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Trump riaccende le speranze sul trade e i mercati mostrano deciso sollievo

Peggior seduta dal 3 Gennaio ieri per l’S&P 500 (-2.38%) mentre per trovare una seduta peggiore per il Nasdaq (-3.46%) bisogna tornare al 4 dicembre 2018. A penalizzare l’indice tecnologico la giornataccia di Apple (-5.8%), che, alle ambasce legate al trade, ha aggiunto la notizia che la Corte Suprema USA ha autorizzato le class actions per abuso della sua posizione dominante nel mercato delle App.
In ogni caso, c’era poco da scegliere, ieri, tra le FANG stocks, con l’indice relativo che ha perso il 4.4%. A pagar dazio (mi si conceda il gioco di parole) i settori più esposti al global trade e al rischio Cina: Lusso, Metal & mining Auto, e Semiconduttori dove alle difficoltà di Apple si aggiungono quelle del settore automobilistico. Non a caso il Philadelphia Semiconductor index ha lasciato sul campo ieri il 4.7%.
La forza dei safe heaven assets (yen, oro) ha fatto da corollario al movimento. Il Dollaro è stato frenato dai flussi in uscita sui carry trade, che hanno offerto nuovo supporto all’€.

In serata, come previsto, l’USTR ha pubblicato la nota che istruiva l’imposizione di dazi sul resto delle importazioni di beni cinesi. Come accennato ieri, la tempistica proietta, in assenza di rinvii, l’elevazione delle tariffe circa a metà luglio.

Come nelle ultime occasioni in cui Wall Street aveva dato segnali di cedimento, pronto è arrivato il supporto di Trump. Il Presidente ha dichiarato di avere la sensazione che le trattative “avranno un grande successo”aggiungendo che “si saprà in 3 o 4 settimane come andrà a finire”. Trump ha inoltre dichiarato l’intenzione di incontrare il Presidente Cinese Xi al G-20 del 28-29 giugno. La collocazione del potenziale summit non è banale, in quanto cadrebbe 2 settimane prima della conclusione dell’istruttoria per l’imposizione dei nuovi dazi. Resta da vedere se il Presidente Cinese vorrà venire a trattare “con la pistola alla tempia” cosa che ha sempre dichiarato di non voler fare.

Le uscite di Trump hanno comunque sortito effetti sui mercati. I futures USA ed Europei hanno recuperato terreno, e l’Asia ha sostanzialmente evitato il massiccio storno che gli avrebbe imposto la fattorizzazione della debacle di ieri. Le peggiori performance sono state mostrate da Hong Kong e dalle H shares, che ieri erano chiuse, mentre il resto degli indici ha contenuto i cali, con Seul e Sydney addirittura in grado di mostrare guadagni.

L’apertura europea è avvenuta in questo clima cautamente costruttivo, con gli occhi puntati sui dati in uscita in mattinata e sull’asta BTP:
** La Produzione industriale EU di marzo è uscita in linea con le attese (-0.3%, da prec -0.1%) . Il balzo di gennaio (+2% mese su mese) fa si che il trimestre si chiuda positivamente (+0.8%) anche se anno su anno restiamo in calo di 0.6%. Purtroppo il trend del PMI manifatturiero Eurozone non depone bene per il secondo trimestre, e dobbiamo ancora mettere in conto l’effetto del ritorno delle tensioni sul trade
** Lo ZEW di maggio ha evidentemente risentito più delle attese del rinnovarsi dello scontro USA – Cina, con le aspettative a 6 mesi a deludere (-2.1 da prec +3.1 e vs stima per 5), mentre la componente coincidente è migliorata (8.2 da 5.5 e vs consenso per 6.3). A livello europeo si fa notare il brusco indebolimento delle expectations sull’economia italiana (a -24.3 da -16.8). In calo anche il dato Eurozone aggregato (-1.6 da prec +4.5).
** L’asta BTP ha avuto un esito buono, con i quantitativi coperti agevolmente, e domanda robusta in particolare su 3 e 7 anni. Non a caso la reazione post asta è stata decisamente positiva.
Ci ha pensato Salvini a cambiare volto alla price action. Nel primo pomeriggio sono rimbalzate sui media finanziari le sue dichiarazioni sulla possibilità di violare il limite del 3% di deficit, oppure superare il 130/140% di Debito/PIL, e il BTP è tornato a indebolirsi. L’effetto si è notato anche sull’€, che ha invertito la marcia vs $ riportandosi in area 1.12.
** Buono anche il NFIB small business optimism di aprile in US (103.5 da 101.8 di marzo e vs stime di 102). Peraltro, la survey non avrà fatto in tempo a catturare l’impatto del cambio di prospettiva sul trade.

