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Sale l’ansia per la Brexit. Wall Street trae supporto dal FOMC.

Fed paziente, o spaventata ?
Questo è il dubbio che viene ai più, di fronte alla rivoluzione messa in atto dal FOMC in soli 3 mesi. A dicembre il tono di Powell era ancora assai rilassato. Le projections sui tassi proiettavano ancora 2 rialzi per il 2019 e 1 per il 2020 e il Presidente Fed aveva tranquillamente affermato che la volatilità sui mercati non lo preoccupava (qui il commento fatto il 19 Dicembre).
Tre mesi dopo, la stessa FED porta a zero i rialzi previsti per il 2019, abbassa le previsioni di crescita e inflazione, e annuncia uno stop alla riduzione del bilancio FED almeno 3 mesi prima delle attese, con un rallentamento del ritmo a cui lascia scadere i treasuries a partire da maggio. Tutto ciò, nota bene, con Wall Street che nel frattempo ha recuperato lo storno del quarto trimestre, e scambia a meno di un 4% dai massimi storici. Forse era questo che Jerome intendeva, quando sosteneva che non si fa influenzare dai mercati!

Scherzi a parte, in parecchi devono aver fatto questo pensiero ieri, se è vero che Wall Street ha rapidamente restituito i guadagni iniziali, chiudendo in territorio negativo (anche se oggi l’accomodatività delle condizioni finanziarie sembra aver ripreso il sopravvento nell’immaginazione degli investitori).

Personalmente, non sono un fan delle teorie di complotto sulla Fed, della serie “cosa sanno che noi non sappiamo”. La Fed era eventualmente troppo hawkish a Dicembre, o potrebbe essere troppo dovish ora.
La riflessione che il FOMC di ieri mi stimola è leggermente diversa, anche se le potenziali conclusioni sono simili a quelle legate alla dietrologia. La Fed ieri non ha dichiarato la fine del ciclo di rialzi attuale, ma ci è andata vicina. La Dot Plot conserva un rialzo entro la fine del 2020, ma si potrebbe obiettare che, al ritmo a cui cambia idea il Committee presieduto da Powell, un rialzo entro 21 mesi non ha un gran significato. Non a caso, molte case hanno cancellato interamente i rialzi indicati nelle loro previsioni e vedono chiuso il tightening cycle, o si attendono una lunga pausa. Il mercato va oltre, prezzando un taglio da 25 bps entro 12 mesi e 2 entro 24 mesi.
Naturalmente può trattarsi di un esagerazione, e io tendo a pensare che lo sia. Ma se così non fosse, ed effettivamente il prossimo movimento dei tassi fosse al ribasso, una condizione che storicamente ha annunciato la fine degli ultimi 2 bull market risulterà verificata.
Mi spiego meglio.
Diverse volte, in occasione degli storni del 2018, ho osservato che non era mai accaduto, nel recente passato che i bear markets iniziassero mentre la FED era nel mezzo di un ciclo di rialzi, un dato che sembra indicare una buona capacità della Banca Centrale americana nel leggere la congiuntura (vedi grafico).


Viceversa, il termine del ciclo di rialzi ha anticipato, in entrambe le ultime 2 occasioni, un  massimo dell’ S&P 500, cui hanno fatto seguito un bear market e una recessione. Nel primo caso il tempo intercorso dall’ultimo rialzo e il picco è stato brevissimo, e la FED ha iniziato a tagliare a storno già abbondantemente iniziato. Nel secondo invece il massimo dell’azionario è stato dopo il primo taglio, a oltre un anno dall’ultimo rialzo.
Finora, la politica monetaria FED indicava implicitamente che il rialzo dei mercati era maturo, ma non finito. In un certo senso lo indica ancora. Ma se quello di dicembre si rivelasse l’ultimo rialzo di questo ciclo (e io non credo che lo sia) ecco che questo count down sarebbe iniziato, paradossalmente prima di quello a cui tutti guardavano a dicembre, ovvero l’inclinazione della curva americana (il famigerato 2-10).

Venendo alla seduta odierna, come accennato sopra, il sentiment che l’Asia ha ereditato da Wall Street non era dei migliori. Le cose sono però migliorate strada facendo, tanto che a fine seduta i progressi superano in numero l cali tra i principali indici. L’azionario cinese ha chiuso contrastato, con le “A” shares a mostrare moderati guadagni (ad una certa distanza dai massimi di seduta) e le “H” shares invece in fase correttiva. Ieri sera Trump aveva dichiarato di attendersi un accordo coi cinesi, ma che i dazi rimarranno in piedi per molto tempo, e in particolare fino a che la Cina non avrà dimostrato di rispettare i patti.

