buono come quello odierno provoca uno storno, per paura di una FED restrittiva e un dollaro che torna forte. Ma nei giorni scorsi gli indici europei soffrivano,in relativo, un $ debole che ne limitava la competitività. Il bicchiere è sempre mezzo vuoto.

E sui singoli mercati regna il caos.  Per riprendere un esempio già citato ieri, oggi Intesa Sanpaolo ha prodotto risultati buoni e una guidance ottimista per il 2016. Il titolo, partito in negativo, ha sfiorato il +5% dopo la pubblicazione dei risultati, e ha poi chiuso a -3.9% nel marasma finale. Il range delle ultime 3 sedute  è un surreale 14% (minimo a 2.27€, massimo a 2.60€). Non si tratta di un caso isolato. I listini sono pieno di blue chips che mostrano questi andamenti.

Sul fronte tecnico, a meno di grosse sorprese, il quadro tecnico è assai deteriorato. L’Europa si appoggia sui minimi, e Wall Street sta lavorando ben sotto il supporto in area 1910 di S&P 500. Solo il livello di 1970 separa l’indice da un test dei minimi in area 1820. Certo, con una price action cosi caotica, probabilmente non è il caso di fare i farmacisti con i supporti e le resistenze orizzontali.

Nel frattempo, con 315 aziende su 500 che hanno pubblicato le trimestrali, l’earning season US ha scollinato. Normalmente, a questo punto, i trend sono stabiliti e si modificano di poco. Sul fronte profitti, il 77% delle aziende ha battuto le  stime, in media di un 4.4%. Su quello del fatturato, solo il 46% ha battuto, e la media è marginalmente negativa, a -0.18%(dati di bloomberg). In altre parole la stagione riflette quelle che l’hanno preceduta, sia pure grazie al solito adeguamento delle stime.