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Lampi di Colore

Che dopo la volatilità di quest’estate, le trimestrali delle grosse americane banche non avrebbero incantato, era abbastanza scontato. Ma vedere la prima della classe (JP Morgan) missare sia su profitti che su fatturato non ha aiutato un sentiment reso già non troppo arzillo dal newsflow di ieri. Anche  Intel, nonostante abbia battuto le stime, è stata gratificata da un selloff di quasi il 3% in aftermarket, a causa di una guidance non troppo convincente.

Su queste basi, il market mood recapitato all’Asia stanotte non era dei migliori, ed è ulteriormente peggiorato in seguito a dati cinesi di CPI e PPI di settembre, il  primo sceso oltre attese (+1.6% anno su anno da prec +2% e vs consenso per +1.8%), e il secondo confermato stabile a -5.9% anno su anno.
In passato, dati del genere sarebbero stati bene accolti, come forieri di margine di manovra per la PBOC. Ma di questi tempi, lo scenario inflattivo non costituisce certo un ostacolo a ulteriore easing. Per contro, i crescenti dubbi dei mercati  sull’efficacia delle misure straordinarie fanno si che CPI sotto attese impattino negativamente sul sentiment. Mi spiego cosi la freddezza con cui gli indici hanno accolto dati normalmente innocui, sebbene i danni siano limitati.

La debolezza del $  continua ad irritare Tokyo, alla seconda giornata di significativa correzione. I dati continuano a peggiorare, e l’ ottimismo di Kuroda sembra sempre più mal riposto (a settembre hanno rallentato anche gli aggregati monetari), ma al momento il mercato si astiene dal prezzare in incremento a breve del QQE.
Marginalmente negativi il resto degli indici.

Su queste basi, l’apertura europea non è parsa nemmeno troppo brutta (visto che la chiusura negativa di Wall Street era maturata in larga parte dopo la chiusura di ieri).
Scarse le sorprese sul fronte macro continentale, con i CPI finali di settembre in linea e la produzione industriale europea in calo come da attese.
A metà giornata, una solida trimestrale di Bank of  America è intervenuta a controbilanciare l’ “effetto JP Morgan”, riportando un po’ di ottimismo, ma le attese erano tutte per le retail sales US di settembre, in pubblicazione nel primo pomeriggio.

Il dato, tenuto conto anche delle revisioni di agosto, ha deluso significativamente il consenso, in particolare nella parte “control group” ovvero quella che entra nel calcolo del GDP (-0.1% vs +0.3% atteso, e con il dato di agosto rivisto da +0.4% a +0.2%). Il tasso di crescita annualizzato supera ancora il 4%, ma è evidente che stiamo assistendo ad un rallentamento nel terzo trimestre . Scendendo nei dettagli si scopre che le vendite di carburante alla pompa hanno pesato parecchio soprattutto per via del calo dei prezzi, il che riduce la negatività del dato. Brillanti per contro le vendite d’auto, in grado di portare in positivo il dato headline.

La reazione del mercato è stata tutto sommato controllata. Un dollaro già debole ha fatto un ulteriore tuffo, lambendo il minimo di settembre contro € a 1.145. La probabilità prezzata dai future di una mossa ai prossimi 2 FOMC si è ulteriormente ridotta. Attualmente ottobre ha un misero 6% e dicembre un 30%, nonostante sulla carta la maggioranza dei membri Fed sia ancora favorevole a un rialzo entro fine 2015. E l’ azionario US sta testando la resistenza in area 1990-95 di S&P 500, ma soprattutto per via del profit warning di Wal Mart, che perde l’8%. Nel processo, è sfumata anche la possibilità per gli indici europei di evitare la terza chiusura in rosso a fila.
Robusti i cali dei rendimenti dei bonds, col treasury che mette il naso sotto il 2%.

Dal punto di vista tecnico il risultato del test in corso dovrebbe marcare, o meno, la fine dell’attuale fase di debolezza, più accentuata in Europa e Giappone, che viaggiano ancora sotto le resistenze, che in US che consolida sopra.

Dal punto di vista fondamentale, la tegola delle retail sales, da un lato alimenta il dibattito sul rallentamento ciclico in US dopo un secondo trimestre brillante, ponendo la questione di una sostenibilità degli earnings di corporate america.
Dall’altro sembra ridurre il margine di manovra della Fed nel breve. Questo secondo effetto attenua lo stress sugli emergenti, checche’ ne pensino i loro banchieri centrali, che peraltro mirano soprattutto a una risoluzione dell’incertezza.
A parte ciò, eventualmente aumenta, coeteris paribus, la pressione su Draghi e Kuroda per incrementare l’easing, allo scopo di mantenere il divario di stance monentaria e evitare un rimbalzo indesiderato delle loro divise, il cui trend di discesa si è ormai interrotto da un paio di trimestri.
Del recedere delle attese di easing si avvantaggia l’oro, che, ai massimi da giugno, sta testando la trendline discendente dal picco del 2012 e la media mobile a 200 giorni (vedremo che che esito)