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Il CPI USA di settembre sorprende al rialzo, ma Wall Street per ora non si scompone.

Nuova chiusura record per Wall Street, la quarantaquattresima quest’anno, con l’S&P 500 in progresso ieri dello 0.71% e il Nasdaq 100 di uno 0.8%. A ieri, il principale indice USA  mostra un guadagno da inizio anno del 21.43%, la miglior performance, a questo punto dell’anno, dal 1997. Inutile dire che il sentiment positivo ha supportato i rendimenti, con il 2 e il 10 anni treasury entrambi terminati sopra il 4%, rispettivamente al 4.02% e 4.07%.
Prima della campana, ieri sera, sono state pubblicate le minute del FOMC del 18 settembre. L’aspetto più rilevante è che, sebbene alla fine abbia ufficialmente dissentito solo il membro Bowman, le perplessità circa l’opportunità di tagliare 50 bps erano un po’ più diffuse. Non che il mercato non sia in linea con questo mood, visto che attualmente per il 7 novembre sconta a malapena un taglio da 25 bps. In ogni caso si tratta di un indicazione che i 50 bps erano meno condivisi di quanto sembrasse a prima vista, e quindi l’asticella per mosse del genere in futuro è abbastanza alta.
Per il resto il quadro dei rischi viene definito “balanced” ma, in base agli ultimi dati, i rischi sull’occupazione sembrano un po’ rientrati.
*FED: ALL PARTICIPANTS SUPPORTED LOWERING INTEREST RATES
*FED: ‘SUBSTANTIAL MAJORITY’ BACKED HALF-POINT RATE CUT
*FED: ‘SOME’ OFFICIALS WOULD HAVE PREFERRED QUARTER-POINT CUT
*FED: ‘A FEW’ ALSO COULD HAVE SUPPORTED SMALLER MOVE
*FED: OFFICIALS SAID RISKS TO DUAL MANDATE ROUGHLY IN BALANCE
*FED: ‘ALMOST ALL’ PARTICIPANTS SAW LOWER INFLATION RISKS
*FED; ‘ALMOST ALL’ OFFICIALS SAW HIGHER RISKS TO LABOR MARKET
*FED: REDUCTION OF BALANCE SHEET CAN CONTINUE FOR SOME TIME

La seduta asiatica ha visto il primo rimbalzo dell’azionario cinese (Hang Seng, HSCEI, Shanghai e Shenzen) dopo lo storno importante delle ultime 2 sedute. Nulla di irresistibile, +3% circa sulle “H” shares e +1% abbondante sulle “A” shares, ma comunque una pausa nelle vendite. Il resto dei principali indici dell’area ha visto progressi marginali o moderati, con l’eccezione di Jakarta, in modesto calo.
A favorire la stabilizzazione sui mercati cinesi, eventualmente l’attuazione, da parte della PBOC, della facility di rifinanziamento per le aziende finanziarie non bancarie, annunciata poco più di 2 settimane fa.
** PBOC SETS UP 500 BILLION YUAN OF SFISF (SECURITY, FUNDS AND INSURANCE COMPANIES SWAP FACILITY) FOR THE FIRST TIME, TO PROVIDE LIQUIDITY TO EQUITY-HOLDING FINANCIAL INSTITUTIONS.
Ovviamente gli occhi restano puntati su sabato, quando, a mercati chiusi, avverrà il briefing del Ministero delle finanze che dovrebbe aggiungere un po’ di colore ai piani di stimolo fiscale, al momento parecchio vaghi (2 trilioni di Yuan di cui la metà da destinare a supporto dei consumi e dei ceti più fragili della popolazione). Un flop in quell’occasione scatenerebbe la delusione del mercato, alla riapertura lunedì, e quindi si spiega il tono “titubante” del rimbalzo. Io non credo affatto che le autorità vogliano correre un rischio del genere, ma nessuno lo può escludere.
In generale oggi l’Asia aveva gli occhi anche al CPI USA, visto l’impatto del Pivot Fed sulle politiche monetarie e gli asset dell’area. Un numero in grado di far cambiare stance alla Fed era assolutamente improbabile, ma è periodo di sorprese rilevanti.
Sempre sul fronte prezzi, il PPI giapponese di settembre è uscito sopra attese (0% vs -0.3% atteso sul mese, e dato anno su anno in aumento a 2.8% da 2.6% e vs stime per 2.3%). Così abbiamo assistito ad una piccola salita dei tassi jap e un recupero dello Yen, che ha impedito al Nikkei di seguire Wall Street.

