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Dicembre inizia col botto sui mercati, con il Russiagate che torna a turbare il clima politico a Wall Street.
La prima sorpresa si è avuta in apertura, quando il buon tono (per non dire euforia) di Wall Street di ieri sera non si è comunicato alla seduta asiatica. Tokyo ha recuperato ulteriormente, in parte grazie allo yen debole, in parte grazie ai dati (Cpi ottobre in linea ma capex terzo trimestre sopra attese). Ma l’azionario cinese ha continuato a consolidare, con i principali indici invariati o marginalmente negativi, tranne le small caps che hanno rimbalzato vigorosamente.
L’atteso PMI manifatturiero cinese Markit non ha fornito indicazioni decisive. La survey si è effettivamente mossa in controtendenza rispetto all’omologo dell ufficio statistico nazionale, ma in maniera marginale (50.8 da prec 51 vs attese per 50.9). Tra i sottoindici, calo dei new orders (da 52.4 a 51.8) che però restano sopra la soglia dell’espansione.
Insomma, non abbiamo ottenuto un chiaro segnale che il manifatturiero cinese stia rallentando marcatamente più di quanto indicato dalle survey ufficiali. Però le pressioni sui prezzi stanno ulteriormente aumentando (+0.3% a 54 in novembre).
Il resto degli indici asiatici ha performato in ordine sparso, benino Sydney e Taiwan, invariata Seul, male Mumbai.
Ci ha pensato l’Europa a far svoltare definitivamente il sentiment in negativo, poco dopo l’apertura quando gli indici si sono inabissati, senza un catalyst ovvio. Notizie di difficoltà per l’approvazione del deal fiscale al Senato US hanno indebolito il dollaro e supportato i bonds. Cosi l’azionario europeo si è trovato alle prese con € in recupero e tassi in calo, un doppio ostacolo (questi ultimi hanno al solito infastidito i settori bancari). E poi c’è stato il mistero del balzo dei tassi monetari, non del tutto chiarito (anche oggi abbiamo una chiusura più alta del normale).
Tutto ciò ha spinto l’Eurostoxx sotto il supporto costituito dalla trendline ascendente dai minimi di metà novembre, sotto il quale è probabile fossero stratificati un po’ di stops (Vedi grafico orario).
Si tratta solo di ipotesi, ma sta di fatto che, superata quella soglia il future ha accelerato bruscamente al ribasso lasciando gli operatori a interrogarsi sul perchè di questa slavina a poche ore dal massimo di Wall Street.
In questo contesto, le revisioni ai PMI manifatturieri eurozone di novembre non hanno catalizzato granchè l’attenzione, in quanto si trattava di news in gran parte già note dai dati flash. Il settore manifatturiero europeo scoppia di salute e i dettagli regionali disponibili ora mostrano che anche i piccoli paesi core e la periferia mostrano accelerazioni robuste. Un aspetto dei commenti di Markit che trovo interessante è che la forza della domanda sta cominciando a creare colli di bottiglia nelle catene proddutive, con conseguente aumento dei prezzi delle forniture. Le pressioni inflazionistiche sono ai massimi da 6 anni, un fenomeno che ancora non si nota sui prezzi al consumo, e soprattutto che i mercati non scontano.
In tarda mattinata, il newsflow dal congresso ha preso a migliorare, e ciò ha avuto effetti positivi su dollaro e tassi, cosi l’azionario europeo ha iniziato a recuperare.
Nel pomeriggio l’ISM manifatturiero US di novembre è uscito sostanzialmente in linea con le attese (58.2 da prec 58.7 e vs attese per 58.3), ma il dettaglio, con gli incrementi dei new orders (+0.6 a 64) e production (+2.9 a 63.9) mostra che anche oltreoceano il manifatturiero è in forma smagliante, e il lieve ridimensionamento è a causa dello smaltimento dell’effetto uragani sulle consegne. Anche qui, il sottoindice dei prezzi continua a segnalare robuste pressioni. Forte anche il Construction spending di ottobre.
Dati macro a parte, dal Washington hanno continuato a venire indicazioni che il provvedimento fiscale avrebbe avuto i voti per passare, e cosi Wall Street si è messa in posizione di attesa, il dollaro ha continuato a recuperare, spinto da tassi US in rialzo.
Di tutto ciò si è giovato l’azionario continentale, e così a mezz’ora dalla chiusura europea sembrava che i danni per gli indici sarebbero stati assai contenuti e la divisa unica avrebbe relegato a distorsione di fine mese il brusco rialzo di ieri.
Nossignore.
