La settimana scorsa, iniziata disastrosamente sui mercati, è finita in gloria, con i principali assets in grado di mostrare buoni guadagni.
Primo tra tutti il petrolio, che, grazie ad un recupero del 18% in 2 sedute ha chiuso la settimana in progresso del 10%. Positivo in generale il commodity complex, col CRB a +2.4% sulla settimana.
L’S&P 500 e l’Eurostoxx hanno chiuso rispettivamente con +1.4% e +2.4%, performance che a metà settimana sembravano irraggiungibili.
Sulla scorta di questi indiscussi successi, l’Asia stamattina ha messo a segno a sua volta progressi sui principali indici. Un Kuroda criptico a Davos non ha impedito al Nikkey di costruire sul balzo di venerdi. Il Governatore BOJ ha dichiarato di non ritenere che la volatilità abbia impattato sul comportamento delle aziende, ma loro comunque restano vigili. Siccome sappiamo che ama le sorprese, difficilmente avremo indizi su quanto ha in mente per venerdi. Ma certo qualche aspettativa si è creata dopo Draghi. La bilancia commerciale giapponese di Dicembre ha mostrato esportazioni e importazioni entrambi in calo e sotto attese.
I mercati cinesi sono stati supportati dalla decisione delle autorità di ridurre ulteriormente l’eccessi di capacità nei settore del carbone, e dell’acciaio. Scarso impatto ha avuto una storia sui media locali secondo cui le autorità sarebbero restie a tagliare la Riserva Obbligatoria per evitare di alimentare i flussi di capitale in uscita.
Che la ricreazione era finita lo si è capito all’apertura europea, quando un esordio positivo degli indici è stato rapidamente respinto. Ovviamente la discesa è stata debitamente preannunciata da una comprensibile correzione dell’oil, dopo le performance stellari delle ultime 2 sedute.
Detto questo, la correzione si è rivelata particolarmente severa per il settore bancario, non solo italiano, anche se i nostri istituti si sono nuovamente distinti per debolezza.
Non è difficile capire la natura dello stress sulle banche Italiane. Domani il ministro Padoan si dovrebbe incontrare col Commissario per la Concorrenza Margrethe Vestager, sul tavolo i dettagli della Bad Bank. Il punto è su quali livelli verrà permesso agli istituti di disfarsi delle sofferenze. E se sarà concesso di apporre una garanzia governativa (e a che costo) che ne permetta una facile liquidazione. Con l’ammontare di indiscrezioni che circolano (si parla di un prezzo tra il 20 e il 30% del valore facciale) e il vento freddo che circola sul settore bancario europeo e globale, c’è poco da stupirsi che l’iniziale ottimismo sia durato poco, e i flussi di vendite siano diventati torrenziali.
Già, perchè la pressione sulle banche è globale. Le performance da inizio anno dell’Eurostoxx Banks e dell’ S&P 500 banks si equivalgono più o meno: circa un -17%.
Ma perchè tanto pessimismo sui settori bancari? Circolano diverse teorie.
1) La prospettiva di tassi che restano bassi a lungo è un ostacolo per gli utili bancari. In Europa affrontiamo la prospettiva di tassi sempre più negativi (probabilmente già dal prossimo meeting ECB, anche se io spero che i nostri eroi si concentrino sugli acquisti). In US la recente volatilità ha fatto si che la curva cancellasse tutti i rialzi prezzati, e la curva si appiattisse significativamente, un movimento tradizionalmente inviso al settore.
2) Il crollo dell’oil e delle commodities, le nuove tensioni cinesi e la fiammata di volatilità sui mercati stanno impattando significativamente sulle attese di crescita globali. E l’oil ha alimentando timori che in US in particolare le insolvenze bancarie possano crescere, a causa dello stress del settore energy. Ciò spiega anche la correlazione perfetta tra oil e azionario.
3) in Europa poi abbiamo l’infuriare del dibattito sul bail in, che impatta soprattutto sulle banche italiane in questa fase, ma ovviamente non lascia indifferente il resto.
La speranza è che la soluzione concordata per la Bad Bank italiana non sia talmente penalizzante da far accelerare la fuga degli investitori dal settore. Tra l’altro, dopo Stress Test, AQR e ricapitalizzazioni successive, e ormai un anno di sorveglianza ECB, costituirebbe anche, a mio modesto parere, un danno per la credibilità dell’istituzione.
Sapremo a breve, si spera.
Sul fronte macro, l’IFO di gennaio ha confermato il quadro indicato dai PMI, segnalando un impatto delle recenti vicende sulla confidence delle aziende tedesche (a 102.4 da 104.6 le expectations vs attese per 104.1). Più stabile la componente coincidente (107.3 da prec 108.6 e vs attese per 108.4). In calo di oltre un punto l’indice generale (107.3 da 108.6) che resta però coerente con una crescita dello 0.4-0.5% nel primo trimestre dell’anno.
Balzo degli ordini all’industria a novembre per l’Italia, con un 12% anno su anno trainato dalla componente domestica.
In US, spaventoso il Dallas Fed index (-34 da -21), minimo post crisi e calo più violento da 11 anni per il sottoindice production. Ma d’altronde si tratta del distretto più “oil intensive” ed un impatto dal giro del petrolio sotto 30 $ era scontato.
Su fronte tecnico, la settimana scorsa porta in dote un discreto numero di segnali di inversione sui principali indici (vedi sotto l’S&P 500, con indicati anche i 4 precedenti negli ultimi 2 anni, che in 3 occasioni hanno offerto indicazioni valide ). Vedremo se questa volta verranno rispettati.
A parte ciò, la settimana si preannuncia interessante sul fronte macro-eventi:
Domani in US abbiamo i PMI flash services e composite e la consumer confidence di gennaio.
Mercoledi le consumer confidence in Europa e in US le new home sales di gennaio e il FOMC
Giovedi il CPI tedesco di Dicembre, e in US i durable goods e le pending home sales
Venerdi apriamo con la Bank of Japan, seguita dal CPI europeo dicembre e in US la prima stima del GDP del quarto trimestre.
In più l’earning season US entra nel vivo con 134 aziende che riportono, a cui si aggiungono 32 dello Stoxx 600.