La seduta europea è partita ancora con un tono consolidativo, gli occhi rivolti al dato del pomeriggio in US. lo stesso si può dire dei bonds, a loro volta lievemente sotto pressione.
Sul fronte macro, poca roba. I prezzi delle case in UK hanno ripreso a salire a settembre: calavano da 24 mesi secondo le indicazioni del RICS house price balance.


Discrete le retail sales tedesche di agosto, mentre la produzione industriale italiana è più o meno in linea con le stime ma come crescita sull’anno resta mediocre.
A metà giornata l’ECB ha pubblicato le minute del suo meeting del 12 settembre. Il testo sembra un campionario di “da un lato… dall’altro…” a testimoniare l’incertezza del quadro, ma anche l’eterogeneità delle view nel Committee. Emergono le preoccupazioni sul ciclo ma la recessione è improbabile (non in Germania, direi). Non si può dire con certezza che l’inflazione è sconfitta, ma potrebbe finire sotto il target. E quindi loro si lasciano aperte le opzioni e sono data dependant.
*ECB ACCOUNT: ECONOMIC OUTLOOK FOR EURO AREA WAS MORE CONCERNING
*ECB ACCOUNT: BEST TO MAINTAIN FULL OPTIONALITY TO REACT FREELY
*ECB ACCOUNT: GRADUAL REMOVING RESTRICTION OK IF BASELINE HOLDS
*ECB ACCOUNT: OPTIONALITY SHOULD BE RETAINED ON PACE OF EASING
*ECB ACCOUNT: NOT FULLY CERTAIN THAT INFLATION PROBLEM SOLVED
*ECB ACCOUNT: RISK OF UNDERSHOOTING 2% BECOMING NON-NEGLIGIBLE
*ECB ACCOUNT: GENERAL VIEW WAS THAT RECESSION REMAINED UNLIKELY
*ECB ACCOUNT: CORE INFLATION REQUIRE CONTINUED ATTENTION

Alle 14.30 la carrellata di dati USA. A prima vista decisamente poco amichevoli.

Partendo dal CPI USA, questo ha sorpreso al rialzo su tutta la linea, sia headine che core. Per il dato core si tratta delIa seconda sorpresa al rialzo di seguito. I dettagli non cambiano significativamente il quadro: il dato core ha visto un contributo in calo da parte dello shelter (OER 0.33), ma il cosiddetto supercore (core services ex shelter) ha continuato ad accelerare dal dato negativo di giugno toccando 0.4%.

Nel grafico con il dato core anno su anno e la media a 3 mesi annualizzata si vede bene come le ultime letture abbiano cambiato il quadro. Siamo al 3.3% e i numeri dell’ultimi trimestre annualizzati sono tornati un punto sopra il target Fed.