Con l’ apertura di Wall Street il rimbalzo ha preso momentum, trainato proprio dai settori più penalizzati ieri (tech, semis, materials…).
Trump non ha fatto mancare il suo contributo, con una serie di tweet volti a magnificare l’impatto dei dazi presenti e futuri sull’economia USA. Il Il Presidente ha chiamato in causa anche la Fed, scrivendo che se imiterà le politiche espansive che sicuramente la Banca Centrale cinese metterà in pratica per contrastare gli effetti dei dazi, gli USA vinceranno facile. Purtroppo per lui, la Fed agirà solo se le circostanze lo richiederanno, ovvero in caso di un avvitamento del sentiment sui mercati. E l’impatto dei dazi sull’inflazione non faciliterà la cosa, riducendo il margine di manovra del FOMC.

Più tardi, Trump è tornato sul tema:
** Il dialogo con la Cina è ancora in corso e un accordo è assolutamente possibile
** La sua relazione con il Presidente Xi è straordinaria e quanto è avvenuto è solo una “piccola litigata”
Su un mercato già in fase di rimbalzo, queste dichiarazioni hanno ottenuto l’effetto desiderato, e così il tono è ulteriormente migliorato.
Gli indici europei archiviano quindi una seduta decisamente positiva, recuperando interamente le perdite di ieri. Oro, Yen e Treasuries però cedono solo marginalmente, a dimostrazione di un allarme ancora elevato. La “vicenda Salvini” impedisce allo spread di beneficiare del sentiment positivo. Se la campagna elettorale per le europee continuerà a toccare questi temi, gli asset italiani avranno un ostacolo in più.

Al di la della retorica social di Trump, destinata a perdere di efficacia, se utilizzata con questa frequenza, il rimbalzo odierno sembra avere fondamentalmente 2 driver. Il primo è di tipo tecnico: la price action di ieri aveva le caratteristiche di una capitulation di breve e un rimbalzo di qualche tipo non deve stupire.
Riguardo il secondo, l’impressione personale è sul mercato si stia affermando l’idea che un accordo al G-20 di Giugno sia assai probabile. Un esito del genere eviterebbe una nuova escalation di dazi, e renderebbe temporanei gli effetti di quelli già decisi, che entreranno in vigore non prima di qualche settimana (gli USA hanno escluso le merci già partite, e la Cina ha fissato il primo giugno come entrata in vigore).

Si tratta di uno scenario plausibile, ma, a mio modo di vedere, non ancora probabile, sulla base degli elementi di cui disponiamo.
1) le reazioni di parte cinese non sembrano al momento confermare la seraficità di Trump sul clima nelle trattative. Vari report segnalano una retorica interna assai aggressiva da parte delle Autorità, in cui si incita ad una “guerra del popolo” contro l’arroganza e l’avidità dell’America. Potrebbe trattarsi di una modalità di gestione interna del problema, oppure di una preparazione del terreno per una reazione bellicosa alle minacce di Trump.
2) Un funzionario rimasto anonimo ha dichiarato ad Axios che le divergenze sono ancora tali da rendere improbabile una soluzione prima di fine anno.

Su queste basi, resto convinto che sui livelli attuali i mercati non riflettano ancora correttamente il cambio di scenario.