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Sorprendono in positivo i servizi in US, cala Wall Street, su tassi e $.

Venerdì sera Wall Street ha recuperato fino quasi a cancellare il calo (-0.09% il finale). Un po’ più pesante il Nasdaq 100 a -0.4%. Ma la performance più sorprendente la hanno messa a segno i bonds, con cali dei rendimenti sul 10 anni treasury e sul 30 anni, rispettivamente di 2 bps a 3.49% e 5 bp a 3.55%. Niente male per una seduta in cui il labour market report ha sorpreso in positivo di parecchio e l’inflazione salariale è uscita altissima. Certo, la parte breve della curva ha visto i rendimenti salire (2 anni treasury +4 bps a 4.27%) a scontare una Fed più aggressiva. Ma la curva dei tassi USA continua ad invertirsi, a indicare che la resilience della crescita USA è vista più come un rischio che come una buona notizia, in quanto forza la mano alla Fed, rischiando di causare un maggior rallentamento più avanti.
Va detto che ad un analisi più accurata, il report di venerdì ha mostrato alcune falle. Intanto sembra che la risposta alla survey del BLS sia stata particolarmente bassa, al 49% (normalmente siamo al 65-70%) a indicare che il dato può essere soggetto a pesanti revisioni, anche se non è dato sapere in che direzione. Ma la Household Survey risulta da un paio di mesi assai più debole dei payrolls ufficiali. E poi la sorpresa al rialzo sui salari orari sembra principalmente dovuta a un balzo dei salari in trasporti, magazzini, 5 deviazioni standard sopra la media.

Nel week end, il sentiment ha visto un ulteriore miglioramento in Asia grazie a un intensificarsi del flusso di notizie relativo all’attenuazione delle misure di contenimento del Covid in Cina ( link China’s Covid Pivot Accelerates as Cities Ease Testing Rules). Così il China Complex ha di nuovo trainato gli indici dell’area con Hong Kong e “H” shares in progresso del 5% e le “A” shares quasi del 2%. Meno entusiasmo sul resto degli indici, con solo Ho Chi Mihn a siperare il punto percentuale di guadagno, e Seul e Jakarta in moderato calo.
Sul fronte macro, i PMI servizi e composite finali di novembre hanno dato segnali altalenanti. Il dato giapponese, già noto in sede flash, è stato rivisto marginalmente al rialzo, ma è sempre in calo di 3 punti rispetto a ottobre.

I numeri cinesi hanno sorpreso in negativo, segnalando sui servizi una discreta contrazione, in gran parte dovuta ai lockdown. In questo senso,  sono forse stati giudicati “old news” dal mercato. Male anche Hong Kong e in lieve rallentamento Singapore, mentre l’India continua a mostrarsi un isola felice.
Un pezzo che ha trovato parecchio risalto nel week end è questo di CNBC ( link ) in cui si osserva come gli ordini sul manifatturiero dagli USA verso la Cina siano calati del 40%. Sembra che molte manifatture in Cina chiuderanno prima per le festività del capodanno, a causa di scarsa domanda. Apparentemente gli ordinativi verso l’Europa stanno benenficiandone, il che lascia intendere che il tema sia di rilocalizzazione di questi ordini per motivi geopolitici.

La seduta europea è iniziata con un tono più incerto, con gli indici a segnare marginali ribassi, l’€ in recupero sui massimi da giugno scorso e le commodity in generale spolvero dietro al petrolio, mentre i rendimenti hanno mostrato un moderato calo, in simpatia con quello degli USA venerdì sera.
I PMI finali servizi e composite Eurozone hanno a loro volta dato segnali contrastanti.

In deterioramento marcato Irlanda e Svezia, ma molto meglio il meridione europeo con Spagna e soprattutto Italia a mostrare un buon recupero di attività rispetto a ottobre e in generale un tasso di contrazione dell’attività modesto. Marginalmente negative le revisioni ai dati francese, tedesco e eurozone sui servizi. Sembra davvero che le cose siano migliorate in Eurozone a Novembre. Vedremo come andrà a Dicembre.
Per il resto, abbiamo avuto retail sales EU in calo dell’1.8% a ottobre ma con revisione al rialzo di settembre a +0.8% da +0.4%. E l’indice Sentix di novembre a indicare una confidence degli investitori in recupero a -21 da precedente -30.9 e vs stime per -27.5. Quindi sopra attese ma in linea con il maestoso recupero dei mercati, e il recente consenso di “mild recession” che circola in molti degli outlook 2023.
Con questo tono di moderato consolidamento siamo approdati al pomeriggio, ai numeri USA.

