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Trump e Xi firmano una breve tregua

Tregua!
La cena tra le delegazioni USA e cinese, guidate rispettivamente da Trump e il Presidente Xi Jinping ha prodotto l’outcome sperato: l’aumento dei dazi USA previsto per Gennaio viene rinviato di 3 mesi, per permettere ulteriori colloqui al fine di addivenire ad un accordo sulla lunga serie di questioni in sospeso. La tregua è più breve delle (mie) attese: evidentemente gli USA vogliono mantenere alta la pressione sulla Cina. Non a caso, la Casa Bianca ha chiarito che se non si ottiene un accordo in 90 giorni, verrà dato corso agli aumenti.
Detto questo, il cessate il fuoco mostra quanto meno che l’impatto delle frizioni commerciali ha ottenuto l’effetto di portare le parti (in particolare gli USA) al tavolo. In questo senso, un escalation serie della guerra appare meno probabile.
Come da attese, Trump è stato rapidissimo a compiere il suo “victory lap” personale a colpi di tweet, riferendo, tra l’altro, che la controparte ha accettato di incrementare gli acquisti  di forniture agricole, e di abbassare i dazi sulle auto USA (correntemente al 40%) circostanza non direttamente confermata da Pechino, che ha promesso di aprire i suoi mercati, aumentare le importazioni e che “si lavorerà all’abbattimento dei dazi”.

Il successo del meeting non è stato l’unica news del week end. Arabia e Russia hanno accettato di estendere l’accordo per il controllo della produzione nel 2019, anche se non è ancora stato indicato alcun numero. Occhi puntati sulla riunione OPEC di Giovedi e Venerdi prossimi, per vedere cosa emerge. Nel frattempo l’Alberta, provincia canadese che vanta la maggior produzione di greggio, ha annunciato un taglio alla produzione di 325.000 barili al giorno. Piccolo neo: il Qatar (mi pare meno del 3% della produzione OPEC) è uscito dal cartello.

Sin dall’apertura, i mercati non hanno perso tempo a cercare il pelo nell’uovo sugli accordi, e sono partiti, in Asia, con un tono robusto. A guidare il rally, per una volta, gli indici cinesi (Shanghai, HSCEI, Hong Kong, e anche Taiwan) tutti con progressi superiori al 2%, il tutto corredato da un rimbalzo di oltre l’1% dello Yuan. D’altronde, la Cina è la principale beneficiaria della tregua, che permette alle autorità di concentrarsi sul supporto al ciclo.
Tra l’altro, il PMI manifatturiero di novembre elaborato da Markit, più volatile solitamente, in quanto maggiormente focalizzato sulla piccola e media impresa privata, ha dato un piccolo segnale di stabilizzazione, recuperando 0.1 a 50.2 in controtendenza con quello ufficiale. L’aspetto positivo è che il miglioramento proviene in parte da un rimbalzo dei new orders (+0.5 a 50.9).
A conferma del messaggio giunto dai PMI ufficiali dell’ufficio statistico cinese pubblicati i giorni scorsi, il premier Li ha dichiarato che la pressione ribassista sul ciclo si è accentuata e che è necessario continuare a stimolare la domanda e aprire l’economia. Vi saranno ulteriori tagli di tasse e commissioni, e l’obiettivo di crescita verrà centrato.
Il cambio di sentiment non si è limitato all’azionario, ma ha investito anche le commodities industriali, agricole e, naturalmente, il petrolio.

Finalmente, il vigoroso rimbalzo europeo dell’apertura ha tenuto alla distanza. Comprensibilmente frizzanti il settore auto, quello energy e risorse naturali in generale. Notizie anche su fronte italiano, dove, secondo Repubblica, l’EU avrebbe chiesto al Governo italiano un deficit dell’1.95% per non far partire la procedura, mentre il Messaggero ha riportato che Salvini e Di Maio sarebbero aperti a revisioni dei numeri, grazie alla mediazione del Premier Conte. In giornata non sono arrivate smentite secche, mi pare, segno che i nostri mirano alla composizione dello screzio, per evitare sanzioni

Sono invece arrivate le revisioni ai PMI manifatturieri Eurozone. Notizie discrete, con qualche eccezione. Il dato aggregato è stato alzato di 0.3 a 51.8 (ottobre era a 52) grazie alle revisioni al rialzo di 0.1 a 50.8 della Francia e 0.2 a 51.8 della Germania, e alla buona performance spagnola (52.6 da 51.8 e vs attese per 51.5). La dolente nota è il dato italiano, deterioratosi ulteriormente, anche se non in maniera drammatica, (48.6 da 49.2 di ottobre, e vs attese per 48.9), a marcare i nuovi minimi da dicembre 2014. I sottoindici segnalano contrazione sia per produzione che new orders.
Prima di trarre conclusioni, attendo di vedere il dato sul settore servizi, in uscita mercoledi. Si tratta del settore a natura più endogena, quindi maggiormente indicativo dello stato della domanda interna. Ed è il settore il cui PMI era crollato di 4 punti ad ottobre mentre sul manifatturiero il calo era stato assai più graduale. Un ulteriore deterioramento, oltre a dare quasi per certa una recessione tecnica (intesa come 2 trimestri consecutivi di contrazione) nella seconda metà del 2018, aprirebbe ad uno scenario di marcato inebolimento del quadro macro all’inizio del 2019.