La seduta europea è iniziata con un tono incerto, un occhio agli sviluppi da Bruxelles sulla brexit, un altro alla reazione dei vari asset alla FED, e con la pubblicazione dei PMI flash di marzo domani ad alimentare il nervosismo.
Naturalmente il settore bancario non ha gradito affatto il supporto offerto dal FOMC ai rendimenti Eurozone, con il Bund  approdato sotto i 4 bp di rendimento. La compressione dei rendimenti europei ha finito col minare anche il recupero dell’€, che con questi tassi si candida a divisa di funding per tutti i carry trades favoriti dalla stance accomodante della Fed.

Su questo mood già nervoso, è andata ad innestarsi una crescente ansia per la Brexit, perfettamente esemplificata da un progressivo inabissamento della Sterlina. Difficile dire cosa abbia alimentato i maggiori timori di una “no deal brexit”, al di la del fatto che, a 8 giorni dalla deadline, fervono i preparativi delle aziende e si accentuano gli scontri in Parlamento. A Bruxelles fanno quadrato, con i Francesi, che nei confronti della gran Bretagna vantano un deficit commerciale, a fare la parte del poliziotto cattivo.
A metà giornata sono circolate voci che all’interno del Governo c’è scetticismo sulla possibilità che il deal passi alla terza chiamata, e che metà dei Ministri ad un estensione lunga preferisce un uscita senza accordo. Anche la May ha dichiarato apertamente di non volere un estensione oltre il 30 giugno. Queste voci possono sicuramente aver alimentato le tensioni, lasciando intendere un rischio che il Governo tradisca l’impegno preso col parlamento di evitare ad ogni costo una “no deal brexit”. Sta di fatto che il Pound si è inabissato e sul mercato delle opzioni la volatilità a 2 settimane si è impennata.

Sono giustificati, questi timori? Non del tutto, a mio modo di vedere. Lunedi dovremmo avere un nuovo “meaningful vote” , e probabilmente verranno presentati dei nuovi emendamenti. Si parla di una nuova edizione del Cooper/Boles/Letwin  (quello che cercava di attribuire al Parlamento il processo strappandolo al Governo, e ha perso di una manciata di voti). Questa volta questo, o un altro, dovrebbero assolutamente passare.
Al momento i membri del Consiglio EU stanno esaminando la proposta della May, e le indiscrezioni sembrano confermare che risponderanno che qualunque estensione “breve” potrà essere accordata solo dopo che il deal è stato approvato al Parlamento UK. Altrimenti sarà possibile solo un estensione lunga.
Dovesse quindi il deal affondare, lunedi, abbiamo 3 possibilità:
** l’EU rifiuta la estensione breve, la May si arrocca e ottiene il supporto del Parlamento, e si esce senza accordo. Lo ritengo assai improbabile
** La May alla fine accetta di chiedere l’estensione lunga e di partecipare alle elezioni europee. A questo punto improbabile.
** Il Governo viene esautorato dal Parlamento, oppure si dimette e il Parlamento si occupa di chiedere l’estensione lunga e vengono convocate elezioni anticipate. Questo è di gran lunga il mio scenario centrale.
Il prossimo step è la risposta ufficiale di Bruxelles stasera (o domani, se l’accordo risulta difficoltoso). Intanto è interessante notare che sul sito del parlamento UK una petizione per revocare l’articolo 50 e restare nell’EU, dopo aver fatto collassare il sito per le troppe adesioni, ha sfondato in giornata il muro del milione di adesioni. La soglia perchè il Parlamento debba prendere in considerazione di dibatterla è di 100.000 voti.

L’accentuarsi dell’ansia sulla Brexit ha finito col gravare anche sull’azionario, e ha cancellato interamente il rally dell’€ seguito al FOMC. Che la debolezza dell’azionario europeo venisse, almeno in parte, da oltre Manica, è dimostrato dal fatto che la debolezza della divisa unica non ha portato alcun sollievo. A parte ciò, anche la pubblicazione dei PMI flash europei di marzo domani, che hanno il compito di validare il rimbalzo delle aspettative di crescita Eurozone, può aver causato nervosismo.
Sembrava che fossimo diretti verso una giornata assai negativa, quando Wall Street, complice un forte rimbalzo del Philly Fed di marzo (13.7 da prec -4.1 e vs attese per 4.8), ha evidentemente rivalutato l’outcome del FOMC, prendendo solidamente la via del rialzo.
La svolta ha prodotto un recupero degli indici europei, che chiudono con perdite modeste. Ha fatto però poco per scalfire la forza dei bonds Eurozone. Dopo la chiusura europea, Wall Street ha accelerato il passo, e sta marcando i nuovi massimi dell’anno. Il Sox (Philadelphia Stock Exchange Semiconductor Index) ha addirittura superato il livello di chiusura massimo, segnato a marzo 2018.
Evidentemente, il mercato, oggi,  non ritiene che quello di dicembre sia stato l’ultimo rialzo Fed di questo ciclo.
Domani chiudiamo la settimana con lo show dei PMI flash, manifatturiero, servizi e composite, in Giappone, Eurozone e USA.