Se i PMI servizi e composite di novembre hanno visto piccole revisioni al rialzo e si collocano su livelli di contrazione significativi, una volta di più l’ISM services ha sorpreso clamorosamente in positivo, a segnalare un ritmo di espansione del settore bello robusto. I sottoindici sono un po’ più vari, con la business activity (+9.0  a 64.7) fortissima, ma i new orders che peggiorano marginalmente rispetto a ottobre (-0.5 a 56.0) pur restando in espansione, bene employment (+2.4 a 51.5) ma male gli export orders (-9.3 a 38.4).
Ma la cosa più difficile da giustificare è il gap di oltre 10 punti con il PMI servizi calcolato da S&P Global. L’ISM segnala crescita robusta, il PMI contrazione significativa. Un bel problema di interpretazione, su un settore che rappresenta oltre l’80% dell’economia americana.
Normalmente, negli USA, si guarda più agli ISM, che hanno track record più lungo (quanto meno quello manifatturiero) e un campione presumibilmente più esteso. Personalmente, osservo che però i PMI nel recente passato sono sembrati più affidabili: ad esempio, nel grafico sotto si nota come le linee tratteggiate (azzurra PMI manifatturiero, nera PMi servizi) abbiano mostrato il picco di attività prima delle rispettive linee degli ISAM (rossa manifatturiero, blu servizi).

In generale la correlazione tra PMI e ISM sul manifatturiero è buona, e anche tra queste 2 e il PMI servizi si nota una coerenza, che manca con l’ISM servizi, che ha fatto un picco finale a novembre scorso che manca in tutti gli altri indicatori, come è anche assente la recente resilienza dell’attività. Vedremo come si risolverà questa divergenza. ma l’aggregato delle survey sembra più pessimista degli ISM presi da soli.
Bene, a latere i factory orders a ottobre, mentre i durable goods sono buoni ma erano sostanzialmente già noti.
La reazione del mercato è stata tipica del periodo. I rendimenti sono saliti, con una tendenza della curva a invertirsi, il Dollaro ha invertito la rotta, e l’azionario ha accentuato il calo di parecchio, a scontare una Fed più aggressiva e quindi condizioni finanziarie più restrittive. La cosa interessante è che anche le commodities hanno bruscamente invertito la marcia: il petrolio è passato da +2% a -3%, l’argento ha portato il ribasso al 4% quasi, oro e rame cedono l’1.5%, il natural gas il 10%. Effetto tassi e Dollaro? Può anche darsi. Ma non sembrano movimenti coerenti con un economia USA resiliente. Nel il movimento del Dollaro giustifica tutto questo ribasso delle materie prime. I tassi poi tornano sui livelli di poco più di 24 ore prima.
Le borse europee hanno mostrato resilience, cedendo dal mezzo punto in giù per i principali indici. Avevano anche da fattorizzare un po’ di rialzo di Wall Street maturato dopo la chiusura venerdì, ma che non spiega interamente l’outperformance. Vero è che i tassi si sono mossi al rialzo molto meno che in US, anche se gli iniziali cali sono sfumati. L’€, che sembrava inarrestabile stamattina, è tornato marginalmente sotto 1.05.
Wall Street ha accentuato le perdite dopo la chiusura europea. Vedremo dove saremo alla campana, ma al momento sembra che il balzo seguito al discorso di Powell di mercoledì scorso non abbia avuto alcun follow through, e che la resistenza costituita dal downtrend e la  media mobile a 200 giorni si stiano dimostrando un osso duro per l’S&P 500. Forse quota 4.000 fornirà supporto.

Dopo l’infornata odierna, la settimana si mostra calma in termini di dati.
Domani abbiamo i factory orders tedeschi di ottobre,  il trade balance di ottobre in US, e il meeting della Reserve Bank of Australia.
Mercoledì abbiamo il trade balance cinese di ottobre, e il meeting della Bank of Canada.
Giovedì abbiamo i sussidi di disoccupazione settimanali in US, e in Europa un discorso della lagarde.
Venerdì abbiamo il CPI e PPI di novembre in Cina, e in US il PPI di novembre e la U. of Michigan Consumer Confidence finale di novembre.