Oggi, però, sentimet e indiscrezioni sulla manovra hanno avuto la meglio sul pessimistmo dei dati, e gli asset italiani hanno performato anche meglio dei peers europei.
La serie di dati sul manifatturiero è proseguita in US nel pomeriggio, con il PMI (rivisto di 0.1 al ribasso a 55.3), ma soprattutto con l’ISM manufacturing di novembre, che è rimbalzato dal (sempre elevato) minimo di periodo segnato a ottobre (57.7) marcando un 59.3, 1.8 sopra attese. Il balzo dei new orders (+4.7 a 62.1) depone bene per l’attività futura, mentre il calo dell’oil ha presumibilmente impattato i prezzi pagati (-10.9 a 60.7). In questo fine anno si stanno accumulando gli studi che puntano (non senza qualche buon motivo, peraltro) ad un rallentamento dell’economia US nel 2019, ma per il momento queste survey non avallano questo scenario.

Nonostante i buoni dati, il parziale scemare dell’euforia nel pomeriggio, in particolare a WallStreet, ha alimentato un po’ di delusione, e l’impressione che anche questa volta ci troviamo di fronte ad una reazione effimera.
Personalmente, non sono cosi stupito dalla reazione tiepida degli indici US: la scorsa settimana l’S&P 500 ha recuperato il 4.85%, il Nasdaq il 6,45%, e il Dow il 5.1%. Non c’è da stupirsi troppo che più di tanto non riescano ad allungare oggi.
Un po’ più deludenti, vista l’assenza di performance pregressa, le chiusure dell’azionario europeo (Eurostoxx +1.3%). Ma gli indici hanno chiuso in corrispondenza del momento peggiore di Wall Street. Inoltre, sistemata temporaneamente la questione Cina, si profila in tempi brevi la questione commerciale con l’Eurozone, a cominciare dalle esportazioni di auto tedesche, sulle quali a quanto pare è previsto un meeting domani tra i Ceo tedeschi e i funzionari USA.
Anche il petrolio ha ridotto un po’ i progressi, in vista del meeting di Giovedi, mentre i rendimenti US ed € core hanno restituito in giornata i guadagni messi a segno di primo mattino: il Bund è tornato a 0.3% e il T-note sotto il 3%. I fanatici della curva come indicazione dello stato del ciclo stanno già scaldandosi: il tratto 2-5 anni della curva USA è prossimo all’inversione, attorno al livello di 2.83%. D’altronde, il vice Presidente FOMC Clarida ha dichiarato nel pomeriggio di temere maggiormente una difficoltà dell’inflazione di mantenersi al target, che non un surriscaldamento della stessa. Normale che il mercato accentui la fattorizzazione di una pausa nei rialzi.
La correzione del $ seguita alle news sul meeting si è a sua volta assottigliata in giornata. Al momento, vi è troppa differenza tra i dati macri US e quelli Eurozone (o altre aree se è per questo) per permettere rimbalzi duratuti, in particolare se i tassi non si muovono.

La possibilità che il deficit italiano torni sui livelli concordati informalmente da Tria con l’EU a luglio, insieme con quella che il Tesoro effettui dei buyback (TREASURY CONSIDERING NEW EXCHANGES OR BUYBACKS OF GOVERNMENT BONDS BEFORE YEAR-END – SOURCES RTRS ) hanno offerto un bel supporto alla carta italiana, col 2 anni approdato ai minimi da oltre 2 mesi. Ci sta. Al momento il nemico dello spread è il ciclo. Occhio a mercoledi.

Il resto della settimana propone parecchi eventi di rilievo:

** Mercoledi abbiamo i citati PMI servizi e Composite in Asia, Eurozone e US (l’ISM è rimandato per la morte di Bush Senior, cosi come la testimonianza di Powell, ed è borsa chiusa in US). Il Parlamento UK dovrebbe iniziare 5 giorni di discussione preparatori al voto dell’11 Dicembre.
** Giovedi Recuperiamo i dati USA di mercoledi, e inizia il meeting OPEC
** venerdi : labour market report US di novembre.