Sulla base di questo numero, il PCE index core, dato di inflazione prediletto dalla Fed, potrebbe a sua volta rimbalzare a 0.3% sul mese, con l’aiuto di un arrotondamento. Domani vedremo che piega prenderà la cosa con la pubblicazione dei prezzi alla produzione USA di settembre.
Nemmeno i sussidi di disoccupazione settimanali hanno lasciato indifferenti, con una corposa sorpresa al rialzo sia sulle richieste che sul monte percettori. Ma la scorsa settimana avevo messo in guardia contro l’impatto, in questa serie, dell’ uragano Helene in Florida e North Carolina. Figuriamoci che succederà tra un paio di settimane quando avremo il conto di Milton.
La reazione del mercato è stata tutto sommato composta. I rendimenti hanno fatto un balzo e l’azionario ha scartato al ribasso, ma successivamente i movimenti sono parzialmente rientrati e non si può certo dire che l’impatto, per ora sia stato enorme. D’altronde, per quanto riguarda i bonds, i rendimenti salivano ininterrottamente da metà settembre (+45 bps su 2 e 10 anni treasury) e il mercato è andato incontro al dato parecchio difensivo e scontando una sorpresa al rialzo. E poi i sussidi di disoccupazione tiravano dall’altro lato. Anche se il dato è palesemente distorto, alla fine gran parte degli operatori lo accetta così com’è. Ed è probabile che, anche in assenza di Helene, il numero sarebbe stato più elevato del consenso.
La tenuta dell’azionario più difficile da argomentare, perchè nessuno dei 2 dati è equity frendly. Ma Wall Street forse si accontenta del fatto che il CPI non è sufficiente a giustificare un cambio di stance Fed o una rinuncia a tagliare al FOMC di novembre. E poi forse è distratta dall’apertura della earning season domani, con  JPMorgan, Wells Fargo, BlackRock e Bank of New York Mellon a pubblicare la trimestrale. Infine, come illustrato ieri, Trump ha rimontato lo svantaggio, e al momento è premiato dai bookmakers, e non c’è dubbio quale candidato Wall Street veda più di buon occhio, in particolare se questo promette ulteriori tagli alla corporate tax.
Così l’S&P 500 ha provato più volte la strada della discesa, ma senza mai riuscire ad allontanarsi troppo dalla parità.

Personalmente, però, continuo ad attendermi una fase di consolidamento a breve. Questi i motivi in sintesi:
1) Nonostante il sorpasso di Trump, al momento le elezioni risultano assolutamente aperte. Mi pare strano che il run up verso quest’appuntamento resti caratterizzato da questa tranquillità. Nelle prossime settimane verranno sparate le salve più pesanti della campagna elettorale. C’è un motivo se, come riportato ieri, storicamente le elezioni aperte hanno causato qualche turbolenza. Senza contare quello che potrebbe succedere se il risultato risulterà contestabile. Un lungo stallo.
2) La geopolitica: mi pare che il mercato stia ignorando abbastanza il problema nelle ultime 72 ore. Ma noi stiamo sempre aspettando la reazione di Israele.
3) L’earning season: il mercato ci arriva sui massimi, dopo un bel rally nell’ultimo mese. Le attese sono elevate, in particolare per il Big Tech, al solito. Deutsche Bank ha osservato che, solitamente, quando si arriva ad un’earning season in queste condizioni, le reazioni tendono più al deluso che all’euforico.
4) Condizioni finanziarie. Il mercato ha festeggiato abbondantemente il pivot Fed e il FOMC del 18 settembre, ma, come osservato sopra, da li in poi i tassi non hanno fatto che salire. Il che implica, paradossalmente, un inasprimento delle condizioni finanziarie (i.e. l’impatto della salita dei tassi dei mutui sulle richieste ieri). Come si nota nel grafico sotto, hanno recuperato i tassi reali, ed anche le aspettative di inflazione di medio periodo. Wall Street per ora ha ignorato il movimento, ma per quanto potrà farlo?


La chiusura europea vede i principali indici cedere moderatamente, con l’eccezione di Milano,  sostenuta dal settore bancario (+1.6%). I rendimenti in Europa sono calati oggi. D’altronde, anche in EU erano saliti tanto nell’ultimo mese, senza avere le giustificazioni che avevano quelli USA. Se il Dollaro ha reagito, a margine, positivamente ai report, le commodities hanno visto parecchio sollievo dalla reazione modesta dei tassi, e dello stesso biglietto verde.
Vedremo dove sarà la chiusura di New York stasera.