Seleziona una pagina

Trump spegne la tregua con la Cina, gettando i mercati nel caos.

NB Oggi il Lampi esce prima causa uscita anticipata del sottoscritto, e quindi anche le chiusure europee non sono definitive

Avevamo si e no digerito la reazione al FOMC (anzi, per la precisione avevo appena finito di commentarla nel lampi di ieri) che Trump ha pensato bene di sparigliare le carte ancora, aggredendo nuovamente la Cina, a 24 ore dalla conclusione dei meeting di Shanghai.
Affidandosi al suo mezzo di comunicazione preferito, il Presidente ha twittatto che dal 1 settembre eleverà dazi del 10% sui restanti 300 bln di importazioni cinesi. Questo perchè la Cina non mantiene le promesse (nella fattispecie di acquistare prodotti agricoli USA e fermare le esportazioni illegali di un oppioide). Trump ha concluso che i colloqui sono in corso, e che ritiene che il futuro tra le 2 nazioni sarà brillante (sic).
In tempi successivi, intervistato sui motivi della mossa, il Presidente ha dichiarato ai reporters che:
** finchè non ci sarà un accordo, gli USA tempesteranno di dazi la Cina
** la reazione dei mercati “non lo preoccupa affatto”
** Se i Cinesi non vogliono più commerciare con gli USA, per lui sta bene.

Le news hanno colto completamente di sorpresa il mercato, che, avendo archiviato i meeting di Shanghai, era focalizzato su tutt’altro. La reazione immediata ha visto Wall Street invertire bruscamente la marcia (l’S&P 500 ha chiuso a -0.9%, a 2 punti dai massimi di seduta), e i tassi sono crollati su tutta la curva treasury. Il petrolio ha lasciato sul terreno il 7.9% e l’oro, che aveva sofferto l’outcome del FOMC, è rapidamente tornato sui massimi.

L’intento di Trump, con questa mossa appare evidente: mettere pressione ai Cinesi in vista dei meeting di settembre. Ma molti vi vedono un secondo fine, o quanto meno un calcolo: visto che Powell ha esplicitamente citato le frizioni commerciali come un rischio per l’outlook e un fattore che potrebbe indurre la Fed a incrementare l’easing, il Presidente sembra voler fornire subito al FOMC lo “stimolo giusto” per portare i tassi  al livello desiderato dalla Casa bianca. O, quanto meno, ritiene di poter contare su una “Powell put”, ovvero un supporto dalla politica monetaria nel caso i Cinesi facciano muro.

E’ la seconda volta che Trump interrompe bruscamente una tregua, applicando nuovi dazi. La prima volta è avvenuto a Maggio, quando ha annunciato il passaggio da 10% a 25% di quelli già esistenti sui 250 bln. La frattura occorsa in quell’occasione era stata parzialmente ricomposta con la rinuncia ad elevare quei dazi che sono poi stati annunciati ieri sera.
In questo senso, lo shock è di livello inferiore, in quanto c’è un precedente, e comunque i rapporti non erano ristabiliti ai livelli di aprile, quando i mercati sognavano un deal per giugno. Detto questo, imprevedibilità di Trump renderà il mercato quanto mai diffidente: qualunque prossima tregua dichiarata godrà di ben poca credibilità. Si può tranquillamente dire che la trade war si è ormai cronicizzata.

Inoltre, l’efficacia di queste pressioni sui Cinesi è per lo meno dubbia. A sentire la Casa Bianca, Pechino continua a disattendere le promesse, e la precedente razione non la ha portata a più miti consigli. Per quel che può valere, avendo Trump cambiato atteggiamento a 48 ore da meetings definiti “costruttivi”, ora i Cinesi hanno buon gioco nel dire che sono gli USA a cambiare continuamente idea.

Infine, i mercati si trovano in condizioni differenti rispetto a Aprile scorso. Il cambio di stance delle Banche Centrali (FED in testa) ha permesso loro di assorbire il deterioramento dei dati macro, il rinnovato acuirsi delle frizioni commerciali in primavera, e l’avvitamento della Brexit. Così, anche grazie al superamento di quota 3.000 per l’S&P, lo scetticismo che caratterizzava quel periodo si era in parte diradato. Ma ora lo spazio per i Policymakers per segnalare ancora più easing è più ridotto. E i market internals si sono progressivamente deteriorati (vedi Lampi del 23 Luglio per un riassunto).
In sostanza, l’ennesimo riaccedersi dello scontro USA – Cina arriva in un momento in cui altri fattori stavano gravando sull’azionario, e quindi è probabile che la fase di volatilità si protragga, tra alti e bassi, per un po’, anche se questo incidente non può essere considerato così inatteso.