Improvvisamente si sono materializzate indiscrezioni secondo cui l’ex advisor della Sicurezza Nazionale US, Flynn, sotto inchiesta per il Russiagate, avrebbe ammesso di aver avuto una serie di colloqui con l’ambasciatore russo, su ordine di un membro assai importante del team di Trump. Flynn sarebbe disposto a testimoniare contro Trump, secondo ABC, il media che ha riportato le indiscrezioni.
Si tratta, se confermato, di un fatto decisamente increscioso. Flynn avrebbe mentito all’FBI su questi colloqui, avvenuti quando era già consulente di Trump, che era già Presidente Eletto. Insomma, si può iniziare a parlare di menzogna e/o ostruzione alla giustizia, due possibili cause di impeachment.
Le novità sul Russiagate, se confermate in toto, non porteranno ad un impeachment immediato del Presidente. Intanto gli inquirenti hanno dichiarato che l’udienza di Flynn avverrà entro 3 mesi. E comunque i casi di Clinton e Nixon insegnano che l’impeachment è una procedura lunghissima.
Ma le rivelazioni rischiano di esacerbare ulteriormente il clima a Washington e ostacolare ulteriormente l’attività dell’esecutivo, tutto ciò mentre bollono in pentola, oltre alla riforma fiscale in voto oggi al Senato, la proroga della continuing resolution per finanziare l’attività governativa e il debt ceiling.
E poi, c’è da mettere in conto l’eventuale reazione di Trump. Essendo coinvolto in prima persona, licenziare il produratore Muller, o graziare Flynn non farà che aggravare la posizione di possibile ostruzione alla giustizia. Quindi il Presidente potrebbe cercare dei diversivi per distrarre l’opinione pubblica e supportare la sua popolarità, attaccando briga in campo internazionale (primi candidati Nord Corea, Iran e Cina) e/o spingendo ulteriormente su immigrazione, terrorismo etc.
Così, Wall Street e dollaro hanno preso la via del ribasso e i bonds hanno trovato improvviso supporto. La fiammata di volatilità ha portato gli indici europei a ritracciare l’intero recupero, chiudendo sui minimi di seduta, con perdite rotonde. Pesanti ribassi per i rendimenti eurozone e tendenza degli spreads ad allargare, mentre l’€ ha recuperato interamente il calo maturato in giornata, e risulta invariato rispetto a ieri contro un dollaro che perde parecchio terreno contro i tutti gli altri cross tranne Sterlina, peso messicano e, ovviamente ilo Rublo.
Poco dopo la chiusura europea, la dichiarazione del leader della maggioranza repubblicana al Senato McConnel, che i Repubblicani avrebbero i voti necessari per approvare la proposta di taglio alle tasse ha ridato un po’ di vigore alsentiment, con Wall Street che ha più che dimezzato le perdite (giunte a superare di un bel po’ il punto percentuale durante la fase acuta). Peraltro, ancora non abbiamo alcuna notizia del risultato ufficiale del voto
Ironicamente, l’Europa ha già chiuso da un pezzo, e qualunque recupero è rimandato a lunedi, a condizione che il sentiment tenga.
Sul fronte tecnico, è difficile trarre conclusioni senza la chiusura di Wall Street stasera, la quale potrebbe differire di parecchio dai valori attuali. Detto questo, si può osservare che la discesa odierna porta l’Eurostoxx a contatto con il supporto costituito dall’ex resistenza in area 3620, dove già l’indice era rimbalzato a metà novembre e dove ora passa anche la media mobile a 200 giorni.
Dovesse il supporto dare strada, abbiamo 3420 come prossimo livello.
Uno sguardo alla price action dell’azionario US e Eurozone degli ultimi 30 giorni mostra una marcata divergenza, col primo che è salito di circa 2.6% e il secondo sceso di 3.4% circa (vedi grafico, che non tiene conto dell’ulteriore divergenza che si registrerà oggi)
Diversi motivi hanno contribuito a quest’underperformance:
** La forza dell’€, che ha lavorato a favore degli USA
** L’accelerazione del provvedimento fiscale al Senato, che impatta più sull’azionario US
** Le perduranti diatribe tra ECB e EU e il calo dei tassi eurozone che hanno depresso le banche europee, mentre quelle US si sono avvantaggiate dell’apparente favore di Powell a ulteriore deregulation e della salita dei tassi US.
Ciò detto, oltre 6 punti percentuali di divergenza in un mese mi sembrano davvero tanti, e, in considerazione della tendenza alla mean reversion di queste divergenze (vedi sotto il ratio tra S&P 500 e Eurostoxx), mi attenderei un po’ di recupero relativo da parte dell’azionario continentale, a meno di fiammate eccessive di volatilità che normalmente penalizzano più l’Europa. Se poi la volatilità viene causata dal Russiagate, si può ipotizzare che Wall Street incontri difficoltà a outperformare gli indici europei.