Su una cosa il mercato sembra dare ragione a Trump. I futures sui Fed Funds sono corsi a rivedere quanto scontato ai prossimi meeting: un taglio di 25 bps a settembre che non era mai andato oltre il 90% di probabilità e post FOMC era scontato al 60%, ora è dato pressochè per certo (97%). E la curva sconta 3 tagli entro 12 mesi.

La seduta asiatica è stata, comprensibilmente, difficile, in particolare per gli indici cinesi, e per Tokyo, danneggiata dal balzo dello Yen. Meno penalizzate Mumbai, e Sydney, ma bisogna tenere presente che, diversamente dall’Europa, l’Asia non ha fatto in tempo a beneficiare del temporaneo recupero ieri, e quindi non ne sopporta il relativo peso nelle performance odierne.

Discorso opposto per gli indici europei, che ieri sera hanno chiuso con Wall Street a +0.9% e stamattina hanno dovuto fattorizzarne il calo. Così si spiega il – 2% con cui ha esordito l’Eurostoxx 50.
L’ondata di risk aversion ha compresso ulteriormente i rendimenti, col risultato che la curva tedesca a metà giornata è risultata interamente negativa, con il 10 anni a superare la soglia di -0.5% e il 30 anni per la prima volta sotto zero. Balzo dello Yen a parte, i cambi sono rimasti abbastanza tranquilli. La discesa dei tassi a livelli pre FOMC ha levato supporto al Dollaro, ma la compressione osservata anche altrove non ha permesso grossi recuperi.
Sul fronte spread, il BTP è sembrato soffrire il sentiment risk adverse e alcune dichiarazioni di Salvini (*SALVINI SAYS EITHER GOVT PASSES TAX CUTS OR EARLY VOTE NEEDED) ma alla fine la compressione dei rendimenti ha indotto gli investitori a riprenderlo in mano.
Ironicamente, i dati macro non sono stati nemmeno brutti, stamattina in Europa con le retail sale di giugno a sorprendere in positivo in Eurozone e anche in Italia. Ma oggi serviva altro per distrarre i mercati, anche se il buon dato italiano può aver in parte contribuito alla outperformance di Piazza Affari.

Nel pomeriggio era prevista la pubblicazione del labour market report USA di luglio. I numeri sono usciti in linea con le attese (164.000 nuovi occupati vs 165.000 attesi) anche se i 2 mesi precedenti hanno visto revisioni al ribasso per 41.000 unità. Un aumento della forza lavoro ha fatto salire la disoccupazione a 3.7% e i salari orari hanno mostrato una minima accelerazione rispetto alle attese.
In generale, un report che dipinge un mercato del lavoro USA ancora solido, anche se la creazione di posti di lavoro ha un po’ rallentato. Nulla che potesse lasciare una traccia evidente sulla price action odierna, vista la carne al fuoco, anche se per la verità i tassi USA hanno mostrato un piccolo temporaneo rimbalzo, che ha offerto un effimero supporto al $.
Poco prima dell’apertura USA CNBC ha riportato che Trump potrebbe cancellare i Dazi se la Cina si mette all’opera tra qua e settembre. La notizia ha dato momentaneo respiro ai mercati. Ma intanto si tratta di un a cosa scontata, e poi, come detto sopra, d’ora in poi i mercati prenderanno con le pinze gli sviluppi positivi sul trade.
Così, a un ora dalla chiusura europea, i mercati sono tornati sui minimi di seduta e li hanno in alcuni casi rotti. I rendimenti distano un po’ dai minimi, con le curve che mantengono la tendenza ad appiattirsi. Per il momento la soglia di 0% ha respinto l’assalto del 30 annni tedesco, che però è fermo a 0.02%.
Il ritorno del rischio trade war e la compressione dei tassi hanno calmato il $, con l’€ che oscilla attorno a 1.11. Un ulteriore salita potrebbe fargli negare la rottura ribassista post FOMC.